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Gigliotti (Libera): Basilicata tra illusioni del petrolio, fragilità democratiche e il coraggio visionario

5/12/2025

Nel mondo al contrario, a dispetto di tutti gli indicatori socio-economici negativi riguardanti la Basilicata, che mostrano come nessuna delle aspettative legate alle estrazioni petrolifere si sia verificata, la narrazione non cambia. D’altra parte, l’inquinamento ambientale e della vita democratica di piccole comunità sovrastate da colossi come ENI, Total, Shell, Mitsui, sono il segno inconfutabile di un perdurante illusionismo.
Nell’ultima assemblea di Confindustria, il presidente Francesco Somma, pur senza negare le criticità principali che riguardano la nostra regione, ci ha tenuto a precisare che “non sono una condanna, ma un’indicazione di direzione e una chiamata alla responsabilità collettiva”.
E ha elencato tutta una serie di punti, niente di nuovo a dire il vero, che dovrebbero, finalmente, consentire alla Basilicata di “non essere più una terra ai margini, ma un laboratorio di futuro”.
Che dire? Ci sta che il presidente di Confindustria si dimostri ottimista. A leggere tra le righe, tuttavia, si rilevano proprio in quei punti di pragmatico ottimismo gli stessi mali che hanno costituito il fondamento della grande illusione.
Il tema centrale resta quello delle risorse. Somma ha definito l’energia “un’identità” della regione. E qui, ovviamente, le letture divergono. Sulle rinnovabili, il punto di vista di Confidustria è, forse legittimamente, orientato al profitto e alla competitività, come risulta evidente dalla richiesta di “accelerazione nei permessi e di rapidità nell’individuazione delle aree, insieme – si dice – all’aggiornamento del Piano energetico regionale”.
Ma su questo è inevitabile un interrogativo. Dopo aver visto nascere e proliferare un’economia predatoria, di impatto violento sul territorio e sul paesaggio, che ha perfino inciso profondamente sulla società, provocando il passaggio dalla cultura del lavoro a quella della rendita (per pochi) e del profitto (per pochissimi), quali garanzie di trasparenza e di equilibrio tra interessi contrapposti possiamo attenderci?
Le ultime vicende dell’inchiesta denominata “affidopoli” mostrano un quadro di un’inquietante sistema di connivenze tra politica, enti pubblici e interessi privati. In questo quadro, parole come “accelerazione” e “rapidità” non possono che creare allarme.
Ed è emblematico quanto questa regione sappia essere veloce e accondiscendente quando si tratta di interessi privati, mentre si riveli lenta e incapace di programmazione concreta quando si tratta di interesse pubblico.
Apparentemente, tuttavia, Confidustria sembra voler guardare al futuro della regione toccando tutti i temi, che vanno dalle infrastrutture, all’automotive, al turismo, all’innovazione, fino all’emergenza idrica. Ma tutto questo appare davvero come il corollario di un racconto il cui tema centrale, neanche troppo nascosto, è proprio quello dell’energia, il vero grande interesse del presente, prima ancora che del futuro.
Sulle risorse fossili, il monito è stato chiaro: «Serve realismo. Al 2050 petrolio e gas saranno ancora fondamentali. La Basilicata, senza oil & gas, negli ultimi vent’anni non avrebbe retto dal punto di vista economico e sociale».
E qui ritorniamo al grande ricatto. A quella narrazione, che piano piano si è insinuata nella testa e nel cuore dei lucani, secondo la quale senza il petrolio non ce l’avremmo fatta.
Il racconto è: non avremmo avuto ospedali, non avremmo avuto l’università, potremmo aggiungere non avremmo avuto piazze, piazzette, spettacoli colossali, viaggi promozionali in giro per il mondo, chissà. Chissà che cosa ci saremmo persi.
Potremmo citare l’attore Paolo Rossi e il suo travolgente “era meglio morire da piccoli che vedere ‘sto schifo da grandi”, ma sarebbe un sentimento piuttosto che un’analisi. E abbiamo, invece, il dovere dell’approfondimento e del rigore logico. E anche il dovere della dignità e della responsabilità.
Vediamo, allora, se questa narrazione è proprio quella giusta o se non è, invece, essa stessa il frutto di un male originario che ha orientato il corso degli eventi, più o meno consapevolmente.
Tutti oggi, Confindustria inclusa, individuano nelle infrastrutture una priorità per ridurre le condizioni di isolamento della nostra regione. Tra le varie esigenze si parla di Alta Velocità Battipaglia Taranto, oltre al collegamento Ferrandina-Matera, che il solo parlarne ha il sapore della presa in giro.
Ma, restando seri, proprio il tema delle infrastrutture offre una possibile chiave interpretativa della narrazione delle royalties come ancora di salvezza, una specie di respiratore artificiale che ci avrebbe tenuti in vita in questi anni. Almeno, è definitivamente caduta la grande illusione del Texas d’Italia. Di questo non ne parla più nessuno.
