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Laocoonte

21/10/2010

“ Conticuere omnes, intentique ora tenebant. Inde toro pater Aeneas sic orsus ab alto: Infandum, regina, iubes renovare dolorem…” inizia così il secondo libro dell’Eneide di Virgilio, proprio con questo rassegnato lamento di Enea rivolto alla regina Didone: “ tu mi chiedi, regina, di rinnovare un dolore indicibile”. Ma forse, ineguagliabile maestro, se proprio non riuscirà a suscitare in chi legge tutto il pathos di chi quelle vicende dovette subire, il tuo racconto accorato oltre che a placare la femminea curiosità di una regina innamorata. potrà pur sempre ed ancora servire ad illuminare le menti ai posteri – a quanti lo vorranno, ovviamente –
L’eroe comincia il suo racconto partendo dall’evento primo, del tutto inatteso, accolto con sorpresa e poi8 con gioia immensa, ma che subito dopo portò alla catastrofe : ossia dallo stratagemma escogitato dai Greci che consentì loro di vincere, con l’inganno, l’altrimenti indomita potenza dei Troiani. La narrazione degli eventi successivi é di una tale crescente intensità emotiva da far fremere di pietà e di sdegno gli animi sensibili degli ascoltatori astanti...e dei futuri lettori : “ quis talia fando ……..temperet a lacrimis ? Chi a parlare di tali vicende ….potrebbe trattenere le lacrine ? Si respira già in questi versi tutto il preludio della sciagura, il presagio infausto della imminente rovina.
La scena è proprio quella di un tempo omerico, in cui – immaginiamo - ci si disponeva al racconto dell’ aedo: quest’ ultimo in un angolo della mensa, i commensali attenti, anzi protesi verso di lui, nel silenzio ( conticuere omnes, intentique ora tenebant ) di una stanza immensa e bene addobbata in cui, oltre alla lamentevole sua voce, - ci piace immaginare - si odono solo il vento gelido che si insinua capriccioso e il quieto crepitio del fuoco nel vano del camino. Inizia in tal modo la dolorosa, cocente evocazione dei funesti eventi che segnarono la rovina della grande Troia: “…c’era, di fronte, un’isoletta, Tènedo, ricca e famosa, finchè ancora stava in piedi il regno troiano, ora soltanto una rada, alle navi infido porto. Là si spinsero i Greci e si nascosero lungo i fiordi deserti. Noi credemmo che fossero partiti per Micene, favoriti dal vento e tutta Troia fosse libera ormai dal lungo assedio. Si aprirono le porte, e fu gran gioia poter uscire, vedere quei luoghi abbandonati, il campo greco, il lido. Qui le schiere dei Dòlopi, qui stava il fiero Achille, qui la flotta, qui solevano schierarsi alla battaglia. E mentre ammiravamo quel colosso, tristo regalo della dea Minerva, Timete – o per inganno o perché tale era il nostro destino – ci esortava a trasportarlo entro le mura e a porlo sulla rocca. Ma i capi e i più assennati consigliavano invece di gettare nel fondo dell’Oceano l’insidioso dono dei greci o di appiccarvi il fuoco, o di squarciarne il fianco ed esplorarne le cavità. Discordi erano gli animi.” Anche noi, benché catturati dal racconto, pure notiamo come questa tragedia inizi col rappresentare l’atteggiamento ingannevole della mente umana che vede ostinatamente solo ciò che vuole vedere.
Oggi, due millenni dopo, continuiamo a rileggere la vicenda del cavallo ligneo, ma con la stessa disposizione d’animo con la quale intendiamo godere di un racconto epico, di una leggenda affascinante, ma lontana da noi, e tale la tramandiamo ai nostri figli, svelando appena ai giovani l’atroce l’insidia che quell’artificio celava, le conseguenze disastrose che lo speranzoso, fideistico atteggiamento dei Teucri - certo stanchi della lunga guerra - ebbe sulla città di Priamo. E viene spontaneo chiederci : ma quella immane tragedia a noi - che pure ripetutamente la raccontiamo - ha insegnato qualcosa ? La prendiamo a metro per la valutazione delle vicende attuali ? Se i nostri figli ricorderanno, forse, in futuro, quando ci sta accadendo non avranno anch’essi, al più, una amorevole compassione per questa nostra cecità di fronte all’evidenza di tanti segni ? “ Cosa si aspettavano – diranno di noi – per accorgersi di trovarsi ancora una volta dinanzi ad un cavallo di legno ? Eppure - proprio come allora - anch’essi, pure avvertiti da un così significativo insegnamento, non sono riusciti a guardare oltre, a scorgere nel “ ventre cavo ” delle promesse.... elettorali , ben levigate ed allettanti, l’insidia !” timeo Danaos et dona ferentes, grida inascoltato l’infelice sacerdote ! Ed ancora : quando alla buona fede in tanti casi volutamente prestata da orecchie ingenue ( o non sempre disinteressate ) al racconto dei tanti Sinone, si sono aggiunti i segni sempre più manifesti e persino spavaldamente ostentati, dell’incombente rovina, com’è possibile – si chiederanno - che non abbiano creduto ( o voluto credere ) neanche ai nostri occhi ? a ciò che continuamente toccavano con mano”
