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Recensione:“La mia vita da zucchina”, un film di Claude Barras |
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26/03/2017 | “La mia vita da zucchina “, un film di Claude Barras racconta la storia di sette bambini che vivono in una casa famiglia. Ognuno di essi ha dentro una storia dolorosa di abbandono, violenza, droga. Sono tutti piccoli “adulti” che non sanno più sorridere, non riescono più a piangere e ridere di gusto. Hanno dovuto difendersi da genitori drogati, alcolizzati, violenti, che continuano ad amare. Hanno dentro, per sopravvivere, muri ricoperti in cima da filo spinato. E scontano le violenze subite facendo la pipì a letto, ingozzandosi di cibo, con tic che non riescono a controllare.
Zucchina, che si chiama Icaro, porta con sé una lattina di birra come unico ricordo della madre (che però faceva un purè molto buono) e ha disegnato su un aquilone il suo papà supermen da un lato e una gallina sul retro perché la mamma diceva che suo padre «correva sempre dietro alle pollastrelle».
Simon è stato tolto a due genitori drogati, è il “bullo” della casa famiglia, odia i poliziotti e aspetta dai genitori che sono in carcere e che gli mandano solo mp3 di musica, una lettera vera che non arriva.
Camille ha visto il padre uccidere la madre e si deve difendere da una zia che la vuole adottare solo per soldi. Con loro Ahmed e Jujube con i genitori rimpatriati, Alice e Beatrice, molestata dal padre.
Lo spettatore scopre la casa-famiglia come luogo di amore e di speranza. Lì si mangiano quasi sempre patatine, la direttrice, Rosy la sua assistente con il suo compagno sono persone vere che abbattono tutto l’immaginario dei collegi lager di cui ci siamo nutriti al cinema e con i romanzi. Non sono tutte rose e fiori tuttavia, in una casa famiglia. E non solo perché i bambini devono riconoscere e saper accettare le loro ferita, ma anche per le dinamiche che si instaurano fra di loro. C'è chi sfoga la sua sofferenza facendo il bulletto, chi invece si chiude a riccio fino a nascondere la sua faccia...
Zucchina entra in questa comunità già formato, deve trovare il suo posto e insieme un senso alla propria vita, ora che non ha più un padre né una madre...
In questa casa-famiglia, sotto l'occhio vigile della coppia che li accoglie e della direttrice, possono accadere cose positive, si può scoprire l'amore e si può fare breccia in qualcuno che ha un cuore grande.
Rosy e il suo ragazzo portano i piccoli sulla neve e con loro ballano il rap. E la neve li affascina perché pura, immacolata.
E il mistero del sesso è raccontato come solo i piccoli sanno fare con “piselli che esplodono” e ragazze che “sudano moltissimo e continuano a dire che sono d’accordo..ah si..si…si…”
Nella casa famiglia Rosy aspetta un figlio dal suo ragazzo e quando Antoine arriva la madre assicura ai suoi ragazzi che non lo abbandonerà anche se puzza di cacca, piange sempre e fa le puzze.
Ed è un poliziotto Raymond che adotta Zucchina/Icaro e Camille e diventa il loro padre, un padre vero, che è stato abbandonato dal figlio ormai grande.
Il film è puro, semplice. Gli interni, i paesaggi sono essenziali, la colonna sonora è discreta e giusta. Presto dimentichiamo le “marionettes”, pupazzi animati in stop motion, e Zucchina, Camille, Simon con i loro grandi occhi diventano anime che soffrono,combattono, sperano.
La tecnica del film di animazione detta stop motion assume nel film “ La mia vita da zucchina”una delle sue più convincenti espressioni, sia sul piano delle immagini, che su quello del racconto. Essa è basata non su disegni bidimensionali ma su pupazzi e oggetti tridimensionali, in questo caso di plastilina, fotografati a passo uno, ossia passo a passo, in ogni singolo movimento. Per girare pochi fotogrammi ci vuole un giorno intero. Il regista Claude Barras e la sceneggiatrice Céline Sciamma sono riusciti a fondere i due piani in unicum narrativo-iconografico raro, sorprendente, capace di entrare in una sintonia profonda ma delicata con la sensibilità immaginativa e le risorse intellettive dei bambini e degli adolescenti. Il best-seller francese del 2002 Autobiographie d’une courgette di Gilles Paris, da cui il film è tratto, ha avuto anche un adattamento televisivo di successo nel 2007 con il titolo di “C'est mieux la vie quand on est grand”.
Un film sulla solitudine dei bambini sui loro traumi, bisogni, curiosità. Sul diritto di ogni piccolo essere umano all'amore e su quanto siano belle giuste e terapeutiche la condivisione, la solidarietà, gli affetti, la gioia per lenire ogni ferita inflitta loro dal mondo degli adulti. Un film straordinario con le nuvole al di sopra di ogni umana bruttura. Perché ogni bimbo ha diritto al suo cielo.
Con loro alla fine siamo anche noi capaci di ridere e piangere, perché si “può piangere anche di gioia” e ascoltiamo il canto della coppia di uccelli che sull’unico albero della casa-famiglia ha fatto il nido e nutrono i loro piccoli.
Il dolore come dato dell’esistenza umana ci riporta sempre al bambino rimasto in noi. Come dice il poliziotto Raymond: “Ci sono anche genitori abbandonati dai figli”.
Un film da vedere insieme - piccoli e grandi - per sentire l’uno dentro l’altro il suono di quello stop motion, di quel passo a passo fatto di comuni parole, sentimenti, pensieri.
Nel contesto di un cinema - tanto per ragazzi quanto per adulti - dove la tendenza generale è quella all'isterizzazione, all'accumulazione, alla sovrabbondanza, La mia vita da zucchina è una piccola oasi che permette di fare un bel respiro, rallentare e ascoltare. Ascoltare e comprendere.
Su “La mia vita da zucchina“ esiste un "Progetto scuole", un'opportunità da cogliere, visto l'alto valore educativo e morale che il film incarna.
Bella 26 marzo 2017 Mario Coviello
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