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Recensione:“ Manchester By The Sea”, un film di Kenneth Lonergan |
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27/02/2017 | Mare, fuoco, rabbia e dolore
Manchester è una piccola lingua di terra bagnata dal mare e da tanta pioggia, dove le famiglie si ritrovano a vivere una vita semplice, fatta di stagioni che si rincorrono. Tra terra e mare vive anche la famiglia Chandler, in bilico tra il volersi ritrovare e la paura degli affetti un tempo perduti, che hanno spezzato qualcosa di impossibile da riparare. Lee Chandler (Casey Affleck) dalla sua Manchester è fuggito e ora fa il portiere tuttofare di un caseggiato a Boston tra casalinghe disperate e tubi da riparare. L’ombra della morte sembra però volerlo rincorrere. Il fratello maggiore Joe (Kyle Chandler) muore all’improvviso e lo riporta di nuovo a casa. Nel paese lui è “quel” Lee Chandler, che provoca ancora sussurri di riprovazione. Joe ha lasciato un figlio sedicenne Patrick (Lucas Hedges), e Lee non ha scelta deve occuparsi di lui.
Manchesterr by the Sea è il terzo film di Kenneth Lonergan, ha ricevuto ovunque grandi consensi, in Italia è stato applaudito al Festival di Roma, ed è tra i grandi favoriti per l’Oscar mentre Casey Affleck, nei panni di Lee, ha trionfato ai Golden Globes.
Capita difficilmente di vedere nello stesso film una dose così violenta di dolore e sventura unita a grande sobrietà. In questo senso “Manchester by the Sea” è un film raro, in cui i personaggi combattono con l’amore, i sentimenti, l’espressione di qualsiasi emozione profonda, per sopravvivere.
Il dolore trattenuto, la rabbia pronta a esplodere, il desiderio di alienazione e il continuo riaffacciarsi dei rimorsi scorrono sul viso del protagonista Lee, facendo crepe nella corazza di ghiaccio da cui si è lasciato avvolgere il giorno in cui, a causa di un errore fatale, la sua vita è andata in frantumi. Lo seguiamo mentre sbriga le formalità che seguono la morte di qualcuno: i documenti da firmare, la visita alle pompe funebri, l’apertura del testamento in cui scopre con sgomento di essere stato nominato dal fratello tutore di Patrick. E intanto i ricordi lo assalgono, sotto forma di flashback: una moglie giovane, due figlie e un terzo appena nato. Fino all’ultimo tassello, quello che trasforma l’immagine di una quotidiana, banale felicità in un paesaggio da incubo.
“ Manchester by the Sea” è tanto sincero e attento alla misura da riuscire a usare il ralenti, o un commento musicale che prevede l’Adagio di Albinoni senza scadere nella retorica. Merito anche di una sceneggiatura che, nel raccontare il rapporto fra Lee e Patrick, tanto impreparati alla convivenza forzata da risultare a tratti divertenti, riesce ad alleggerire il dramma senza snaturarlo, anzi restituendogli quell’ambivalenza dei sentimenti che è propria della vita vera. In “Manchester by the Sea” la dolce malinconia assume un sapore profondamente amaro, lancinante, di quelli che ti logorano dentro e il regista di ‘Conta su di me’ è abilissimo nel rendere le varie sfumature attraverso Lee, ma anche tramite le scelte di vita, i silenzi e l’espressività del personaggio a cui dà volto la Williams, moglie di Lee. I due si amavano , poi un tragico evento ha creato una frattura che non ha fatto però dimenticare certi sentimenti. Ad aggiungere note malinconiche e al tempo stesso di fuga ci pensa il paesaggio. Il film è stato girato a Cape Ann, dalla fine di febbraio a maggio e grazie alla macchina da presa ci si perde nei promontori che affacciano sull’oceano.
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