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La questione lucana |
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11/01/2012 | Non diciamo niente di originale quando affermiamo che nella nostra terra vi è , da sempre, una drammatica mancanza d’attenzione nei confronti delle arti. Basterà leggere ciò che scriveva Banfield a proposito delle condizioni culturali di Chiaromonte nel dopoguerra e su quale fosse l’approccio ai problemi sociali da parte del campione di popolazione da lui studiato. Chiariremo in seguito qual è il nesso tra la condizione sociale e la ricerca del bello. Volendo essere onesti fino in fondo è necessario ammettere fin da subito che con l’arrivo dei fondi derivanti delle attività estrattive e con l’attenzione posta in questo senso dai recenti governi, qualcosa sta cambiando, ma ciò non basta a recuperare l’abissale ritardo che questa Regione ha accumulato in tal senso. Sottolineiamo anche che, come ogni altro posto al mondo, anche questa terra ha dato i natali ad artisti, soprattutto in campo letterario e poetico, e a tanti talenti che si sono positivamente espressi e affermati in tutto il mondo. Ciò detto chiariamo che l’aspetto di cui vogliamo invece trattare è la generale mancanza di attenzione che tutta la società ha riservato al bello e all’arte. Diciamo questo perché tale questione potrebbe essere di fondamentale importanza per ogni futuro passo in avanti sulla via dello sviluppo. Per chiarire meglio il concetto partiremo da molto lontano e cioè dalla seguente considerazione: “ la virtù è sapere, cioè consapevolezza dei valori che l’uomo porta in sé, è superamento della propria limitatezza con la comprensione di ciò che accomuna tutti gli individui”. Questo concetto lo troviamo espresso da Ludovico Geymonat nella sua storia del pensiero filosofico quando tratta la filosofia socratica. Capiamo benissimo che già nel fiorentissimo quinto secolo a.c. si attribuiva importanza al singolo individuo quale elemento determinante per lo sviluppo e la formazione di una società. Proprio per questo quando, camminando per le strade dei nostri paesi notiamo case dei colori più diversi, architettonicamente disarmoniose; quando levando gli occhi notiamo sotto i tetti, a far bella mostra di sé, solamente misere grondaie malandate, arrugginite e non i bei cornicioni che potremmo aspettarci attraversando i vicoli, per esempio, di un paesino sviziero, bavarese, olandese o anche di molte aree italiane. Quando, di fronte all’ampio spazio di una piazza invano i nostri occhi vagano alla ricerca di un qualche monumento che ne faccia da ornamento, un’espressione artistica che non sia la onnipresente e quasi obbligatoria effige ai caduti. Quando il viandante percorre strade su cui si affacciano finestre con infissi diversi, adeguati non ad uno specifico stile architettonico, non ad un qualche senso estetico ma sempre e solo alle esigenze di coloro che vi abitano o che vi hanno abitato. Quando succede tutto questo è lecito interrogarsi sulle caratteristiche socio culturali degli individui che vi risiedono. Perché l’estetica non ha mai rappresentato un valore su cui investire, ne per il singolo ne tantomeno per la collettività? Persino le chiese, in luoghi come questi dove religione e clero hanno avuto, e tuttora hanno, un’influenza molto forte e dove l’elemento della fede è profondamente radicato nell’animo della gente, non hanno alcun che di particolare ad eccezione di quelle poche realtà, Tursi, Acerenza, Matera e Venosa, per le quali vale un discorso a parte. Il nostro quesito diventa inquietante se continuiamo a sviluppare il concetto di sapere secondo Socrate. Questi tende infatti ad unificare in un unico valore tre elementi: “il vero, il giusto e il bello”. In una società dove il bello subisce un processo di alienazione così importante, bisogna pensare che non vi sia neanche il sapere, che è la condizione essenziale per una qualche forma di saggezza. Si tratta certo di una speculazione sul pensiero di un filosofo greco vissuto più di duemilacinquecento anni addietro, ma se mettiamo in relazione questo pensiero con la realtà che ci circonda forse potremo constatare che qui da noi il bello e il giusto mancano veramente nella loro espressione più nobile. La realtà politica e sociale della Basilicata non è molto differente, oggi, da quella descritta ed analizzata da Baifield se non nella sua componente esteriore di adeguamento ad una certa forma di progresso del quale, anche se mal volentieri, persino una società come la nostra deve tener conto. Tali considerazioni sono di carattere deduttivo e comparativo ed acquistano particolare rilievo quando vi è un confronto tra la nostra ed altre realtà italiane. Se