Sentiamo diffusamente dire e con insistenza ( siamo pur sempre circa 60 milioni di abitanti in questo lembo di terra ) che la nostra Costituzione non deve essere un tabù . Non si può non concordare: é persino ovvio ! A riconoscerlo é la stessa Carta : basta ricordare la funzione cui assolve nel nostro ordinamento giuridico , quella cioè di garante supremo della libertà e dei diritti dei cittadini che l’hanno convintamente e responsabilmente adottata. Personalmente, credo però, con altrettanta fermezza e fondatezza, che la libertà e i diritti dei cittadini di uno stato democratico riconosciuti come patrimonio comune e sanciti come patto inviolabile in quel testo possano ed anzi debbano essere considerati sacri quando da qualche parte si pretende capziosamente di volerli sopprimere o manipolare “ ad usum delphini “, con mistificazioni che ne snaturano palesemente il loro alto significato di fondamento, di guida e di garante per tutta la nazione,. Non è retorica, questa ! Perché - non dovremmo mai dimenticarlo - quella libertà e quei diritti di cui godiamo e che vogliamo conservare per tutti, sono stati conquistati con spargimento di sangue. E col sangue, credo, verrebbero certamente difesi, se prevaricati.
Ma torniamo nuovamente, per ultimo, alla poesia, e al nostro – meritatamente - Maestro, il buon Virgilio. Il passo che riporto, funzionale al mio intento, riprende ed analizza più da vicino l’entrata in scena del personaggio cui si è fatto cenno, che non è la Gabanelli, e neanche Santoro o Travaglio o il vignettista Vauro o Luttazzi o il defunto Enzo Biagi. Di più: non é nessuno di quei personaggi attuali che hanno cercato e cercano di ammonire questo popolo apparentemente sordo. Si tratta ancora e soltanto del personaggio mitologico, Laocoonte, sacerdote troiano del dio Apollo che irruppe stravolto e furente sulla scena cercando di fare, oltre una decina di millenni addietro, proprio quello che disperatamente, o comunque con tanto coraggio, stanno cercano di fare oggi quei signori che abbiamo appena menzionati ( qualcuno purtroppo passato a miglior vita! ). Proprio come quel mitico vate, rischiano continuamente di dover pagare, insieme con le loro famiglie, questa gravissima pretesa di dire a tutti la loro verità, ovviamente del tutto antitetica a quella dei “ cortigiani del sire “ I versi del poeta sono così belli che della loro diretta declamazione mai oserei privarne chi ha la ventura di leggermi. Li citerò nella loro versione originale, facendo seguire una loro traduzione senza molte pretese,
Primus ibi ante omnis magna comitante caterva
Laocoon ardens summa decurrit ab arce,
et procul 'o miseri, quae tanta insania, cives?
creditis avectos hostis? aut ulla putatis
dona carere dolis Danaum? sic notus Ulixes?
aut hoc inclusi ligno occultantur Achivi,
aut haec in nostros fabricata est machina muros,
inspectura domos venturaque desuper urbi,
aut aliquis latet error; equo ne credite, Teucri.
quidquid id est, timeo Danaos et dona ferentis.'
“…Qui per primo davanti a tutti dall’alta rocca, accompagnato da un codazzo di gente, furibondo scende Laocoonte e già da lontano,: “sciagurati cittadini, quale grande follia è questa? Credete che siano andati via, i nemici ? o pensate possa esserciun qualche dono dei Greci che sia privo di inganni? Così poco noto vi é Ulisse? O rinchiusi in questo legno si nascondono gli Achei , o questa macchina é stata costruita contro le nostre mura , per spiare nelle nostre case e per giungere dall’alto sulla città, o si nasconde un qualche altro inganno; non credete al cavallo o Troiani. Qualunque cosa ( questo congegno ) sia , temo i Geci anche quando portano doni ”
Proviamo ad immaginare quale scandalo provocherebbe, oggi, un siffatto comportamento : un personaggio pubblico, impegnato in un servizio pubblico come quello di sacerdote ( erano altri tempi, ma non del tutto così lontani ! ) che osi immischiarsi e prendere parte in una decisione politica . Ma ecco immantinente la pena e gli esecutori : “due mostruosi serpenti” che, fuor di metafora ma talvolta sorprendentemente anche nelle forme , potremmo oggi accostare verosimilmente ( ovviamente, solo per la tempestiva quanto insaziabile voracità di vittime sacrificali da immolare per difendere e magnificare il loro benefattore ) a certa stampa ed certi telegiornali o a servizi di cosiddetto approfondimento, anch’essi inappagabili mostri dell’arte ( in fondo lo é, nel suo genere ! ) del dossieraggio : neologismo che persino nella sua bruttura fonetica, rende bene l’infamia molte volte sottesa, e tante altre perfino palesata : in breve, l’abile mestiere della mistificazione più sfacciata e priva di qualsiasi scrupolo, come appunto si addice ai carnefici che fanno giustizia della lesa maestà! Occorre dire altro ?
E dunque ? Per i Teucri, il destino funesto di Troia era il Fato a volerlo ! Ma per noi ? Possibile che dopo tanti millenni il Fato o chi per lui non sia ancora scomparso dalla vita dell’uomo? Che vi sia ancora nelle nostre menti del buio, almeno in misura tale da lasciarci credere nella sua esistenza ?


Antonio Salerno




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