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A Banzi, in compagnia del “paeseologo”: Franco Arminio |
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19/02/2012 | E’ rischioso essere assertivi, se non hai un buona base argomentativa. Oggi, proviamo a farlo quest’azzardo e dichiariamo semplicemente: abbiamo sempre bisogno di una guida! Che sia mappa, che sia pregiudizio, che sia fede, che sia mentore! Ne abbiamo bisogno per orientarci, ne abbiamo bisogno per aiutarci a capire.
Ebbene, vogliamo consigliarne una a chiunque voglia raggiungerci a Banzi in occasione della 6 ore dei Templari. In particolare a chi viene per la prima volta e, anche, a chi ci conosce già. Il suo nome è Franco Arminio. E’ guida esperta, si occupa di geografia. Quindi molto utile per tutti anche per chi a Banzi ci abita.
In questa grande e indefinita disciplina che è la geografia, la guida che proponiamo ha individuato un ambito di indagine e di ricerca molto interessante: la paeseologia.
Un neologismo non è riconosciuto nemmeno dai correttori di editing e se proviamo a pronunciarla spesso, o almeno le prime volte, ci si confonde con la paesanologia. Ma la nostra guida ci subito ci avverte che da questa è molto distante. E’ distante perché la paesanologia è “idolatria della cultura del luogo”, la paeseologia non ha niente da idolatrare, piuttosto prova a buttare giù più di qualcuna di idolatrie. Il suo statuto metodologico è fondato sulla “fusione tra geografia e poesia” e il suo primo manuale è Terracarne.
Come in ogni manuale che si rispetti, si tratta di una sistemazione di materiali e indagini prodotte e in collaborazioni con giornali (Il Mattino, Corriere del Mezzogiorno, il Manifesto, Reportage) e come autore di blog (Comunità provvisorie, Doppiozero, Il primo amore).
Ma Terracarne perché? L’autore lo spiega in “Fontanelle del respiro” in cui dichiara che la “paeseologia non è altro che il passare del mio corpo attraverso il paesaggio e il passare del paesaggio nel mio corpo. E’ una disciplina fondata sulla terra e sulla carne”. Eravamo riusciti a malapena a digerire il principio di indeterminazione di Heisemberg (l’influenza dell’osservatore sull’osservazione) che ci ritroviamo avviluppati in una interazione ancora più complessa, una interazione “in cui l’osservatore e l’oggetto dell’osservazione arrivano spesso a cambiare di ruolo”.
Questo cambiamento, con conseguenze nefaste, è sicuramente evidente quando Arminio, ne “La guerra del fiato sprecato”, rifiuta di indagare quello che sembrerebbe ad ognuno di noi il consueto e il normale oggetto della nostra attenzione: il centro. E afferma che facendo questa scelta rischierebbe “di finire in mezzo al mondo come una lumaca senza guscio finisce in mezzo a una autostrada. Devo tornare ai margini prima che sia tardi. Nessun centro mi piace: il centro del mondo è rapace.”
Senza paura, quindi, di rilevare il grado di estrema debolezza in cui si precipita se non si prova a resistere a questa forza centripeta della consuetudine, l’autore di Terracarne sceglie, sempre per sempre come canterebbe un autore di successo, la parte, il campo di indagine che sta nel margine, nella periferia, in tutto ciò che sembra ormai provvisorio e in via di superamento. Da questa parte, il cambiamento dei ruoli, la situazione in cui “è la terra ad indagare gli umori di chi la guarda”, si manifesta senza ostentazione ma in modo altrettanto evidente. “Il paesologo va nei paesi a pescare lo sconforto e si ritrova tra le mani un poco di beatitudine: può essere uno scalino, una casa nuova o antica, può essere la visione di un castello o di un albero di noci, può essere una piazza vuota o un vicolo con il ronzio di una televisione. Si va nei luoghi più sperduti e affranti e sempre si trova qualcosa, ci si riempie perché il mondo ha più senso dove è vuoto, il mondo è sopportabile solo nelle sue fessure, negli spazi trascurati, nei luoghi in cui il rullo del consumare e del produrre ha trovato qualche sasso che non si lascia sbriciolare”.
Non so se Arminio è proprio la guida che ci aspettiamo di trovare dopo aver deciso di intraprendere il viaggio per Banzi, lui, comunque, utilizzando la famosa immagine, un messaggio in bottiglia lo ha messo e con strani destinatari: “Invio all’oceano le mie parole e per conoscenza pure alle pozzanghere”. Abbiamo pensato che sia noi che voi possiamo essere compresi tra questi destinatari.
Certo in 553 pagine di cui è costituito Terracarne, non è facile da sintetizzare questo messaggio. Ma a noi, persone semplici, serve non averlo troppo complicato. E allora:
“Arrotolate le strade,
le machine, le case,
chiudete in un sacco
tutta questa mercanzia.
Rimettiamo al loro posto gli alberi,
gli animali, la poesia.”
[Luigi de Bonis]
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