il filosofo avesse avuto ragione quindi, mancando qui da noi due delle tre componenti del sapere questo basterebbe a spiegare non solo la mancanza dell’arte e del bello ma anche quella della giustizia sociale e dello sviluppo con uno stato di imperante e duratura mancanza di saggezza. Non a caso abbiamo accostato il pensiero di un filosofo antico a quello di un sociologo contemporaneo proprio perché ciò che il primo aveva teorizzato trova alcune conferme pratiche nell’analisi sociologica condotta con metodo scientifico, dal secondo. Tornando a Geimonat egli dice che “ il sapere di cui Socrate parla non è un sapere astratto ma tecnico- pratico: ossia la consapevolezza di ciò che l’uomo fa, in qualunque mestiere egli operi (sia calzolaio o strega, politico o artista). Abbiamo alcuni dati che ci consentono di tentare un “processo deduttivo inverso” per usare le parole di Holmes o di “trarre, da elementi particolari, una regola generale” riprendendo Eco. La mancanza di attenzione per il bello si potrebbe quindi far risalire ad uno stato di ignoranza di una cospicua parte della società? E questa, a sua volta, potrebbe essere una condizione storicamente voluta dalla classe dominante? Il fatto è, che pur spingendo sull’accelleratore di una forzatura filosofica, i conti tornano alla perfezione se si tiene conto dei casi particolari rappresentati dall’analisi dei processi sociali ed economici. Per poter ipotizzare una regola generale riportiamo ancora qualche passaggio tratto dal saggio di Edward C. Banfield dal titolo “le basi morali di una società arretrata”. Lo facciamo iniziando proprio dal capitolo primo, da quello che potremmo considerare il quadro generale sul quale si inserisce l’intero studio di Banfield: ” negli Stati Uniti siamo abituati a veder fiorire un gran numero di iniziative il cui fine almeno in parte è l’incremento del benessere comune. Scegliendo a caso un settimanale americano troviamo in un solo numero: la croce rossa sta conducendo una campagna per ottenere nuove adesioni; l’Associazione Donne Professioniste e Dirigenti d’Azienda, al fine di raccogliere fondi da destinarsi alla costruzione di una nuova camerata per la locale scuola media, organizza uno spettacolo di circo equestre; i Futuri Agricoltori d’America( che si propongono di sviluppare, attraverso la formazione di individui e gruppi capaci di funzione di guida, spirito di collaborazione e senso di civismo fra gli agricoltori) annunciano un banchetto per padri e figli. Un’industria locale ha regalato alla scuola i volumi di un’enciclopedia. La Camera di Commercio organizza un pubblico dibattito sul progetto di costruzione tra due paesi vicini. È in corso la campagna di iscrizione al gruppo di difesa antiaerea. Una chiesa locale ha raccolto offerte per un valore di 1939,11 dollari per un ospedale pediatrico a 350 chilometri di distanza. L’ufficio agricolo della Contea invia uno dei suoi dirigenti a Woshington, a 2000 miglia di distanza, per prendere parte ad una discussione su problemi agrari. Nelle scuole si tengono riunioni dell’Associazione Genitori e Insegnanti. “come cittadino rispettabile della nostra comunità – dice il manifesto – tu appartieni all’associazione. Montegrano ( in provincia di Potenza)- Continua Banfield – Comune di tremilaquattrocento abitanti, nella maggioranza poveri contadini e braccianti, presenta un quadro profondamente contrastante. Nessun giornale viene pubblicato a Montegrano o in altra delle tredici località che si trovano nella cerchia delle colline circostanti. Gli occasionali annunci che possono interessare la popolazione – “si vende pesce a 100 lire al chilo in piazza” – vengono fatti da un banditore che richiama l’attenzione della gente al suono di una tromba. Venticinque uomini appartenenti al ceto più abbiente sono membri di un circolo. A nessuno dei membri è mai venuto in mente che l’associazione potrebbe occuparsi dei problemi del paese o iniziare un qualche progetto. I commercianti di Montegrano sono ben consapevoli dell’importanza di buone comunicazioni stradali; ma sanno anche che le autorità, cui spetta decidere quali strade debbano essere migliorate, non danno ascolto ai loro pareri. Un cittadino di Montegrano potrebbe scrivere una lettera (come facciamo noi con i nostri articoli) alle autorità provinciali o al giornale di Potenza, ma molto probabilmente tutto finirebbe lì; le autorità potrebbero risentirsi di quella che potrebbero considerare come un’interferenza nelle loro competenze. Nessuna organizzazione caritativa volontaria esiste a Montegrano. Alcune suore si prodigano a mantenere in vita un orfanatrofio femminile nel vecchio edificio di un ex convento, ma non si tratta di un’iniziativa