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“A testa alta “, un film di Emmanuelle Bercot, recensione di Mario Coviello

26/11/2015

Nel 1959 il film di un esordiente chiamato François Truffaut lasciò il suo segno sul festival di Cannes con la storia di un ragazzino difficile, malamato in famiglia, finito in un istituto correzionale. Era “I 400 colpi”.
Albert Einstein diceva: “Non esistono grandi scoperte né reale progresso finché sulla terra esiste un bambino infelice.” Dall’alto della sua saggezza non sbagliava. Il legame con l’ultimo film di Emmanuelle Bercot, A Testa Alta (La Tête Haute), presentata in apertura al Festival di Cannes 2015 (il film è uscito la scorsa settimana in Italia in occasione della giornata mondiale dei diritti per l’infanzia e l’adolescenza), è significativo ai fini della storia e della sua possibile analisi.
Qual è il prezzo da pagare per vedere gli occhi di un bambino colmi di gioia e il suo sguardo disteso se durante l’infanzia gli è stato rubato il sorriso?
“L'educazione è un diritto fondamentale. Esso deve essere assicurato dalla famiglia, ma se essa non vi provvede, spetta alla società assumersene l'onere”, recita la nostra Costituzione.
Il film è la storia di un adolescente infelice, un giovane smarrito senza una guida, è l’immagine riflessa allo specchio di una anima triste, avvolta nell’ombra di un’apparente cammino di crescita la cui retta via non è mai stata tracciata. Malony è un ragazzo che non ha avuto una madre capace di seguirlo passo dopo passo, ed è costretto a vivere un tragico dramma esistenziale, infettato di dolore e solitudine, in perenne equilibrio tra ragione e istinto.
Per una società che vuole ampliare i suoi orizzonti in nome di un progresso mirato è fondamentale stabilire un contatto con i cittadini più bisognosi , tracciando un percorso ‘educativo’ che garantisca loro un futuro e una graduale integrazione comunitaria. Ognuno deve poter camminare “a testa alta” Ed è grazie al lavoro di persone che svolgono con passione e fedeltà il proprio mestiere che esiste ancora oggi una ferma speranza per l’avvenire, la volontà di riuscire a cambiare lo stato dei fatti e a sanare l’insanabile.
Giustizia, tenacia e solidarietà, il messaggio lanciato dalla regista francese è chiaro: A Testa Alta focalizza l’attenzione su una pagina triste e spiazzante della storia di un minorenne problematico, “out of control”, e di una famiglia ‘adottiva’ che cerca di salvarlo dalla perdizione con tutti i mezzi possibili per guidarlo verso un’ideale strada che porta alla redenzione.
“Il punto di partenza del film ha radici molto specifiche” – spiega la regista – “ Ho uno zio educatore e da bambina ero andata a trovarlo in Bretagna dove era responsabile di un campo estivo per giovani delinquenti. Uno di loro era un bambino. Da ragazza di buona famiglia, sempre protetta e incoraggiata, ero affascinata dal comportamento di questi adolescenti che non avevano avuto la mia stessa fortuna, ero attratta dalla loro insolenza, dal loro atteggiamento ribelle nei confronti dell’autorità e delle convenzioni sociali. Allo stesso tempo ammiravo lo sforzo di mio zio e degli altri assistenti sociali per rimetterli in carreggiata, educarli, insegnar loro ad amare se stessi e gli altri, portare rispetto ai propri simili, ma soprattutto a se stessi. Il ricordo è rimasto in me così presente che da adolescente volevo diventare un giudice minorile. Questo ricordo mi ha spinto a fare un film sull’argomento”.
Emmanuelle Bercot con grande capacità legge attentamente le situazioni, utilizza la macchina da presa in modo utile ed essenziale e mette a proprio agio gli attori, lasciandoli liberi di muoversi sulla scena e di sfoderare performance autentiche di incredibile impatto reale. Il film fotografa lo spaccato sociale della Francia di oggi,la Francia ferita dagli attentati a Parigi di questo mese, dove il sistema e le istituzioni tutelano appieno i diritti dei minori, favorendo l’educazione piuttosto che la repressione
In un via vai tra trasferimenti in ostelli della gioventù sperduti nella bucolica realtà di una Francia contadina legata all'agricoltura intensiva ed istituti di correzione, tra sbandate di testa ed isterie ingovernabili, forse alla fine il ragazzo riuscirà a capire sulla sua pelle il valore della famiglia e le responsabilità che gli competono quando da ragazzo e figlio diviene genitore precoce e per nulla deliberato o programmato.
Quando in un film si narra il disagio giovanile, la mente va quasi istantaneamente a registi come i fratelli Dardenne e Van Sant e, andando più indietro nel tempo, come ho scritto all’inizio, a maestri del cinema come Truffaut. Ai docenti, agli operatori sociali, alle persone che hanno il coraggio di guardare avanti, in queste settimane di paura, consiglio la visione di questo film da vedere e far vedere.
Bella 26 novembre 2015. Mario Coviello



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