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Intervista a Lello Arena a Venosa: 'Troisi,Totò e la speranza del sorriso'

15/04/2017

“Parenti serpenti”: il celebre film (1992) di Mario Monicelli raggiunge ancor più profondità e ritorna alla sua versione teatrale, chiudendo la stagione venosina aderente al Consorzio Teatri Uniti di Basilicata. Dal copione di Carmine Amoroso, con la regia di Luciano Melchionna; un cast d’eccezione con Lello Arena nella parte di nonno Saverio, interpretato da Paolo Panelli nella commedia di Monicelli; Giorgia Trasselli nella parte di nonna Trieste; Fabrizio Vona nel ruolo di Alfredo, che già fu di Alessandro Haber; Autilia Ranieri nella parte di Milena; Andrea de Goyzueta in quella di Alessandro; Carla Ferraro nel ruolo di Gina; Annarita Vitolo in quello di Lina e Raffaele Ausiello in quello di Michele. È il giorno di Natale, giorno di ritorno e ritrovo per i parenti che si riuniscono; un Natale a casa dei genitori, ormai anziani, tra tradizione e ricordi. La famiglia, la colonna portante di ogni relazione umana; quella dalla quale tutto comincia e prende forma, di cui ci si può fidare. Tutti di nuovo insieme, “sani, uniti, contenti”. Ma, poi, un annuncio che arriva come un fulmine a ciel sereno ed un finale che non ci si aspetta. Ne parliamo col grande Lello Arena.

Entrato nell’immaginario collettivo per la sua schiettezza e realtà quasi grottesca, “Parenti serpenti” evidenzia anche un lato doloroso se non addirittura tragico della vita. È questo il fil rouge della rappresentazione e del genere “commedia all’italiana”?
La commedia di Carmine Amoroso era nata per il teatro; e quello che noi abbiamo fatto è stato, appunto, riportarla alla sua dimensione teatrale. Panelli impersonava una figura assente, quella di Saverio, piuttosto confusa; quello che, invece, Carmine Amoroso racconta è un anziano genitore, in piena demenza senile. Più si vive e più si diventa un problema per quelli che restano e che resteranno. E questa commedia, piuttosto che perdere forza e diventare di antologia e archivio di un’epoca nella quale “siamo stati”, curiosamente anticipa i tempi sulla quella che è la crisi di gestione degli anziani: con chi stare? Cosa fare e dove stare?

Un vero e proprio racconto, sempre attuale, su quella che è la crisi della famiglia…
Prima c’era una presunzione di vita che andava, ottimisticamente, intorno ai settanta-settantacinque anni; oggi, invece, il problema è più forte: si arriva a novanta, certo, ma questi vent’anni in più sono spesso a carico di chi ha una vita sua, dei figli suoi, un lavoro; una vita, quella di molti figli, purtroppo rallentata dai propri genitori... Un problema di cui, oggi, non s’è ancora vista la vera portata sociale.

Rispetto al cinema, vi è una maggiore vicinanza tra lo spettatore ed il teatro… qual è, oggi, il ruolo del Teatro?
Fortunatamente, il ruolo del Teatro è quello di sempre: un rito collettivo, un rito sociale, che vuole migliorare delle persone che decidono di riunirsi, chi per raccontare e chi per ascoltare. Un rito in cui si è tutti vivi e si è tutti partecipi. Il cinema è, senza dubbio, un mezzo straordinario, che però subisce uno svantaggio: l’attore, una volta resa la sua performance, non può più migliorarla e la sua presenza non è “necessaria”, può non essere presente alla rappresentazione; il teatro, invece, richiede l’essere in vita di tutti i suoi componenti e questo lo rende una forma di spettacolo unica ed irripetibile.

Cinquant’anni senza Totò. Una risata potrà ancora salvarci?
Questo è fuori da ogni dubbio: finché, ancora, ci sarà qualcuno che si accorge che il re ha il culo di fuori e lo fa vedere agli altri, la risata resta la più grande speranza; forse, una delle poche che ci sono rimaste ed è la ragione per cui bisogna continuare a diffondere, a guardare, a raccontare ai nostri figli ed i nostri figli ai loro figli la grandezza di personaggi come Totò, come Peppino De Filippo, come Massimo Troisi, come Chaplin e potremmo andare all’infinito. Loro fanno parte di una risorsa straordinaria che gli esseri umani hanno a disposizione, come la musica o la pittura; ma la funzione dei comici è quella che ci risulta più semplice da “attivare”, proprio perché è priva di minacce e controindicazioni.

Impossibile non farLe una domanda su Massimo Troisi e sul vostro rapporto più che lavorativo. Com’è nata l’alchimia?
Doveva succedere: le nostre vite, molto distanti, sono state avvicinate da una serie di circostanze misteriose e, per qualche verso, anche straordinarie. Tutto ha fatto sì che ci incontrassimo e, quando è successo, s’è capito perché tutte ‘ste cose succedevano: avevamo dei “compiti” – che, fortunatamente, ancora abbiamo – che dovevamo fare insieme per sì che qualcosa rimanesse per sempre. Siamo stati molto fortunati, perché non è una situazione che capita a tutti; ed eravamo parti inconsapevoli di un progetto a cui abbiamo consapevolmente aderito.

Ma è vero che per lo sketch di “Annunciazione!” siete stati denunciati per vilipendio alla religione di Stato?
Sì, dopo la prima messa in onda, alcune associazioni religiose si ritennero offese dai contenuti dell’”Annunciazione!” e ci portarono in tribunale dove, poi, siamo stati assolti perché non vi era alcuna intenzione di vilipendere la religione di Stato. Ma comunque la RAI, in maniera cautelativa, decise di non mandare più in onda lo sketch e di metterlo in una scatola chiusa per sempre. Fortunatamente, c’è stato chi – come Renzo Arbore – decise, dopo diverso tempo, di prendersi un rischio e di rimetterlo in onda: oggi è un vero “oggetto di culto” da parte di parecchi e questo è anche merito di Renzo, che si prese il rischio e la responsabilità di mandarlo in onda malgrado tutto.

Dove ricerca la Sua ispirazione?
Sono tante le cose che mi colpiscono; certe volte, anche involontariamente: persone che mi raccontano delle storie, esempi di comicità involontaria che possono essere codificati ed inseriti nello spettacolo. Bisogna stare con le antenne alte e gli occhi aperti, sempre umili e disponibili; in mezzo alla strada, in mezzo alla gente… l’ispirazione, poi, arriva!

Gaetano, il personaggio che Troisi interpretava, voleva ricominciare da tre. Invece, Lei?
Io, invece, non volevo ricominciare da zero tutti i giorni; ma fortunatamente, ogni volta che si crede di aver raggiunto una stazione dove ci si possa fermare per un po’ di tempo, il treno si muove e ci porta da un’altra parte: questo ci obbliga a inventarci sempre qualcosa di nuovo; spesso non ci riusciamo, spesso è faticoso… ma fa parte del divertimento: non si deve arrivare da nessuna parte, ma si deve continuare a viaggiare!


Marialaura Garripoli
Lasiritide.it



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