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Recensione:“Italiano e la creatività – Marchi costumi, moda deisgn” |
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3/12/2016 | L’Ebook “Italiano e la creatività – Marchi costumi, moda deisgn” di 120 pagine edito dall’Accademia della Crusca di Firenze, Goware ed acquistabile al prezzo di 4,99 euro in Ebook e al prezzo di 20 euro in cartaceo, parla del design, come la moda, che rappresenta una delle eccellenze
della creatività italiana nel mondo. E legittimo chiedersi la ragione per cui al successo
di questo aspetto del Made in Italy non corrisponda (o almeno non sempre) una parallela affermazione della lingua italiana. Il design italiano ha sempre parlato inglese sin dalle origini. Ma ci sono anche episodi in controtendenza, come si vede dall’intervista esclusiva all’attuale titolare di uno dei marchi piu noti del design industriale italiano, Alberto Alessi. Ripercorrendo la storia della collaborazione tra l’azienda Alessi e alcuni dei piu famosi architetti e designer italiani e stranieri, l’industriale si sofferma sull’aspetto del naming dei prodotti, spesso suggerito dagli stessi creatori. Operazione anche questa da collocarsi in un contesto di globalizzazione, in cui la lingua italiana puo ritrovare una sua funzione, in chiave principalmente ludiSe il design e, culturalmente, molto milanese, la parola “design” e, anagraficamente, molto italiana. Per una prima ragione, del tutto ovvia ai linguisti, che pero fuori della loro cerchia stenta a convincere: una parola straniera una volta entrata nella nostra lingua le appartiene. Il suo significato va cercato nel dizionario italiano e non, come potrebbe essere in questo caso, inglese. Le parole, infatti, viaggiando da una lingua all’altra perdono taluni dei tratti con i quali erano nate, subiscono restringimenti nel significato, ma anche dilatazioni, e una volta giunte a destinazione vivono di vita. Uno dei vari italianismi, dunque, che fanno fede, in età elisabettiana e giacominiana, dell’apertura verso la cultura continentale, con inversione di rotta rispetto al precedente secolare clima di isolamento nel culto dell’insularita.ca, allusiva e ironica. Nella moda, negli ultimi decenni del Novecento, il Made in Italy e pero diventato un concetto tutt’altro che pacifico, spostandosi dal piano geografico e denotativo (quello dei beni ideati e prodotti da italiani su suolo italiano) a uno più ideale e connotativo. Scomparsi molti degli stilisti che hanno fatto grande la moda italiana nel mondo, per lo più sostituiti da squadre transnazionali di anonimi fashion designers, ed esternalizzata la filiera produttiva in Paesi in via di sviluppo o dalla scarsa rappresentanza sindacale, l’italianità del prodotto di moda si e ridotta – ma non e poco! – a un nucleo di valori associati a ciò che l’Italia ha rappresentato e ancora rappresenta.
E al settore della moda, insieme al gastronomico e all’automobilistico, che piu si immediatamente associa il celebrato Made in Italy, ovvero quella miscela di gusto estetico, competenza artigianale e qualità delle materie prime per cui il nostro Paese e noto e apprezzato in tutto il mondo. E non da un giorno. Per limitarci a un paio di curiosita, si puo ricordare che verso il 1760 la voce macaroni – con cui storicamente, in modo non proprio lusinghiero, gli italiani vengono spesso chiamati all’estero – in inglese prese a indicare un giovane alla moda dai gusti raffinati ed esterofili; oppure che negli anni Settanta del secolo scorso il giovanilismo rumeno italienist veniva usato nel significato peggiorativo di “giovane vestito all’ultima moda , che passa il tempo per strada, non lavorando e no
Biagio Gugliotta
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