Anni fa, incontravo quasi settimanalmente in treno, nell’intercity Taranto-Roma, l’ex presidente della regione Basilicata, Angelo Raffaele Dinardo, certamente una brava persona, che si era trovata a gestire, nella piccola Basilicata, quello che appariva, salvo i soliti pessimisti, disfattisti, ambientalisti, la grande opportunità – così si diceva – dei più grandi giacimenti petroliferi d’Europa sulla terra ferma. Che già solo a pensarlo, quanto inorgogliva un’intera regione.
Un giorno, circa quindici anni fa, in cui mi sentivo particolarmente sfrontato, ma forse ara solo la reazione alla frustrazione del pendolare, un piede in Basilicata un piede fuori, gli feci una domanda: “scusi presidente, ma quando avete discusso di estrazioni petrolifere e di royalties, voi che cosa avete chiesto, che cosa avete messo sul tavolo della trattativa?”. È evidente che io stavo pensando proprio alla grande narrazione, mentre si viaggiava, e si viaggia ancora, su una linea ferroviaria di oltre cent’anni fa.
Lui mi rispose garbatamente: “Tu lo conosci l’accordo di programma? Perché se lo conoscessi non dovresti prendertela con me, ma con quelli che sono venuti dopo di me, che a quell’accordo non hanno dato seguito con opere e fatti concreti”.
Così in una notte, con la lentezza di Internet di allora, mi misi e cercare quel benedetto accordo di programma, che parlava di una serie di opere, certamente utili, ma che non avrebbero cambiato, come non hanno cambiato, il destino della Basilicata.
E cercai anche le informazioni sulle royalties, quanto si prevedeva che la regione Basilicata avrebbe incassato in trent’anni di estrazioni e di sfruttamento del proprio territorio. Circa 3 miliardi di euro. Era questa la cifra ipotizzata all’epoca.
E poi, per dare un valore a quella cifra e pensando proprio alla necessità di uscire dall’isolamento, mi misi a cercare qual era il costo previsto dell’Alta Capacità ferroviaria Napoli-Bari. Circa 5 miliardi di euro.
Stiamo dicendo che una sola linea ferroviaria, che non solo non riguarda la Basilicata, ma che la taglia fuori dalle principali vie di comunicazione, aveva un costo previsto pari a quasi il doppio di quanto la Basilicata avrebbe incassato in trent’anni di estrazioni petrolifere!
Lo dissi al presidente Di Nardo, reincontrandolo, e gli chiesi in maniera diretta: “è stato un buon affare il petrolio?” Inutile dire che non ci fu risposta.
E dire che già all’epoca si ipotizzava in alcuni studi che una linea ferroviaria moderna Salerno-Potenza-Matera-Bari, sarebbe stata strategica per l’intero Mezzogiorno, collocando la Basilicata al centro di un sistema di relazioni, che avrebbe certamente generato nuove opportunità.
Resta un punto ancora da chiarire, per smontare definitivamente la falsa narrazione del petrolio. Come avrebbe potuto la piccola Basilicata ottenere ciò di cui aveva bisogno, senza concedersi ad ogni tipo di interesse predatorio?
E qui veniamo a un punto centrale, oggi di grande attualità: l’emergenza idrica. Guarda un po’, si parla di emergenza e non di risorsa. Dell’acqua bene comune ormai ci siamo dimenticati. Del referendum del 2011 abbiamo fatto carta straccia e quando Acque del Sud spa è stata costituita tutto è avvenuto nel silenzio. Ammettiamolo, anche nel silenzio della società civile, forse stanca e disillusa.
È possibile che nell’arco dei decenni nessuno abbia mai pensato di stabilire una semplice equazione tra risorse e opportunità? Questa sarebbe stata, e dovrebbe ancora essere, se fossimo capaci di visione, la chiave di lettura giusta. L’acqua come bene comune per tutti, ma dentro un sistema di sviluppo equilibrato dell’intero Mezzogiorno.
Altro che sfruttamento e concessioni. Un’altra visione possibile, che nessuno ha mai sostenuto, perché non conveniente. E, forse, alla fine anche lo spopolamento, l’impoverimento, la sudditanza, erano tutte condizioni funzionali allo sfruttamento e ai grandi interessi. Erano, perfino, condizioni che avrebbero facilitato ogni sopruso, ogni violazione di legalità, ogni violenza sull’ambiente. Inutile ricordare le vicende, anche giudiziarie, che riguardano le estrazioni petrolifere e gli effetti sull’ambiente e sulla salute.
Siamo in grado oggi, almeno, di raccontare una storia diversa, partendo da una lettura meno superficiale o di comodo, con cui ci hanno riempito la testa in tutti questi anni? Sono convinto che esistano in questa regione intelligenze e forza morale per saper ridisegnare il futuro, dal basso e a testa alta, sfuggendo alle sirene di mille illusioni. Si tratta di imparare a camminare insieme. A me sembra questa la vera sfida.

Rosario Gigliotti
Referente regionale LIBERA Basilicata



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