locale; e benchè le bambine provengano da famiglie locali gli abitanti di Montegrano non contribuiscono in misura alcuna alle spese. Il convento è un rudere in pessimo stato di manutenzione, ma nessuno dei molti manovali saltuariamente occupati ha mai pensato di offrire una giornata lavorativa per fare delle riparazioni; e sebbene si sappia che il vitto delle bambine è insufficiente, nessun contadino o proprietario terriero ha mai dato un pollo o un sacco di farina all’orfanatrofio”. Così Banfield, politologo, docente e ricercatore in diverse Università statunitensi, consigliere di almeno tre Presidenti degli Stati Uniti, descriveva Chiaromonte, mascherato col nome di Montegrano, negli anni 50. Questa fotografia rimane impressionante per la sua attualità anche se al posto di una completa mancanza di stampa vi è una cronica carenza di stampa veramente libera e indipendente; la dipendenza dei poveri è passata dal proprietario terriero al politico che gestisce direttamente le risorse pubbliche; lo scollamento tra la classe dirigente e i problemi locali vede protagonisti non già i notabili del “circolo” bensì i notabili del partito. Oggi come allora abbiamo una economia completamente ingessata perché dipendente in gran parte dai soldi pubblici elargiti a mò di elemosina senza nulla pretendere in cambio se non il voto. Ma tutto questo rimane ancora un effetto tangibile di una legge generale alla quale ancora non abbiamo accennato. Per giungere ad un enunciato ci serviremo ancora di due riflessioni: di Geymonat e dello stesso Banfield. Quest’ultimo afferma nel suo saggio, riferendosi alle nostre realtà “arretrate”: “il comportamento politico riflette gli interessi e gli antagonismi di classe. La classe agiata non costituisce una guida perché vive dello sfruttamento del contadino, e può continuare a farlo solo fintantochè lo tiene nella miseria e nell’ignoranza. In una società di familisti amorali, coloro che ricoprono cariche pubbliche, non identificandosi in alcun modo con gli scopi dell’organizzazione a cui appartengono, si daranno da fare quel tanto che basti per conservare il posto che occupano o ( se pensano che ciò sia possibile) per ottenere promozioni. In realtà le cariche pubbliche o le conoscenze specializzate, saranno considerate da coloro che ne dispongono come armi da usare a proprio vantaggio contro gli altri”. Il secondo autore che abbiamo considerato in questo articolo, Ludovico Geymonat ci offre un altro spunto da cui partire per la formulazione del nostro principio generale: “conoscere se stesso significa avere piena coscienza del significato delle proprie azioni e quindi saperle compiere meglio, in modo via via più perfetto, ottenendo sempre migliori risultati”.
Tenendo conto di quanto si è detto potremmo concludere dicendo: “l’uomo saggio porta in se l’amore per la verità, il bello ed il giusto”. In questo modo il “saggio”, portando in se anche il concetto del giusto, non si può sottomettere. Quindi chiunque volesse, o abbia voluto sottomettere gli uomini, li ha costretti in uno stato di ignoranza, disagio e precarietà. Tale stato ha portato questi esseri a curare solo l’istinto della sopravvivenza e non le facoltà mentali da cui derivano i principi nobili del vivere civile. Ciò si è manifestato con la mancanza della creazione del bello, percepito come superfluo e ritenuto un inutile sperpero di risorse se confrontato alla sopravvivenza. La mancanza del bello è dovuta anche alla mancanza di amore per ciò che si fa. Tutto viene vissuto con drammatica rassegnazione nei confronti del futuro segnatoe di una giustizia sociale che non esiste. Ognuno accetta di fare ciò che gli capita in base a principi di contingenza e convenienza. L’iniziativa privata viene infatti guardata con sospetto perché in qualche modo indipendente e facente appello ai diritti e alle libere opportunità di cui ognuno dovrebbe poter godere. Tutto questo conduce l’individuo ad uno stato chiusura nei confronti di una società che egli vive come profondamente ingiusta e nemica, a vantaggio di un egoismo che lo isola dal contesto e deprime i movimenti di massa che soli possono offrire reali vantaggi sul piano dei diritti e dell’equità. In cambio il cittadino lucano riceve paradossalmente, in molti casi, benefici sul piano personale. Tale mancanza di coscienza nei confronti dei propri diritti e dei vantaggi che uno stato sociale forte ed evoluto, spettante per diritto e non per magnanima concessione di qualcuno, può comportare per ogni singolo appartenente ad una società libera, rappresenta “la questione Lucana” di cui, se ci sarà permesso, continueremo ad occuparci.
Antonio Salerno
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