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Potenza, uno speciale evento concertistico in occasione della Settimana Santa |
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22/03/2016 | Il Conservatorio “Carlo Gesualdo da Venosa” di Potenza, presieduto da Mauro Fiorentino e diretto da Umberto Zamuner propone per domani sera, MERCOLEDÌ 23 MARZO 2016 alle ore 20.00, nella CHIESA DI SANTA MARIA DEL SEPOLCRO a Potenza, uno speciale evento concertistico in occasione della Settimana Santa.
In programma, una delle più belle pagine sacre della Storia della musica, lo Stabat Mater per soprano, contralto, archi e continuo composto negli ultimi giorni della propria esistenza da Giovan Battista Pergolesi, compositore marchigiano formatosi a Napoli, spentosi prematuramente nel 1736 a Pozzuoli, all’età di appena 26 anni, ma presto riconosciuto fra i più alti esponenti della Scuola musicale partenopea del primo Settecento. A darvi voce e forma, due interpreti ancora allieve dell’Istituzione musicale diretta da Umberto Zamuner – il soprano Donatella De Luca e il contralto Roberta Rita, rispettivamente provenienti dalle classi di Canto attualmente guidate da Valeria Esposito e Patrizia Cigna – quindi, al loro fianco, l’Orchestra d’Archi del Conservatorio di Potenza diretta da Simone Genuini, docente di Esercitazioni Orchestrali presso lo stesso Conservatorio “Carlo Gesualdo da Venosa”.
STABAT MATER
di Giovan Battista Pergolesi
per soprano, contralto, archi e continuo
Il due febbraio del 1736, su consiglio dei medici, il ventiseienne Giovan Battista Pergolesi (Jesi, 1710 – Pozzuoli, 1736) nato Draghi, originario di Pergola (da cui il cognome) e attivo sino a quel momento prevalentemente a Napoli, decise di trasferirsi sul litorale flegreo dove la quiete del chiostro del Convento dei Cappuccini e il clima favorevole avrebbero potuto giovare al suo stato di salute, fortemente minato dalla tubercolosi. Furono giorni sereni, quelli di Pozzuoli, durante i quali il compositore di Jesi, giunto sedicenne nella città partenopea per continuare gli studi musicali entrando come convittore nel Conservatorio dei Poveri di Gesù Cristo (dove fu registrato con il nome del paese marchigiano da cui proveniva la famiglia) ritrovò anche la spensieratezza per comporre un sapido duetto a cappella, lo “Scherzo coi cappuccini di Pozzuoli” dal titolo Venerabilis barba Cappucinorum. Al centro di quelle poche settimane, nel cui corso il giovanissimo e già straordinariamente prolifico musicista vide peggiorare con rapidità le proprie condizioni di salute fino alla morte, avvenuta il 16 marzo di quello stesso anno nella cella del Convento fondato da Diomede Carafa dei Duchi di Maddaloni, poi donato ai Frati Minori Osservanti e in seguito riedificato nell’attuale casa circondariale femminile lungo la panoramica via Pergolesi, fu portata a compimento l’ultima, suprema composizione del celebre autore dell’opera buffa Lo frate ‘nnamorato (1732), dell’Intermezzo in due parti La serva padrona andato in scena dinanzi al nobile pubblico del San Bartolomeo (1733) perché inserito fra gli atti del dramma serio Il prigionier superbo, della commedia musicale Il Flaminio (1735) e di tante altre pagine sacre o teatrali di mirabile fattura. Una riedificazione, da convento in carcere, che avrebbe cancellato ogni traccia di quella stanza che ospitò i suoi ultimi giorni, nonché la stesura delle carte conclusive dello Stabat Mater commissionato dall’Arciconfraternita dei Cavalieri della Vergine de’ Dolori perché ormai stanchi di ascoltare lo Stabat – pur sempre a due voci (Canto ed Alto), con accompagnamento di due violini – di Alessandro Scarlatti, eseguito da oltre un ventennio tutti i primi venerdì di Quaresima durante l’esposizione del Santissimo Sacramento “con edificante pompa”.
L’autografo dell’estremo capolavoro pergolesiano, così come indicato sul trentasettesimo ed ultimo foglio del manoscritto originale, oggi conservato presso gli archivi dell’Abbazia di Montecassino, fu donato in punto di morte dallo stesso Pergolesi a Giuseppe De Majo, allievo dello Scarlatti e Maestro della Cappella di Corte, fra i pochi presenti al capezzale del genio di Scuola napoletana – fu allievo di Durante – prematuramente scomparso. Essendo inoltre il Pergolesi poverissimo, e “forastiero”, il giorno successivo alla morte le sue ossa furono gettate – con destino non dissimile da quanto toccato nell’ultimo decennio di quel secolo a Mozart, ma a Vienna – nella fossa comune della Cattedrale di Pozzuoli, al Rione Terra. Cattedrale oggi restaurata ma, per lungo tempo, inghiottita fra ortiche e macerie nella totale incuria seguita all’incendio del 1964 e agli eventi tellurici nei due successivi decenni.
