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Recensione libro:“La fine della sovranità" di Alain De Benoist |
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21/03/2015 | Il libro “La fine della sovranità è l’aggiornamento ed il completamento quella che fu chiamata l’opera di Benoist di due anni fa “Sull’orlo del baratro”, e dedicata al “fallimento annunciato del sistema del denaro” dove il sistema finanziario internazionale sta divorando l’economia reale e la crisi dell’euro si attorciglia su se stes¬sa, avvinta nel debito che implementa di pari passo i deficit pubblici, nell’impotenza dell’intera classe dirigente politica ed economica. Con la globalizzazione, l’Europa è stata destabilizzata, impoverita ed emarginata dagli equilibri internazionali: stagnazione prima e vera recessione economica poi, nel declino inarrestabile di alcuni Paesi in particolare, come l’Italia, ove l’austerità si accoppia paradossalmente alla delocalizzazione produttiva, cioè del profitto del capitale di rendi¬ta sul lavoro. Lavoro introvabile, per i più, o dequalificato, quindi da colmare con un “esercito industriale di riserva” – per usare le parole di Karl Marx da ricercare nelle masse pauperizzate e affluenti dal Terzo mondo per contrastare la caduta del saggio di profitto.
Nelle società industrializzate occidentali si è entrati in uno stato di debito struttu¬rale almeno dagli anni Settanta; oggi si somma come debito pubbli¬co statuale, debito delle amministrazioni locali, debito degli istituti di previdenza e debito privato.
Il trattato di Maastricht vincola dal 1992 gli Stati membri dell’Unione europea al limite del 3% del prodotto interno lordo (PIL), con una proiezione di salute economica sul 60% circa del reddito nazionale prodotto. Come sappiamo, la situazione è degenerata per le economie di tutte le nazioni europee, di fatto fuori dai parametri di cui sopra, con condizioni drammatiche, in cui si sono accumulate contraddizioni strutturali specifiche, in particolare nella parte centro-meridionale del continente e nella particolarità del plu¬ridecennale declino italiano.
Al momento di questa scrittura, i dati di Bankitalia fissano a 2085 miliardi di euro il nostro debito pubblico, in continua crescita nonostante la politica di sacrifici e un carico fiscale senza tagli alla spesa improduttiva, in un rapporto con il PIL al 133,3%, secondo solo alla Grecia. Il che sembrerebbe una farsa, se non nascon¬desse dietro l’angolo la tragedia; a chi dobbiamo, infatti, tutto questo denaro? Al mercato finanziario internazionale, che vi specula profitte¬volmente.
Nel libro si parla anche del Patto di stabilità e di crescita – firmato nel 1996, entrato in vigore nel 1997, rivisto nel 2005 e poi nel 2011 – prolunga gli impegni contenuti nel trattato di Maastricht, reiterati nei trattati di Amsterdam, Nizza e Lisbona; introduce un insieme di criteri, che gli Stati della zona euro si impegnano a rispettare nei confronti dei partner, al fine di coordinare le politiche di bilancio nazionali ed evitare la comparsa di deficit pubblici eccessivi; assegna agli Stati della zona euro l’obiettivo di avere, entro un certo periodo, bilanci prossimi all’equilibrio o in eccedenza. Giac¬ché la crisi ha perturbato la ricerca di tale equilibrio, vengono adottati vari meccanismi d’urgenza, fra i quali il recente MES, che consente agli Stati in difficoltà di beneficiare, a precise condizioni, dell’assistenza europea e internazionale. Approfittando della situazione di oggettiva debolezza in cui si trovano gli Stati, le élite neoliberali se ne servono per rafforzare la costrizione imposta ai bilanci nazionali e costringerli a un’austerità che, tramite la progressiva liquidazione dei sistemi di protezione sociale, si suppone possa restituire all’Europa la sua competitività a livello mondiale.
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