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La voce della Politica
| Cia: il futuro delle aree interne lucane al centro X Conferenza Economica |
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13/03/2025 | Il futuro dell’agricoltura delle aree interne lucane al centro della X Conferenza Economica della Cia-Agricoltori partendo dall’attuale fotografia: le aziende lucane sono collocate prevalentemente in montagna (53,2%), il 34% in collina e il restante 17,2% in pianura. Per i presidenti Cia Potenza e Matera Giambattista Lorusso e Giuseppe Stasi si continua a sottovalutare il grido d’allarme lanciato dall’Istat sul declino delle aree secondo la classificazione della Strategia Nazionale delle Aree Interne (SNAI) che opera in questo contesto, fornendo una dimensione territoriale entro la quale analizzare i fenomeni demografici e sociali. I soggetti istituzionali attuatori della SNAI (Strategia Nazionale Aree Interne) in Basilicata sono diventate 7 da 4 originarie. Oltre a quelle “storiche” - Marmo Platano, Alto Bradano, Val Sarmento e Collina Materana –sono state istituite 3 nuove Aree: Basso Agri, Medio Basento e Vulture che coinvolgono 24 nuovi comuni; di questi 6 sono ubicati nei territori del Medio-Agri, 7 in quello del Medio-Basento, 11 nell’area del Vulture. La Basilicata dallo scorso anno ha pertanto 78 Comuni su 131 interessati dalla SNAI, con una popolazione complessiva di oltre 170 mila abitanti.
“Dalla Liguria alla Basilicata, c’è una questione strutturale che riguarda l’entroterra e non è più accettabile -ha detto il Presidente Cristiano Fini- che nelle regioni meridionali arriva a compromettere oggi anche la sussistenza”. Ma gli agricoltori delle aree interne lucane hanno anche grandi potenzialità quali la “resilienza”, la “capacità di arrangiarsi”, più flessibilità.
LE AREE INTERNE, CUORE DEL MADE IN ITALY AGROALIMENTARE – Il tema della tutela idrogeologica, obiettivo prioritario per la salvaguardia delle comunità locali, si collega necessariamente al mantenimento degli agricoltori nelle aree interne, vale a dire in quelle zone “svantaggiate” (principalmente montane e collinari) dove risulta più difficile generare reddito e quindi a rischio di “continuità produttiva”. Eppure, gran parte delle produzioni agricole italiane oggi sono ottenute in collina e montagna soprattutto per quanto riguarda i “fiori all’occhiello” del Made in Italy alimentare: il 61% del vigneto Italia si trova in zone montano/collinari, così come il 69% degli oliveti, il 64% dei frutteti, ma anche il 44% degli allevamenti bovini e l’83% di quelli ovicaprini.
SEMPRE PIU’ DIFFICILE VIVERE NELLE ZONE RURALI – La permanenza degli agricoltori nelle aree interne, però, diventa sempre più difficile, alla luce della continua riduzione o della mancanza dei servizi “di base” in un Paese, come l’Italia, in cui il 32% della superficie è classificata come area periferica o ultra periferica (dove la distanza, in quest’ultimo caso, dal più vicino polo di attrazione supera i 75 minuti di percorrenza), con regioni come la Basilicata, in cui tali aree supera il 60% della superficie regionale.
Pac. Serve un tetto ai contributi Pac per le grandi aziende. In Basilicata nel 2023 - il primo anno del quinquennio Pac in corso - le aziende agricole hanno ricevuto in media 3.770 euro di contributi Pac contro i 7.810 euro ad azienda della Lombardia, i 6.620 euro del Piemonte, i 6.320 euro della Sardegna. Secondo i dati dell’Agea le aziende con oltre 100 ettari rappresentavano il 2% delle imprese agricole italiane che hanno fatto domanda e hanno ricevuto il 23% dei fondi Ue a disposizione. Al contrario, le aziende con un’estensione inferiore ai 10 ettari rappresentano il 69% delle imprese agricole italiane ma hanno ricevuto solo il 23% dei finanziamenti comunitari. Ne paga le conseguenze l’agricoltura minore, chi fa reddito solo con il lavoro nei campi”. Così, va al sodo il presidente nazionale di Cia-Agricoltori Italiani, Cristiano Fini, nel suo discorso in apertura della X Conferenza economica confederale. Dall’analisi di Cia, su dati Agea, emerge infatti che le aziende agricole situate in zone montane rappresentano il 40,39% del totale e ricevono il 39,61% dei premi Pac, con un contributo medio di 3.742,80 euro per impresa. Al contrario, le aziende non montane costituiscono il 59,61% e ricevono il 60,39% dei premi, con una media leggermente superiore, pari a 3.866,38 euro. Una distribuzione che sembra equa, ma non lo è, perché -secondo Cia- non tiene conto, appunto, del fatto che una parte considerevole dei fondi, milioni di euro, va nelle mani di pochissimi con superfici molto estese e capitali già consolidati, lasciando alla maggior parte delle piccole e medie imprese contributi molto più bassi.
“Basta squilibri, la Pac deve essere equa, altrimenti non ha più senso -ha aggiunto Fini-. Una soglia massima ai fondi per i big del comparto sarebbe un inizio importante, così come l’introduzione di un secondo criterio di assegnazione, oltre la dimensione anche la collocazione geografica. L’Europa deve puntare sulle aree interne e fragili assicurandogli un pacchetto aggiuntivo, attingendo per esempio ai fondi di coesione. Pretendiamo che torni al centro della Pac il valore delle zone rurali, delle aziende a conduzione familiare che, nonostante le difficoltà, tutelano il territorio e la biodiversità, le produzioni tipiche locali, fulcro del Made in Italy agroalimentare”.
Le aree interne e svantaggiate d’Italia potrebbero diventare “zone franche” con fiscalità agevolata soprattutto per le attività economiche e produttive. Questa la ricetta di Cia-Agricoltori Italiani per rilanciare i territori marginali e fermarne il progressivo abbandono. Ad accompagnarla una proposta che verrà formulata al Governo prossimamente. “Basta chiacchiere, servono interventi di carattere tecnico e non politico -ha chiarito Fini nella sua relazione-. Le aree rurali e marginali del Paese non possono più aspettare, nessuno lo sa meglio dell’agricoltura che in questi territori, tra produzione e attività connesse, rappresenta fino all’80% dell’economia locale e spesso sopperisce anche ai servizi per la comunità”. |
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