Capolavoro in bilico fra storia e leggenda, fra il sublime della tradizione musicale sacra e le agilità canore del teatro d’opera profano ma, innanzitutto, sintesi superba del tessuto sociale ed artistico di un Settecento napoletano all’epoca al centro dell’attenzione culturale internazionale, lo Stabat Mater è l’ultimo, altissimo documento di riflessione dell’uomo e dell’artista Pergolesi. Dinanzi alla morte, dinanzi a Dio. Un “poema del dolore”, come ebbe a definirlo Vincenzo Bellini, elaborato sul tema della Passione così come descritta dalle plastiche venti strofe inanellate in triadi di versi in rima nella celebre Sequenza duecentesca attribuita a Jacopone da Todi. Sequenza di origini francescane ampiamente divulgata dai cortei dei Flagellanti, poi in periodo post-tridentino, impiegata come inno nelle preghiere delle ore canoniche e, nella prima metà del Settecento, ufficialmente introdotta nel Missarum Romanum da Benedetto XIII, in connessione con le solennità per i Sette Dolori di Maria. Quanto all’architettura complessiva, lo Stabat del Pergolesi si attiene sostanzialmente al modello formulato da Alessandro Scarlatti, seguendo evidentemente le esigenze della committente Arciconfraternita dei Cavalieri della Vergine dei Dolori e dunque riproponendo l’organico per due voci soliste (presumibilmente, le voci chiare e forti di due castrati), archi e continuo in parallelo ad un’articolazione del tessuto poetico-musicale in dodici numeri fra arie e duetti, a partire dall’intenso Grave a due voci sulla strofa staccata dall’incipit Stabat Mater dolorosa e fino a concludere su un bipartito movimento (Largo assai–Presto assai), sempre a duetto, sul verso Quando corpus morietur. Di originalissimo pregio, tuttavia, appare la grande inventiva dinamica e melodica con cui il Pergolesi seppe differenziare musicalmente il testo per metro, temperamento e colore, battute in dialogo, approfondimenti espressivi, abbellimenti, cadenze d’inganno e intermedie, iterazioni ad eco, ritardi e cromatismi. Dunque sciogliendo le più rigorose lezioni contrappuntistiche nelle pregnanti volute della gestualità da palcoscenico d’opera e consegnando così, alla storia, uno dei monumenti più alti dello stile napoletano e non solo.
Paola De Simone
SIMONE GENUINI
Ha studiato Direzione d'Orchestra con Carlo Maria Giulini, di cui è stato uno degli ultimi allievi, con Daniele Gatti, Lu Jia. È Direttore stabile, dalla sua fondazione, della Juniorchestra, l'Orchestra Giovanile dell’Accademia Nazionale di Santa Cecilia di Roma, alla guida della quale, da anni, ha diretto numerosi concerti in Italia, ed effettuato numerose registrazioni per la RAI; tra i concerti più importanti ricordiamo quelli per il Ravello Festival, per la stagione dell’Orchestra da Camera di Mantova, presso la Camera dei Deputati, per la Presidenza della Repubblica in occasione dei 150 anni dell'Unità d'Italia; innumerevoli i concerti e le manifestazioni presso l’Accademia Nazionale di Santa Cecilia, collaborando con solisti di fama internazionale. In veste di direttore ospite ha diretto l'Orchestra della Toscana, i Solisti del Teatro dell'Opera di Roma, l’Orchestra Sinfonica Abruzzese, l’Orchestra dell’Accademia Nazionale di Bucarest, I Solisti Aquilani, l’Orchestra di Stato della Città di Vidin, l’Orchestra “Benedetto Marcello” di Teramo, l'Orchestra Giovanile del Conservatorio “U. Giordano” di Foggia, l’Orchestra da camera XXI secolo, l’Orchestra Sinfonica “Nova Amadeus” di Roma, Orchestra del Conservatorio di Foggia, l'Orchestra da camera dell'Università di Roma Tre, l’Orchestra “John Cabot University Chamber Orchestra”, l’Orchestra Sinfonica “Roma Sinfonietta”, l’Orchestra “Prometeo” di Roma, l’Orchestra del Conservatorio di L’Aquila, l’Orchestra del Conservatorio di Foggia, esibendosi in sale come la Sala S. Cecilia del Parco della Musica di Roma, la “Groosser Saal” del Mozarteum di Salisburgo, il Teatro Comunale di Bologna. Nel 2002 ha collaborato con Luciano Berio e con il Teatro Lirico Sperimentale di Spoleto, al progetto “L’Arte della fuga” di J. S. Bach, curato e supervisionato dallo stesso Berio, dirigendo opere inedite di compositori italiani ed europei, tra i quali Aldo Clementi, Louis Andriessen, Fabio Vacchi, Betsy Jolas.
Alla carriera di direttore Simone Genuini affianca quella di insegnante di Esercitazioni orchestrali (conservatori di Verona, l’Aquila, Foggia, e, attualmente, Potenza). Nel 2013 ha ricevuto incarico dal Ministero della Pubblica Istruzione di tenere, sul territorio nazionale, il Corso di Formazione per Docenti delle SMIM “Suoni Condivisi”, un corso sulla metodologia della Direzione di Orchestre giovanili.
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