|
Montecristo |
---|
11/03/2011 | “ …l’immane dolore dei prigionieri che guardano allo spazio con la sensazione atroce di essere impossibilitati a varcarlo”. Leggendo questa frase tratta dal romanzo di Alexandre Dumas si viene immediatamente pervasi dal senso di disperazione e di impotenza che l’uomo prova quando viene privato della propria libertà ed è ampiamente risaputo che il concetto di libertà è imprescindibile da quello di giustizia e che questa è veramente tale solo se la legge è uguale per tutti. Ma chi può privare l’uomo di un bene così grande qual è la libertà? La risposta è semplice: l’uomo se ne priva da sé, con la propria ingenuità. Se guardiamo all’Italia vediamo come si è partiti dal sottovalutare il conflitto di interessi poi sono arrivate le leggi ad personam poi una legge elettorale che ha di fatto tolto agli elettori la possibilità di scegliere i propri rappresentanti per giungere oggi, al punto che sentiamo invocare addirittura i poteri forti del premier e del governo. Allora viene da chiedersi: cosa sono e a chi servono questi poteri forti? Da sempre due modelli di società, ai quali neanche le ideologie più nobili sono riuscite a sfuggire, si impongono sugli altri: il modello democratico e quello totalitario. Rimangono fuori forme aggregative di tipo tribale. Il modello democratico, che noi italiani abbiamo avuto la fortuna di sperimentare dal 1946 ad oggi pone l’ uomo, senza differenza di sesso religione o razza, al centro del sistema sociale e coloro che di volta in volta vanno a ricoprire ruoli di potere sono delegati del Popolo. Suona come un proclama della rivoluzione francese ma è la base della democrazia. Per quello che riguarda i modelli totalitari ve ne è un ampio e nutrito catalogo a partire dall’antichità sino ad oggi: imperatori, dittatori, monarchi sono tutte figure appartenenti ad una struttura sociale di tipo piramidale al cui apice si trova un singolo uomo. Se quell’apice fosse stato occupato da un Dio o un semidio nessuno avrebbe avuto dubbi sulla validità di un tale modello ma la storia ci insegna che il più delle volte ad occupare il vertice della piramide sono stati individui mediocri e sanguinari e allora come si spiega il fatto che le dittature sono esistite e continuano ad esistere e che persino qui da noi, in Italia, dopo l’ubriacatura democratica ci siano persone che mirano ad accentrare il potere politico ed istituzionale nelle proprie mani e ci siano altre persone, tantissime che tollerano tutto questo. La spiegazione la si trova, a nostro avviso, nella incapacità di prevedere le conseguenze di una politica di tipo autoritario riferita alla propria persona e alla propria libertà. Una ingenua forma di irresponsabilità sembra faccia apparire le vicende politiche nazionali lontanissime da noi e dai nostri piccoli e trascurabili interessi. Un pericoloso luogo comune è infatti quello che recita: “chiunque detenga il potere per noi non cambia nulla tanto sarà sempre lo stesso schifo”. Diciamo a questi motivati pessimisti che lo schifo non è affatto una immodificabile grandezza ma può aumentare o diminuire di molto a seconda degli uomini che noi scegliamo per farci governare. Per rendere più vicina ad ognuno l’idea di cosa potrebbe succedere se la democrazia venisse a mancare o se il sistema giudiziario venisse asservito al potere politico, tenendo conto anche del fatto che così come è avvenuto con la legge elettorale, anche gli schieramenti che avversano le nefandezze legislative una volta che queste sono state approvate, se ne servono senza problemi e anzi tendendo a mantenerle in essere così, tanto per cimentarci nell’arduo tentativo di stimolare quella facoltà tutta umana che è la capacità di astrazione che consente di prevedere in base ad un ragionamento la possibile evoluzione degli eventi senza necessariamente sperimentarne le conseguenze di persona, proponiamo la lettura di un frammento, molto significativo, del romanzo di Dumas. Il passo che abbiamo scelto descrive in modo mirabile la mancanza di una giustizia uguale per tutti e le conseguenze dell’ arbitraria applicazione della legge nell’ambito di un sistema politico di tipo autoritario. Entriamo quindi nel racconto così come conviene a chi si accinge, in modo discreto e riguardoso, ad ascoltare una storia: in punta di piedi raggiungiamo un angolo della sala della taverna della Rèserve e in silenzio cominciamo ad osservare la scena che vi si svolge. Due ragazzi, Edmond Dantès e Mercédès, siedono felici ed innamorati ad una tavola bene imbandita in compagnia dei loro amici e parenti: è la festa del loro fidanzamento e di lì ad un ora saranno marito e moglie…”quasi in quello stesso istante per le scale riecheggiò un rumore sordo. Il rumore di un passo grave, un brusio indistinto di voci miste ad un clangore d’armi coprirono le esclamazioni dei convitati e attirarono l’attenzione generale che si manifestò subito tramite un silenzio inquieto. Il rumore si fece più vicino. Alla porta si udirono tre colpi. Ciascuno guardò il proprio vicino con aria stupita. “In nome della legge!” gridò una voce vibrante alla quale nessuna voce rispose”. Proprio così! Una delle più grandi ingiustizie create dalla fantasia degli scrittori inizia, come a volte anche nella realtà, in nome della legge e allora noi diciamo che se la legge viene fatta o amministrata a favore di uomini che si pongono al di sopra di altri uomini, quella è una legge che ha smesso di servire la giustizia. Edmond Dantès viene arrestato alla sua festa di fidanzamento, sotto gli occhi