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“ CHIAMATEMI FRANCESCO”, un film di Daniele Luchetti. Recensione di M. Coviello

8/12/2015

Oggi, otto dicembre 2105, Papa Francesco ha aperto nella basilica di San Pietro la Porta Santa, dando inizio al Giubileo straordinario della misericordia. Questa mattina, ancora una volta, ha invitato tutti gli uomini di buona volontà a “ non avere paura”.Dal 3 dicembre è nei cinema di tutta Italia in 700 copie il primo film su un Papa che sia mai stato girato nel corso del suo Pontificato. Chiamatemi Francesco, diretto da Daniele Luchetti e scritto dallo stesso regista con la preziosa collaborazione dell’argentino Martin Solinas, è il film che ho visto in anteprima e di cui vi voglio parlare . Una pellicola unica nel suo genere: 15 settimane di riprese tra Argentina, Germania e Italia; oltre 15 milioni di euro di badget (messi dalla TaoDue di Pietro Valsecchi e dalla Medusa); un’imponente massa di ricerche storiche e religiose; centinaia di interviste a testimoni e persone comuni che hanno conosciuto Bergoglio prima che diventasse Papa; almeno 3000 comparse per girare le scene nei barrios argentini. Ma non sono soltanto i numeri a fare di Chiamatemi Francesco il caso cinematografico di questo scorcio di fine d’anno (basti pensare che il film è stato già venduto in 40 paesi). A rendere speciale la pellicola sono l’onestà e la passione con cui viene disegnata la figura di Jorge Mario Bergoglio negli anni giovanili di formazione e poi nel duro confronto quotidiano con la feroce dittatura del generale Videla.
Intervistato nella più quotata trasmissione radiofonica che parla di cinema “ Holliwood party “ Lucchetti ha raccontato il lungo periodo che ha trascorso in Argentina sulle tracce di questo papa che ogni giorno ci invita nelle periferie del mondo per avere attenzione ai più poveri. “Il film è nato da un’idea di Pietro Valsecchi. Quando me l’ha proposta confesso di essermi sentito spiazzato”, racconta Luchetti. “Siamo partiti, io e lui, per Buenos Aires dove abbiamo incontrato e intervistato tantissime persone che avevano conosciuto Bergoglio: alcune benissimo, altre magari solo quando erano bambini. E non è mancato chi, nella penombra di un lampione, mi ha sussurrato di fare attenzione perché anche lui sarebbe stato compromesso con la dittatura argentina. Un bailamme di informazioni in cui faticavo a orizzontarmi, non riuscivo a trovare il filo di un racconto. Poi c’è stata una frase che mi ha colpito:Jorge è stato un uomo ‘preoccupato’ per tutta la vita. Ecco la chiave! Capire la maturazione, esplorando il suo passato per comprendere come sia potuto arrivare a essere ciò che è oggi”.
Oltre due terzi del film raccontano di Bergoglio, rettore di un seminario gesuita che lotta contro il regime sanguinario del dittatore Jorge Videla. Quando Francesco è salito al soglio di Pietro per lungo tempo si è parlato sulla stampa internazionale delle accuse di collusione e comunque di non opposizione del gesuita al regime. Il film racconta di Bergoglio che rischia la vita per dare rifugio ai ricercati, che accompagna personalmente al confine i perseguitati che celebra la messa per il dittatore solo per chiedergli conto delle migliaia di desaparecidos che le madri e i parenti non si stancano di cercare. “La mia preoccupazione è stata quella di evitare l’agiografia, - confessa il regista - di non fare cioè quel santino in cui si dà continuamente di gomito allo spettatore dicendogli: lo vedi, si capiva subito chi sarebbe diventato”.
Missione compiuta. L’avventura umana, oltre che spirituale, di Bergoglio è talmente infatti ricca e complessa da mantenere alta la tensione di chi guarda senza bisogno di ricorrere ad alcun artificio.
“La storia di quest’uomo non è fatta soltanto di fede incrollabile e convinzioni profonde, è anche una testimonianza toccante della tragica storia recente dell’Argentina”, sottolinea il regista. “Io ho cercato di raccontare l’intreccio tra queste storie in modo partecipe, evitando lo sguardo da turista. Rispettando anzi l’identità dell’uomo e di un Paese”. Da colui che porta la borsa a quello che porta la croce, di ferro.
