In queste giornate di festa forse abbiamo un poco di tempo in più per noi stessi. Se è così, vi consiglio di acquistare e leggere “Nel mare ci sono i coccodrilli” di Fabio Geda. Leggetelo per voi stessi e per i vostri figli, raccontatelo e raccomandatelo agli amici. Citatelo nelle frequenti discussioni sugli immigrati, gli attentati terroristici, le guerre di religione.
Enaiatollah Akbari,afgano costretto a fuggire dalla sua casa e dalla sua terra, racconta il suo viaggio attraverso il Pakistan,l’Iran, la Turchia, la Grecia che lo porta infine a Torino. Ena che ha 10 anni all’inizio della storia, abbandonato dalla madre in Iran,racconta otto lunghi, difficili, dolorosi anni della sua vita. Rimasto solo, impara a sopravvivere in città diverse, conoscendo gli uomini, imparando a fare il cameriere, il commesso, il venditore ambulante, il muratore, lo spaccapietre. Viaggia in pullman, su camion, macchine, treni, canotti, navi. Ha sempre addosso la paura di essere preso perché non ha documenti e si affida alla sua capacità di pensare, senza mai arrendersi. E’ stato strappato alla scuola, il suo maestro è stato ucciso dagli estremisti, la scuola bruciata, ed Ena nelle città e nei paesi che attraversa, appena può, spia i cortili delle scuole, ascolta i canti degli alunni, li osserva mentre entrano o escono dalle aule.
Ena non smette di combattere, vuole sopravvivere, trovare un posto, sentirsi al sicuro. Ama giocare a pallone e lo fa appena può, dove gli è possibile. E ricorda sempre i giochi con gli ossi di cane, le corse degli aquiloni che faceva nel suo paese.
Incontra persone che lo accolgono,gli danno denaro, altre che vogliono ingannarlo, sfruttarlo. Ena soffre la fame, il freddo, combatte la paura. E finalmente a Torino Danila e Marco e i loro figli Matteo e Francesco, lo accolgono nella loro casa. Ena ha una stanza tutta per lui, un pigiama che non sa come indossare, acqua calda per lavarsi e soprattutto cibo buono sempre. Certo al funzionario che a Roma deve decidere se è un rifugiato politico racconta “degli incubi che agitavano le mie notti…in quegli incubi fuggivo e, fuggendo, cadevo dal letto,spesso, oppure mi alzavo , strappavo via la coperta…e andavo a dormire in macchina..E tutto questo senza rendermene conto..Oppure piegavo i vestiti da una parte , ordinati, e mi sdraiavo in bagno, in un angolino. Ho raccontato che cercavo sempre gli angolini per dormire…”
Ena è finalmente un rifugiato politico, ha i documenti, una famiglia adottiva che lo protegge, frequenta la scuola e ha imparato dopo l’afgano, il pakistano, il turco, il greco, l’inglese, l’italiano e non ha più bisogno di un’interprete perché “ se parli direttamente con le persone trasmetti un’emozione più intensa, anche se le parole sono incerte e la cadenza è diversa..”
E Ena, dopo otto anni, può perdonare la madre che ha dovuto abbandonarlo per tornare a casa e proteggere il fratello più piccolo, e ascoltarla a telefono. “ Ho detto: Mamma. E dalla cornetta è uscito solo un respiro, ma lieve, e umido, e salato. Allora ho capito che stava piangendo anche lei. Ci parlavamo per la prima volta dopo otto anni, otto, e quel sale e quei sospiri erano tutto quello che un figlio e una madre possono dirsi, dopo tanto tempo…In quel momento ho saputo che era ancora viva e forse, lì, mi sono reso conto per la prima volta che lo ero anch’io. Non so bene come. Ma lo ero anch’io.”
Quando incontriamo per strada una persona con il colore della pelle diverso dal nostro, quando bussano alla nostra porta per chiedere aiuto, quando ci chiedono di fare qualcosa per accogliere, proteggere, salvare.
Non tiriamoci indietro, facciamolo per noi stessi, per essere migliori.
Bella 27 dicembre 2016.
Mario Coviello
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