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Recensione:Le otto montagne, un romanzo di Paolo Cognetti |
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7/05/2017 | “Fontane 2014-2016 “
Questa storia è per l’amico che l’ha ispirata, guidandomi dove non c’è il sentiero. E per la Fede e la Fortuna che fin dall’inizio l’hanno custodita, con tutto il mio amore.”
E’ questa la dedica che Paolo Cognetti ha scritto alla fine del romanzo “ Le otto montagne”.178 pagine,dodici capitoli, quattro per ciascuna delle tre parti in cui si divide: Montagna d’infanzia, La casa della riconciliazione, Inverno di un amico.
Dico subito che questo libro mi ha preso e commosso e l’ho divorato in una sola giornata, riflettendo, piangendo, senza avere la forza di abbandonarlo.
Pietro il protagonista si racconta in prima persona con un linguaggio piano e introspettivo. Si legge dentro e non si fa sconti; non ha certezze, ed è sempre alla ricerca. Chiuso e incapace di lasciarsi andare, figlio unico, cresce in un quartiere della periferia di Milano molto rumoroso. Non ha amici. Da piccolo è la madre che in montagna lo costringe a conoscere Bruno, che diventa il suo amico per tutta la vita. La madre, sensibile, aperta, si dedica agli altri e si circonda di amiche. Giovanni Guasti, il padre, orfano, è sempre solitario, in fuga, caparbio, determinato, spavaldo, ansioso, insoddisfatto.
“Il modo in cui Cognetti racconta, come scavando nel silenzio, la paternità e l’amicizia maschile ha qualcosa di scoperto, di selvaggio, di classico. E la vulnerabilità si manifesta più forte, più esemplare laddove non è detta, ma solo contemplata: «Mi tornò in mente una certa fragilità che avevo intravisto in lui, certi attimi di smarrimento che subito si affrettava a nascondere. Quando mi sporgevo da una roccia e gli veniva d’istinto di afferrarmi per la cintura dei pantaloni. Quando stavo male sul ghiacciaio e si agitava più lui di me. Mi dissi che forse quest’altro padre l’avevo avuto sempre lì e non me n’ero mai accorto, per quanto era ingombrante il primo, e cominciai a pensare che in futuro avrei dovuto, o potuto, fare un altro tentativo con lui». Anche fuori tempo massimo. (Paolo di Paolo)
La vocazione, il destino, la ragione di vita dei quattro protagonisti di questo romanzo è la montagna. La montagna alle falde del Monte Rosa e poi quella del Nepal. La montagna di Grana è dura, difficile, faticosa. Una montagna da scalare, da nuotare nei suoi laghi gelati, con i pini cembri, abeti, olmi, faggi, querce, betulle, ontani. Da gustare nel suo dialetto, lingua delle canzoni, delle emozioni, dei ricordi. Da assaporare nel latte, nella toma, al calore della stufa, alla ricerca dell’essenziale. La montagna un patrimonio prezioso che l’uomo sta distruggendo senza sapere che “qualunque sia il destino, abita nelle montagne che abbiamo sopra la testa” (pag. 25). La montagna che consente la costruzione di una casa attaccata alla roccia “la burma”.
Una casa costruita da Pietro e da Bruno scorticandosi le mani, sudando, con il legno e la pietra; il loro rifugio dell’anima.
Il romanzo racconta il difficile rapporto tra un figlio e suo padre, il calore di una madre che sa comprendere e tacere, la forza di un’amicizia che matura nel tempo e dà senso alla vita, l’amore di Lara per Bruno e la sua fine. La bellezza selvaggia della piccola Anita, nata in un alpeggio che deve imparare le regole della convivenza.
E’ un romanzo che racconta la storia di due amicizie che la montagna uccide e dei sopravissuti che devono convivere con i loro sensi di colpa.
“ Le otto montagne” ci insegna il ritmo lento della natura, lo scorrere delle stagioni, la durezza della fatica, del lavoro fatto con le mani, del fiato necessario per salire sempre più in alto.
“Le otto montagne” ci interroga sul senso della vita e della memoria, perché, come Cognetti ha raccontato a Fabio Fazio a “ Che tempo che fa” : La montagna è la condizione necessarie per ascoltarsi.”
“L’estate cancella i ricordi proprio come scioglie la neve, ma il ghiacciaio è la neve degli inverni lontani, è un ricordo d’inverno che non vuole essere dimenticato” (pag.119). E ancora:“Un uomo con due baffi bianchi mi raccontò che per lui ripercorrere gli stessi sentieri di montagna ogni anno, quelli dei valloni abbandonati in cui niente sembra cambiare mai, era un modo di ripensare alla vita. Era come se, attaccando lo stesso vecchio sentiero una volta all’anno, si addentrasse tra i ricordi e risalisse il corso della propria memoria. “(pag. 126)
«Le otto montagne, in fondo parla anche di questo: della fragilità dentro un mondo di pietra e ghiaccio. E di padri, di figli. Dell’amicizia che i maschi non sanno dirsi, perché non le parole giuste o forse per troppo pudore. Questo libro nasce col respiro lungo di un classico, quasi un meteorite di altri tempi dentro un universo a volte in fuga dai grandi temi.» (Maurizio Crosetti , «La Repubblica» del 10/11/2016).
Bella 7 maggio 2017 Mario Coviello
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