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Dalla e la sfuggente luna

2/03/2012

Siamo noi, siamo in tanti ci nascondiamo di notte per non farci ammazzare dagli automobilisti, dai linotipisti. Siamo gatti neri, pessimisti, siamo i cattivi pensieri e non abbiamo da mangiare. Ieri un amico se n’è andato. Amico perché tante volte lo abbiamo incontrato al bar, in osteria, per la strada e mai ci ha fatto mancare un saluto, uno sguardo umano. Una volta nella gelateria “da Pino” di via Castiglione poggiandomi, lui Lucio Dalla a me giovane studente universitario, la mano sulla spalla mi chiese scusa per essermi passato avanti nella fila. E lo faceva sempre con un sorriso buono, con la dolcezza del poeta dall’animo di cristallo. Ora sappiamo che anche il suo cuore era fatto di questa materia fragile, trasparente, da cui sgorgavano note limpide come i sentimenti: senza increspature. Ma proprio quella natura che ci fa simili doni rivuole, prima o poi, ciò che presta all’anima. Così ha ceduto e si è infranto, quell’organo nobile da cui riversavano, limpida fonte, tutte le sue passioni tramutate in parole e note dal genio artistico ch’era il lui. All’improvviso, senza darci il tempo di prepararci, lasciando un vuoto colmato solo dalla sua poesia. Lucio era un amico anche perché ci è stato vicino con le sue parole nei momenti difficili, nell’intimità dei nostri dolori. Nelle notti di pioggia, quando dietro ai vetri la solitudine trabocca mescendosi alla nostalgia. Quando l’intero mondo si trova racchiuso in un angolo di strada. Quando sono sbarrate le porte al mondo che ci ha delusi. È stato il poeta dell’amore: quello vero, della periferia metropolitana come in Anna e Marco: “Anna come sono tante, permalosa; Anna con le amiche, Anna che vorrebbe andar via. Marco grosse scarpe e poca carne, Marco cuore in allarme, Marco col branco Marco che vorrebbe andar via”. Era il suo, a volte, un amore parlato, sussurrato come quando diceva: “cosa ho davanti, non riesco più a parlare, dimmi cosa ti piace, non riesco a capire dove vorresti andare. Quanti capelli che hai, lasciati guardare, sposta la bottiglia e lasciami guardare se di tanti capelli ci si può fidare…”. Ma la sua anima sfociava sempre in una dimensione poetica e quelle che ci ha lasciato sono immagini meravigliose che ci portano sempre lontano nei puri spazi eterei e luminosi dell’anima: “conosco un posto nel mio cuore dove tira sempre il vento per i tuoi pochi anni e per i miei che sono cento, non c’è niente da capire basta sedersi ed ascoltare”, diceva. Così Anna e Marco, avvolti da un alone di misterioso anonimato, in una società in cui l’individuo si perde nel fiume della moltitudine, tornano da loro viaggio nel sogno, tenendosi per mano. Dalla non ha voluto essere il cantante della protesta sociale, anche se questa società gli stava stretta, bensì colui che cambia le cose con l’amore, la gentilezza dell’arte: un tornitore che addolcisce i contorni della ruvida argilla. Uno scalpellino che dà forma alla pietra; un cesellatore che foggia con delicatezza il metallo o ancora l’intarsiatore che addolcisce la possanza silvestre del faggio dandogli la forma di un angelo. I suoi strumenti di lavoro erano i versi e le parole, le note e gli accordi che avvicinando gli animi, anche i più rudi, alla poesia ne ammorbidiscono i tratti placandone la rabbia. Le immagini che ci ha regalato sono frammenti di arte pura soprattutto se associati alle note che le accompagnano, con la ricorrente figura di quella luna, a volte amica e a volte mistero. Ne riportiamo solo alcune, tra le tante, che ci daranno il senso della loro bellezza: “ (da -Anna e Marco-)…ma dimmi, dov’è la strada per le stelle? Mentre parlano si sguardano e si scambiano la pelle e cominciano a volare, con tre salti sono fuori dal locale, con un aria da commedia americana sta finendo anche questa settimana, ma l’America è lontana, dall’altra parte della luna che li guarda e anche se ride a vederla mette quasi paura, e la luna in silenzio ora si avvicina. Con un mucchio di stelle cade per strada: luna che cammina, luna di città! Poi passa un cane che sente qualcosa li guarda abbaia e se ne va. ( da –Caruso- )… vide le luci in mezzo al mare, pensò alle notti la in America, ma erano solo le lampare e la bianca scia di un’elica. Sentì il dolore nella musica, si alzò da pianoforte, ma quando vide uscire la luna da una nuvola gli sembrò più dolce anche la morte. Guardò negli occhi la ragazza, quegli occhi verdi come il mare, poi all’improvviso uscì una lacrima e lui credette di affogare…”. Sfumiamo questo nostro piccolo, modesto omaggio al grande maestro con quella sobrietà richiesta dal momento e con le parole di quello che noi consideriamo il suo manifesto morale ed artistico sul quale ognuno potrà riflettere, commuoversi se si sentirà di farlo o cercare di trovare almeno un significato per quell’esperienza alla quale non si riesce mai a dare un senso veramente compiuto: la vita. ( da – balla balla ballerino- ) “balla balla ballerino, tutta la notte e la mattino; non fermarti. Balla su una tavola tra due montagne e se balli tra le onde del mare io ti vengo a guardare. Prendi il cielo con le mani, vola in alto più degli aeroplani, non fermarti: sono pochi gli anni, forse sono solo giorni e stan finendo tutti in fretta e in fila, non ce n’è uno che ritorni. Balla non aver paura se la notte e fredda e scura non pensare, alla pistola che hai puntata contro. Balla alla luce di mille sigarette e di una luna che ti illumina a giorno, balla il mistero di questo mondo che brucia in fretta, quello che ieri era vero, dammi retta, non sarà vero domani. Ferma con quelle tue mani quel treno, Palermo Francoforte, per la mia commozione c’è un ragazzo al finestrino, gli occhi verdi che sembrano di vetro, corri e ferma quel treno, fallo tornare indietro. Balla anche per tutti i violenti, veloci di mano e coi coltelli, accidenti. Se solo capissero vedendoti ballare, di esser morti da sempre anche se possono respirare. Vola e balla sul cuore malato, illuso sconfitto poi abbandonato, senza amore, dell’uomo che confonde la luna con il sole senza avere coltelli in mano ma nel suo povero cuore. Allora vieni angelo benedetto, prova a mettere i piedi sul mio petto e stancarti a ballare al ritmo del motore e alle gradi parole di una canzone, canzone d’amore. Ecco il mistero, sotto un cielo di ferro e di gesso l’uomo riesce ad amare lo stesso, e ama davvero. Nessuna certezza; che commozione, che …tenerezza.

Antonio Salerno



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