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'Aiutiamoli a casa loro: il Senegal' |
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19/07/2016 | Il Senegal è uno stato dell'Africa occidentale che si affaccia sull' oceano Atlantico. La religione prevalente è quella musulmana, professata dal 94% degli abitanti, i cristiani rappresentano il 5% e gli animisti l'1%.
Dal rapporto annuale di Amnesty International emergono le difficoltà dei governanti senegalesi di garantire la libertà di espressione, come dimostrano i continui arresti arbitrari, le misure nei confronti di uomini e donne dovute al loro reale o percepito orientamento sessuale e le violazioni dei diritti umani da parte delle forze di sicurezza.
Le maggiori tensioni interne si vivono nella regione della Casamance, il polmone verde del Senegal, dove è molto sviluppata la pesca e si producono cotone e arachidi.
Da oltre trent'anni, in questa zona è in atto un conflitto dovuto ad una deriva separatista alimentata da un malcontento di origine coloniale, ma anche da un'atavica differenza con i gruppi etnici settentrionali e con lo Stato, musulmano e da sempre legato agli ex colonizzatori francesi. Il tentativo di secessione è portato avanti dai ribelli Diola del Movimento delle Forze Democratiche della Casamance (MFDC).
Le tensioni che si vivono nella parte meridionale del Senegal destano molte preoccupazioni nell'ONU, in quanto potrebbero generare una frammentazione territoriale che finirebbe per favorire l'infiltrazione di estremisti islamici. Nonostante MFDC sia di matrice cristiana, la situazione creatasi e le rivendicazioni potrebbero rappresentare terreno fertile per i fondamentalisti, soprattutto alla luce degli sgretolamenti dei regimi di Saddam Hussein prima e di Gheddafi poi e la conseguente diaspora di soldati e ufficiali dell'esercito. È noto quanto l'esercito dell'Isis sia prevalentemente composto e comandato da uomini e generali fedeli ai due Rais deposti e uccisi. L'infiltrazione degli islamisti porta con sé anche il traffico di droga, come sta già accadendo nel Sud del Paese.
Grazie anche alla mediazione della Comunità di Sant'Egidio la situazione è migliorata, ma è sempre vivo un forte senso autonomistico. Infatti, i guerriglieri MFDC seguitano a disseminare il territorio di mine antiuomo e a compiere azioni di banditismo e taglieggiamento. In totale, si stima che le rivendicazioni abbiano già causato più di 10 mila sfollati e di mille morti.
Dal punto di vista economico, la Nazione ha subito gli effetti dell'aumento dei prezzi dei prodotti alimentari del 2007/2008. Questo ha favorito la crescita degli investimenti stranieri sia da parte di chi opera nell'agribusiness, che nelle rinnovabili e agro - carburanti.
Il Nord ha sofferto in modo particolare le conseguenze della situazione venutasi a creare. Il refirmento va in particolare al Collettivo per la difesa delle terre di Fanaye.
In questa zona si sono concentrati i progetti di una holding italiana con sede a Ravenna: la Tamperi Financial Group Spa, che produce olio alimentare ed energia rinnovabile da biomasse. L'intervento in Senegal si concretizza grazie alla Senhuille SA, controllata dalla Tamperi e nella quale confluiscono anche fondi locali ed esteri. Nel 2011, questa azienda divenne titolare di una concessione per lo sfruttamento di complessivi 20 mila ettari di terreno, rilasciata dal governo dell'ex presidente Wade e non disdegnata dall'attuale Capo dello Stato Macky Sall. Il provvedimento fu immediatamente contestato dagli abitanti riunitisi appunto nel Collettivo, in quanto ritenuto illegittimo e, soprattutto, perché metteva a repentaglio la sicurezza alimentare delle popolazioni. L'area interessata è denominata Ndiaël ed è abitata da più di 9 mila persone in 37 villaggi. Questa popolazione godeva del diritto di accesso e uso del pascolo, nonché di raccolta dei prodotti naturali spontanei. Inoltre, nella zona insiste una riserva d'acqua indispensabile per tutto il Paese.
La concessione, senza alcuna effettiva compensazione, ha interrotto l'accesso ai pascoli, mentre il disboscamento ha ritardato la possibilità di approvvigionamento di acqua e legna. L'attività di pulizia dei terreni, invece, ha provocato la profanazione di cimiteri e spazi sacri.
Inoltre, il presidio delle guardie non ha fatto altro che accrescere la tensione nel territorio che è sfociata in scontri e morti.
La mobilitazione internazionale per le popolazioni Ndiaël ha avuto il merito di far dimezzare la superficie della concessione: da 20 a 10 mila ettari, vincolando l'affidamento della parte rimanente al parere delle popolazioni che ne subiscono l'impatto.
Come la Nigeria, anche il Senegal quindi è vittima del "land grabbing", ovvero accaparramento di terre a danno dei locali. Questo costringe l'ex colonia francese ad importare il 50% delle derrate alimentari, senza riuscire a sfamare quasi il 30% della popolazione.
Il tutto mentre l'Italia e l'Occidente seguitano ad aiutarsi in casa loro. Anche in Senegal.
Gianfranco Aurilio
lasiritide.it
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