della sua amata, senza spiegazioni e trascinato innanzi al sostituto procuratore del re…”il giovanotto era sempre pallido, tuttavia quieto e sorridente; salutò il giudice con disinvolta cortesia, poi cercò con lo sguardo un posto dove sedere…fu solo allora che incontrò lo sguardo fosco di Villefort, lo sguardo proprio degli uomini di palazzo che non vogliono si legga loro nel pensiero, e che rendono il proprio occhio un vetro smerigliato. Tale sguardo gli comunicò che si trovava al cospetto della giustizia, figura dalle lugubri maniere”…”la vostra età? Diciannove anni, rispose Dantès”. Questo è ciò che sta alla base dei poteri forti: il poter fare le cose senza tener conto degli altri. Chi vuol far credere che tali poteri servano a fare prima e meglio le leggi omette di dire che le leggi si fanno tanto meglio quante più menti lavorano alla loro stesura e che l’unica legge che viene promulgata con i poteri forti e quella del tiranno. Quando la dittatura entra nelle vite degli uomini per questi non ci saranno che lacrime amare e penosi sospiri perché in quel preciso momento la giustizia sarà stata cancellata e ciò che rimarrà sarà solo l’arbitrio. Anche il nostro giovane Dantès, ignaro di tutto questo si abbandona, con l’ingenuità tipica della sua età ed il candore della propria coscienza, nelle mani del proprio carnefice…”cosa facevate nel momento in cui siete stato arrestato? Prendevo parte al mio banchetto di fidanzamento, dichiarò Dantès con voce leggermente turbata, a tal punto era il doloroso contrasto tra quei momenti di gioia e la sinistra cerimonia che si compiva, a tal punto il viso cupo di monsieur di Villefort faceva rifulgere di tutta la sua luminosità il radioso volto di Mércèdes…continuate (proferì Villefort). Cosa volete che continui? A fornire chiarimenti alla giustizia! Mi dica su quale punto la giustizia desidera chiarimenti, e io dirò tutto quello che so; solo che – aggiunse con un sorriso – la avviso che non so granchè…le vostre opinioni politiche vengono definite smodate, dichiarò Villefort al quale non era giunta alcuna voce…le mie opinioni politiche? Ahimè, mi vergogno quasi a dirlo, non ho mai avuto quel che dicesi un’opinione: amo mio padre, rispetto monsieur Morrel e adoro Mèrcédes. Questo è tutto quel che posso dire alla giustizia. Vedete che ai suoi occhi è poco rilevante…Vi tratterrò qui a palazzo di giustizia fino a sera. Forse verrà qualcun altro ad interrogarvi…Villefort suonò. Entrò il commissario di polizia. Villefort si accostò al pubblico ufficiale e gli disse qualche parola all’orecchio; il commissario rispose con un semplice cenno del capo. Seguite il signore, disse Villefort a Dantès. Dantès fece un inchino, gettò un ultimo sguardo di gratitudine a Villefort e uscì. Dopo essersi accertato che l’imputato non fosse più in anticamera il sostituto procuratore del re uscì a sua volta e si diresse a passo spedito a casa della fidanzata”. Cosa sono le leggi speciali se non un espediente per aggirare la giustizia e, in assenza della giustizia l’uomo imbocca il suo sentiero più buio, come un cieco brancolerà perduto nelle tenebre in balìa di ogni sorta di pericoli perché non ci sarà più alcuno a difenderlo. Ma seguiamo ancora il nostro Edmond che ebbe la sfortuna di vivere in un mondo senza giustizia…”nell’attraversare l’anticamera il commissario fece un cenno a due gendarmi, i quali si posero uno a destra e l’altro a sinistra di Dantès, aprirono una porta che metteva in comunicazione l’appartamento del procuratore del re con il palazzo della giustizia, seguirono per qualche tempo un dei grandi corridoi scuri che fanno rabbrividire quanti vi passano quant’anche non abbiano alcun motivo di rabbrividire. Così l’appartamento di Villefort comunicava col palazzo di giustizia, il palazzo di giustizia comunicava con la prigione, lugubre monumento attiguo al palazzo…dopo numerose svolte nel corridoio che stava seguendo, Dantès vide pararglisi di fronte una porta con uno sportello di ferro; con un martello il commissario battè tre colpi, che per Dantès riecheggiarono come se gli venissero picchiati sul cuore. La porta si aprì, i due gendarmi sospinsero lievemente il prigioniero, che ancora esitava. Dantès varcò la temibile soglia, e la porta si richiuse fragorosamente alle sue spalle. Egli respirava un’altra aria, un’aria mefitica e greve: si trovava in prigione”. Chi di noi, di fronte a quel corridoio non ha sentito una stretta al cuore, immaginando gli anonimi gendarmi noncuranti della umanità di Dantes? Chi potrebbe non avvertire quella impotenza che si prova quando ci si trova al cospetto della linea che delimita il mondo dei sogni da quello degli incubi? Chi, entrando con Edmond in quella cella non ha provato quel senso di rassegnata disperazione che trabocca dal cuore dell’innocente condannato ingiustamente? Eppure pochi provano quelle stesse sensazioni di fronte al concretizzarsi della realtà da cui tutto scaturisce: la tirannia.
Alexander Dumas ci ha lasciato anche un’altra immagine, riferita ai servi del tirano, quei mercenari dell’ingiustizia senza i quali i loro padroni, troppo vigliacchi ed ignoranti apparirebbero certo come molluschi senza guscio. A questi uomini vuoti, affamati di potere e senza giustizia e umanità nel cuore il re ricorda “ mi trovo tra persone da me innalzate alle massime cariche – che dovevano vegliare su di me più doviziosamente che su se stesse giacchè la mia fortuna è la loro, prima di me nulla erano, dopo di me nulla saranno…”
Antonio Salerno |
| | |
archivio
E NEWS
|
WEB TV
|