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Recensione:Una terapia più efficace ed efficiente per i disturbi alimentari |
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15/05/2017 | Nel vasto panorama delle psicopatologie nessuna ha come diretta conseguenza la morte a eccezione dell’anoressia mentale. Secondo l’Organizzazione Mondiale della Sanità, rappresenta la seconda causa di morte in età giovanile, dopo gli incidenti stradali. È il terrore di ogni genitore e la patologia più temuta da psicoterapeuti, psicologi e psichiatri. Gli esiti funesti di questo disturbo si aggirano tuttora intorno a una percentuale che varia tra il 5% e il 18% dei casi (Gordon, 2004; Steinhausen, 2002; Steinhausen et al., 2003; Fichter, Quadflieg, Hedlund, 2008; Casiero, Frishman, 2006; Nielson et al., 1988; APA, 2014): non è certo un dato rassicurante, soprattutto se si riflette sul fatto che si mantiene costante da qualche decennio. Vuol dire che, nonostante i progressi nella ricerca, le terapie per questo disturbo mentale sono ancora nella maggior parte dei casi ben poco efficaci e spesso non consentono di limitarne e azzerarne il pericoloso decorso. Una delle cose più sorprendenti in cui ci si imbatte quando si entra nel mondo dell’anoressia è il fatto che, contrariamente a quello che suggerirebbe il buon senso, sono proprio coloro che ne sono, o possono divenirne, vittime a non temere questa pericolosa malattia, perché tra le patologie è la più «amata» e viene vissuta spesso come una virtù invece di un disturbo. Per verificare la realtà di questa affermazione apparentemente incredibile basta andare su internet ed entrare nei gruppi di discussione su «ana», come viene affettuosamente chiamata l’anoressia dalle sue vestali, e ci si ritrova in un mondo di sconvolgente assurdità. Le ragazze esprimono il profondo amore per la propria patologia – che si rappresentano come uno stato di grazia e di elevazione – e si scambiano notizie sulle sublimi sensazioni indotte dalla loro condizione. Del resto l’astinenza dal cibo e dal piacere da sempre e in tutte le culture è considerata una via per raggiungere estasi di tipo religioso o esoterico. Bisogna sapere poi che l’organismo umano, nelle prime fasi di forte restrizione alimentare e conseguente calo poderale
derale, subisce modificazioni biologiche a carico del sistema nervoso centrale, tra cui un aumento della produzione di endorfine, le quali suscitano stati di benessere ed effetti di eccitazione paragonabili a quelli derivanti dall’uso di cocaina. Basterebbe questo per comprendere quanto sia subdola e insieme seducente questa patologia, che rischia di evolvere, come accade in circa due terzi dei casi, nella sua variante peggiore, ossia mangiare e vomitare per mantenersi sottopeso o per dimagrire, che poi a sua volta muta nell’irrefrenabile compulsione a mangiare per vomitare come forma di estremo piacere (Nardone et al., 1999). Le ragazze parlano infatti dell’anoressia come di un «travolgente amante segreto», un «coccolante rifugio», un «meraviglioso compagno di viaggio». Non deve quindi sorprendere questa apparentemente paradossale devozione espressa nei confronti della più pericolosa delle patologie mentali. Va considerato inoltre il ruolo, non certo irrilevante, giocato dalla desiderabilità sociale di una malattia di cui da sempre soffrono principesse, attrici e altre donne che rappresentano modelli da emulare per il mondo femminile giovanile. e questo fattore negli ultimi decenni è divenuto ancora più importante a causa dell’influenza esercitata dalla moda sulle nuove generazioni. È sotto gli occhi di tutti che le modelle che calcano le passerelle delle sfilate e le cui fotografie riempiono i giornali, ormai non solo di moda, rappresentano un ideale di bellezza anoressoide. Negli anni ottanta le top model presentavano l’immagine del corpo tonico e talvolta persino atletico; dalla metà degli anni novanta in poi invece le modelle iniziano a mostrare un fisico emaciato, nella maggioranza dei casi sono gravemente sottopeso e spesso affette da disordini alimentari.
A nulla è servito che alcuni stati europei, preoccupati dal fenomeno e dalla sua ricaduta sulla salute dei giovani, abbiano imposto agli stilisti di non servirsi di modelle troppo magre, vietando loro di scendere nelle sfilate al di sotto di certe taglie. Purtroppo le istituzioni non avevano considerato che ai principali stilisti è bastato restringere le misure della taglia campione, di modo che attualmente sono inferiori a quelle degli anni novanta.
Biagio Gugliotta.
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