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L’inferno di Valencia raccontato da una rotondese

3/11/2024



La zona sud di Valencia è sprofondata nell’inferno più totale e la stessa città sta vivendo grandi difficoltà. La notizia dei morti - ieri 211 accertati, ma il bilancio è destinato ad aggravarsi - e le immagini di distruzione successive all’alluvione causata dall’ormai famigerata Dana, hanno fatto il giro del mondo. Le conseguenze, purtroppo, si prevede possano protrarsi ancora per tanto tempo: chi ha avuto la fortuna di sopravvivere ha perso tutto e, adesso, si trova costretto a ricominciare proprio dove la tragedia ha lasciato di sé solo devastazione. Una ferita che necessiterà di anni per rimarginarsi.


La rotondese Patrizia Gerace (nella foto in basso), sposata con due bambini piccoli e trapiantata a Valencia dal 2008, per puro caso è riuscita a rincasare in tempo e per fortuna non ha vissuto direttamente il dramma: in città nemmeno ha piovuto, né ci sono state inondazioni. Tuttavia, Patrizia teme che gli effetti di questa catastrofe possano comunque colpire la sua famiglia, così come tutta Valencia, per una crisi economica che inevitabilmente verrà avvertita. Inoltre, rimanendo alla stretta attualità, sta facendo sempre più breccia la paura di possibili epidemie, piuttosto che la mancanza di medicinali o di generi di prima necessità. Senza trascurare le grandi difficoltà per ripulire tutto e per ritrovare gli ancora tantissimi dispersi.



 


Patrizia, innanzitutto come state?


“Io e la mia famiglia stiamo bene, in città quel giorno nemmeno ha piovuto. Per fortuna, sono rientrata da lavoro in tempo per decisione dell’azienda e non perché ci fosse la minima idea di quanto stesse per succedere. Valencia si è salvata poiché, in seguito alle precedenti alluvioni, il corso del fiume era stato deviato. L’inferno si è concretizzato in una sola ora, per quanto mi riguarda, senza questa uscita anticipata da lavoro, non avrei potuto rientrare in tempo”.


 


Quali sono state le zone colpite dall’alluvione?


“L’ondata non è arrivata nel centro di Valencia, ma ha colpito quartieri periferici e l’area extraurbana. Noi in città non ce ne siamo accorti, l’abbiamo appreso la sera quando hanno cominciato a chiamarci colleghi e conoscenti per chiederci aiuto ma, purtroppo, a quel punto non si poteva fare nulla visto che era già tutto distrutto”.


 


Quindi hai parenti o amici rimasti coinvolti?


“Sì, anche perché è tutto contiguo: parliamo di una distanza di un chilometro. Dal momento in cui si oltrepassa il ponte per imboccare l’autostrada verso sud, ci si accorge che non c’è più niente. L’autostrada, che adesso non c’è più, era esattamente quella che percorrevo tutti i giorni per recarmi a lavoro”.


 


Sta montando la polemica circa i ritardi da parte delle autorità nella comunicazione dell’allerta rossa, cosa è successo realmente?


“Posso raccontare quanto successo a me, ossia che ho ricevuto sul telefono il messaggio d’allerta della Protezione Civile alle 8 di sera. A quell’ora c’erano persone già attaccate agli alberi. Credo non sia stata una disattenzione, ma più verosimilmente ritengo non si aspettassero quello che realmente poi si sarebbe verificato. Adesso, invece, il problema è la disorganizzazione delle istituzioni poiché c’è veramente poco aiuto. Bisogna ripulire e lo stanno facendo i cittadini, ma i paesi sono isolati e nemmeno ci sono pale sufficienti per spalare fango e detriti. Non bastano neppure gli estrattori. È arrivato l’esercito ma non è sufficiente”.


 


C’è paura di epidemie?


“Sì, non a caso stanno avvisando la popolazione di fare uso di mascherine e di stare attenti alle possibili contaminazioni dovute ai cadaveri o alle carcasse di animali morti. Il bilancio delle vittime è destinato ancora a crescere, i dispersi sono ancora davvero tanti. Siamo dentro una vera apocalisse”.


 


Temete anche ripercussioni di carattere economico?


“Ne siamo praticamente certi. Sono tantissimi quelli che hanno perso tutto ed, a cascata, le ricadute negative interesseranno l’intero sistema economico. Io, lavorando alla Ford, non temo di perdere il mio posto ma mio marito, che è titolare di un ristorante in centro a Valencia, sta già pensando di licenziare qualcuno dei suoi 20 dipendenti ed è molto preoccupato”.


 


D’altronde Valencia è un città turistica, per cui, il comparto rischia seriamente di finire in ginocchio.


“Nel prossimo futuro chi volete venga qui, sicuramente gli effetti saranno catastrofici anche da questo punto di vista. In questa settimana mio marito ha dovuto fronteggiare solamente cancellazioni”.


 


Per quanto riguarda l’acqua e l’elettricità, state avendo conseguenze?


“Al contrario delle zone alluvionate, da noi in città non stiamo avendo simili problemi eccetto che per qualche quartiere. Nel mio, ‘Campanar’, acqua ed elettricità non stanno mancando. Ripeto che da noi nemmeno ha piovuto, così come in tanti di questi paesi che invece sono stati colpiti per effetto delle piene dei fiumi che però provenivano da lontano, per poi esondare in questi territori e distruggere ogni cosa: scuole, case o strade”.


 


In città state avendo difficoltà di approvvigionamento?


“Non si trova niente. Mancano medicine e generi di prima necessità, che non arrivano. Inoltre, in tanti si sono fatti prendere dal panico ed hanno svuotato gli scaffali dei supermercati. In quello sotto casa mia manca addirittura la carta igienica e non si trovano carne ed acqua imbottigliata. La situazione qui è drammatica e la gente chiede aiuto”.


 


Approssimativamente, quante persone vivono nelle zone colpite?


“Non sono in grado di dirlo con precisione, Valencia conta sugli 800mila abitanti, mentre, i paesini colpiti, ne avranno intorno ai 20 o trentamila tranne Torrente, il più grande, che ha una popolazione di circa 90mila abitanti e, a livello produttivo, è tra i più importanti a livello nazionale. L’hinterland è di fatti un’area in cui insistono i principali insediamenti industriali: la maggior parte degli abitanti di Valencia lavora in questi paesi, come del resto anche io. E, adesso, tantissime aziende non ci sono più, spazzate via dalla furia dell’alluvione”.


 


Ora come farai a raggiungere il tuo posto di lavoro?


“Non posso farlo, fino a nuovo ordine lavorerò in smart warking: tra l’altro, io lavoro per l’Italia ma  abbiamo dovuto interrompere il servizio per ovvie ragioni logistiche”.


 


Quali sono le tue sensazioni circa la possibilità di superare questa terribile emergenza?


“Non sono assolutamente buone, credo che le ferite ce le porteremo dietro per anni. Sarà molto difficile si rimarginino. Al momento nemmeno sappiamo il numero esatto delle vittime, né quanto ci sia da costruire. Nessuno sarà esente dalle conseguenze”.


 


Credi ad una correlazione tra questo fenomeno estremo ed i cambiamenti climatici?


“Devo dire che le alluvioni, non certo di questa portata, dalle nostre parti non sono rare: essendo una zona molto calda, si verificano puntualmente con l’arrivo dei primi freddi e si presentano sottoforma di tempeste violente o di raffiche di vento fortissime. Adesso la temperatura è molto più calda per cui, a mio avviso, stiamo vivendo un cambiamento: fenomeni di tale intensità non si spiegano altrimenti”.


 


Gianfranco Aurilio




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