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Una notte al ..liceo di Venosa. Intervista a Giuseppe Filidoro |
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14/01/2017 | La Notte, la divinità primordiale figlia del Caos, madre dell’Etere e del Giorno. La notte appena trascorsa ha spalancato porte, ha buttato luce su 388 Licei Classici, per dare ampio respiro alla cultura umanistica. Per la terza edizione de “La notte nazionale del Liceo Classico”, Venosa – ancora una volta – è stata la prima nel decantare le idee e le gesta dei suoi studenti. A partire dalle 18 fino alla Mezzanotte, si sono alternate esibizioni teatrali, musicali e canore, coreutiche; come nell’adorazione di Dioniso, su quello che fu terreno della Magna Grecia così fertile all’Arte. Ospite della serata il lavellese Medico Psichiatra Giuseppe Filidoro, Psicoanalista della Società Psicanalitica Italiana e dell’International Psychoanalitical Association, a presentare il suo romanzo “Il silenzio della neve” [Osanna Edizioni, 2013; ndr] e ad introdurci al suo ultimo lavoro.
Siamo nella “notte dei Licei Classici”, tempo dedicato alla cultura umanistica. Qual è il ruolo del Liceo Classico oggi? Quale la sua funzione sociale? È importante, per una nuova e migliore Società, ritornare all’Umanesimo e alla sua sensibilità?
Essendo stato un ex studente del Classico, se potessi tornare indietro certamente io rifarei il liceo Classico; a quello di Venosa, poi, sono particolarmente affezionato, essendo stato il “mio” liceo. Io credo che il liceo Classico, proprio per questa ricchezza che la cultura classica ancora trasmette, offra un grande patrimonio di sensibilità. Credo che il nutrirsi della cultura classica renda gli uomini e le donne migliori; e uomini e donne migliori vuol dire individui che fanno una società migliore. Ci si è allontanati molto dall’Uomo; e trovo brutale, un’oscenità, sentir dire che bisogna privilegiare la tecnologia rispetto all’Umanesimo. L’Umanesimo è l’Uomo e noi non siamo macchine; siamo Uomini e come tali, in quanto fatti di Umanità, possiamo trovare le risorse per la nostra crescita solo nell’Umanesimo, nella cultura degli affetti; di certo non nella cultura della macchina.
Nel Suo romanzo, ci racconta di un luogo nel Sud più profondo, dove il Tempo è scandito lento dal solo trascorrere dei minuti e delle ore, dal ritmo delle stagioni. Un Tempo naturale che va ad intrecciarsi con un Tempo interiore, che sembra placido quanto il primo...
Sembra placido, ma è una placidità apparente: in realtà, con lo snodarsi del romanzo, vediamo come i personaggi hanno – al di sotto di questa quiete apparente – una serie di questioni irrisolte, relative soprattutto al rapporto con il loro Passato, che improvvisamente porterà ognuno di loro ad un certo grado di tormento. Tormento che li condurrà alla ricerca di una pacificazione con se stessi, per placare i tormenti di quello stesso Passato.
Vi è un riferimento al mito di Ulisse; al viaggio verso il desiderio di scoperta, ma soprattutto di fuga, che molto spesso domina l’animo di chi nasce in questi “non-luoghi” del Sud, percepiti incredibilmente lontani dalla vera vita. È l’emigrazione; quell’andarsene “da qualche parte a vivere meglio”. Lei come ha vissuto il Suo viaggio?
Quando ero adolescente, Ulisse era il personaggio mitico di cui ero letteralmente innamorato: l’eroe che rappresentava questo desiderio di scoperta, ma che aveva forte dentro di sé il desiderio struggente del ritorno al luogo delle origini, che è la nostalgia. E questo romanzo nasce da un movimento nostalgico; per me, scriverlo è stato un “tornare” con la mente, con la mia memoria, con tutta la mia componente affettiva ai luoghi della mia infanzia, al Sud, ai luoghi della mia origine rivisitandoli – non riportandoli così com’erano, semplicemente – per poter attingere ai miei vissuti interiori, che ho poi trasmesso nello scritto.
Nel Suo ultimo romanzo “L’ultimo bagliore” [Osanna Edizioni, 2017; ndr], pubblicato oggi, ritornano il Passato ed il Viaggio; questa volta, però, il viaggio è un “nostos”, un ritorno…
C’è il Passato; c’è un ritorno ma, soprattutto, c’è il viaggio che la protagonista fa dentro di sé. Viaggio che diventa possibile ritornando ai luoghi delle sue origini, nel tentativo di ricomporre una trama affettiva, di mettere a posto le tessere di un mosaico ignoto, ma che fino a quel momento le aveva dato la sensazione lacerante di non essere in contatto con la propria vera identità.
Marialaura Garripoli
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