Alla fine della dittatura ritroviamo Jorge Bergoglio in una sperduta periferia dell’Argentina mentre cura il pollaio della parrocchia e colpiscono nel film le scene con il futuro papa che pela le patate nella cucina del seminario e confessa ad un’amica giudice che sa cucinare solo il pollo fritto come gli ha insegnato la madre. Emoziona l’umanità di Bergoglio tifoso del San Lorenzo che alla televisione si accapiglia con i giocatori della squadra del cuore che lo stanno deludendo
E’ Giovanni Paolo II che lo richiama a posti di responsabilità e manda il cardinale di Buenos Aires a chiedergli di fare il suo vicario. Egli accetta ed inizia il suo terzo cammino di conversione dopo l’accettazione della chiamata da giovane maestro dopo una confessione che lo costringe a lasciare la fidanzata e il suo secondo cammino quello del rettorato.
E ancora una volta come vescovo vicario Bergoglio è dalla parte degli ultimi. Il film di Lucchetti racconta la sua capacità di mediazione nella difesa dei proletari delle periferie, il suo affiancamento ai preti di frontiera che vivono Cristo nei più poveri, con gli ultimi.
Pochi minuti sono dedicati nel film alla sua ascesa al soglio pontificio. Con fare dimesso e un meraviglioso sorriso accoglie la nomina e si affaccia ai fedeli stipati in Piazza San Pietro e con il suo ormai celebre “ buonasera”, chiede ai presenti di pregare per lui.
Nei panni del giovane che diverrà Papa Francesco c’è l’attore argentino Rodrigo della Serna (curioso: ha interpretato anche il giovane Che Guevara ne I diari della motocicletta).Mentre il volto di Bergoglio maturo, segnato dalle esperienze, è invece quello dell’attore cileno Sergio Hernandez. Entrambi bravissimi, mai sopra le righe.
Daniele Lucchetti, allievo di Nanni Moretti, è il regista del” Portaborse “, dell’indimenticabile “ La scuola” con Silvio Orlando , di “ Mio fratello è figlio unico”. E’ un regista di drammi e di commedie agrodolci che hanno saputo raccontare la realtà italiana di questi anni. Ma come Lucchetti è arrivato a Bergoglio ? “Per quanto mi riguarda, tutto è cominciato con una suggestione. Profonda”, confessa Luchetti. “Quest’uomo mi ha emozionato fin dal primo momento, quando si è affacciato al balcone di San Pietro e ha esordito con un semplice buonasera rivolto alla folla. Mi ha affascinato la personalità carismatica di Bergoglio. Non sapevo molto della sua vita. Con lo sceneggiatore argentino Martin Solinas, ho fatto un enorme lavoro di ricerca: ci siamo basati sui suoi scritti ma abbiamo anche parlato con amici e nemici storici. Andando a fondo ho scoperto una traiettoria esistenziale tormentata ma limpida, chiara, che spiega bene come mai Bergoglio abbia toccato livelli di comunicazione così alti”.
“Chiamatemi Francesco è il racconto della vita di un uomo straordinario”, sottolinea Luchetti. “E di una Chiesa latinoamericana molto impegnata e progressista. Quando ho cominciato le riprese non potevo certo definirmi un credente, adesso invece credo molto nella gente che crede… In Sudamerica ho scoperto una Chiesa straordinaria. Sono rimasto letteralmente sedotto dalle persone che ho visto farsi Chiesa per le strade, tra la gente”.
Certo il film ha stacchi bruschi perché è una sceneggiato di quattro puntate da 50 minuti che è diventato un racconto di 127 minuti, ma vi consiglio di vederlo perché la storia di Bergoglio diventa in Chiamatemi Francesco metafora di un mondo diviso fra chi distoglie lo sguardo e chi sceglie di vedere. La qualità portante del Bergoglio di Luchetti è la propensione alla cura, più spesso identificata col materno perché comporta un obbligo inderogabile di protezione altrui e ci aiuta a capire il magistero di questo papa che ci indica la strada in questi tempi così spaventati.
Bella 8 dicembre 2015 Mario Coviello



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