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Per chi suona la campana |
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27/08/2011 | “ poi il vento si alzò e la polvere de la plaza, che adesso era asciutta perché gli uomini che stavano fermi o passeggiavano o stavano fermi o battevano i piedi l’avevano rimescolata tutta, cominciò a sollevarsi ed un uomo con un abito domenicale blu scuro gridò: ”agua!”, “agua!“ e il custode che aveva il compito di innaffiare ogni mattina la plaza con una pompa arrivò e aprì la pompa e cominciò a bagnare la polvere tutt’intorno alla plaza e poi verso il centro allora le due file di uomini indietreggiarono perché il custode potesse innaffiare anche i centro della piazza e il tubo della pompa oscillava in grandi archi e l’acqua brillava al sole, e gli uomini appoggiati ai loro correggiati, ai bastoni, e ai forconi di legno bianco guardavano zampillare con violenza l’acqua. Quando la plaza fu annaffiata ben bene e la polvere si fu depositata le file si formarono di nuovo e un contadino gridò: quando ci saranno i primi fascisti? Quando uscirà il primo dalla stalla? ”. Parrebbe proprio una normale giornata di festa nella piazza del paese e invece è una delle immagini più agghiaccianti che la letteratura abbia mai dipinto. Non poteva essere altrimenti dal momento che viene raffigurato l’odio e l’indifferenza dell’uomo nei confronti dei propri simili. Non ripercorreremo la via degli eventi che hanno fatto maturare un tale odio, ciò fa parte del lavoro dello storico e del sociologo, ma accenneremo ai meccanismi psicologici che rendono possibile questo comportamento da parte di esseri i quali posseggono una caratteristica unica in natura: la capacità di astrazione. La ragione permette la comprensione della realtà senza la necessità di passare necessariamente attraverso l’esperienza sensoriale diretta. Stando a questo concetto l’uomo dovrebbe riuscire ad avere una percezione astratta anche della sofferenza, di ogni tipo di sofferenza. Allora come si spiegano le azioni crudeli che essi compiono sugli altri. Ho ascoltato, qualche giorno addietro, le parole dell’onorevole Di Pietro che suonavano più o meno così: “ non capisco perché chi non paga le tasse non debba andare in galera, non gli si debbano togliere la casa, la macchina...”. Parole forti per un concetto indubbiamente giusto se preso a se, fuori da qualunque contesto, non ultimo quello della sofferenza. E’ proprio questo il punto fondamentale: come può un uomo, che riesce ad immaginare in anticipo il dolore che provocherà ad un altro essere, soprattutto se un suo simile, volerlo provocare deliberatamente. Alla base di tale atteggiamento vi potrebbe essere una particolare concezione del mondo e della vita che accomuna e contraddistingue gli individui più intransigenti che tendono a portare tutto agli estremi non curandosi, o curandosene poco, della ricaduta delle proprie azioni sugli altri. Consiste proprio in questo la differenza tra il garantismo e la giustizia sommaria; tra la punizione che tende alla riabilitazione ed il linciaggio; tra la legge dello stato e quella del taglione. Cos’altro è il garantismo se non la consapevolezza della possibilità di commettere errori o ancora della necessità di prendere in considerazione punti di vista differenti. Tanto per fare un esempio consideriamo la frase: “chi non paga le tasse deve essere spogliato di tutto”. Un garantista, prima di passare a metodi spiccioli, medioevali quali le galere e le confische, si sarebbe posto alcune domande come quella se quello italiano è un fisco giusto; se quello di possedere una casa e un’auto sia o meno un diritto di chi lavora; se un onesto contribuente riuscirebbe mai, senza voler attingere ad eredità o a risparmi delle generazioni precedenti, ad avere una propria casa e una propria auto (decente) e a condurre una vita decorosa, solo con ciò che gli avanza dal proprio lavoro al netto delle tasse. Avrebbe, il nostro garantista, certamente riflettuto su come a fronte delle richieste di uno Stato – strozzino-, i soldi dei contribuenti vengano sperperati dalla classe politica, alla quale l’On. Di Pietro appartiene, senza il minimo pudore che pure sarebbe opportuno conservare quando ci si trova a gestire il denaro di cui i cittadini si sono privati per affidarlo alla politica affinché venga investito in servizi, infrastrutture, scuole, ospedali, pubblica sicurezza, difesa, trasporti, pubblica amministrazione e tutto ciò che può risultare di pubblica utilità. L’accorto garantista trarrebbe sicuramente delle conclusioni in merito alla questione dell’evasione fiscale allorquando il vaso di Pandora, a cadenza ormai quasi decennale, viene scoperchiato facendo fuoriuscire sperperi, furti legalizzati, corruzioni, abusi e privilegi di ogni genere a danno delle casse dello stato e dei propri cittadini contribuenti: si pensi alla gestione di fondi e appalti da parte della Protezione Civile o dei Ministeri; ai fiumi di danaro elargiti alle Regioni a statuto speciale; alla gestione dei lavori pubblici; ai costi della pubblica amministrazione; agli appalti pilotati; ai vergognosi costi della politica ed alla gestione personale dei soldi pubblici da parte dei politici; agli incarichi per chiamata diretta ed alle rispettive parcelle; alle mafie; alle collusioni; alla spaventosa corruzione in tutti i settori della vita pubblica; alle limitazioni dei diritti e delle libertà personali; ai conflitti di interessi; si rischia di rimanere senza fiato a volerle elencare tutte le storture quasi istituzionalizzate, che flagellanoil Stato. E la politica come risponde: aumentando le gabelle e togliendo il guinzaglio ai dipietrini, senza considerare che per una vasta fascia della popolazione vale quanto riportato dal Vicerè di Napoli Antonio Toledo nel 1540: “ non haveran facto poco se potranno sostentar la loro vita e de’ loro figlioli che questo anno non morano di fame per le cose che sono tanto strecte per tutto, che non si pon credere se non si vedono”. Un comune professionista si trova a versare il 42% di tasse sul reddito, se va bene, più l’iva su ciò che compra, le accise sulla benzina e le addizionali regionali e comunali sulle utenze, sulla casa e sullo smaltimento dei rifiuti oltre alla miriade di altre piccole imposte come bolli e altro che neppure si riesce ad immaginare. Questo professionista in cambio dovrebbe avere strade sempre buone ed efficienti:Ah,ah ah ah! Una scuola eccellente per i propri figli: ah,ah,ah! Una sanità efficiente: ah,ah,ah! Un Welfare degno di un paese moderno ed economicamente avanzato: ah,ah,ah! Una giustizia efficiente: ah,ah,ah! Una pubblica amministrazione efficiente: ah,ah,ah! Un parlamento che emani leggi giuste a tutela dei cittadini:ah,ah,ah! la tutela dell’ambiente: aria, acqua e suolo, paesaggi, fauna e flora: ah,ah,ah! La salvaguardia del proprio patrimonio artistico, storico e culturale: ah,ah,ah! POTREMMO CONTINUARE PER TUTTO LO SPAZIO DISPONIBILE. Purtroppo, invece di guardare a tutto questo, l’On. Di Pietro vuole arrestare, affamare, lasciare senza tetto e senza auto chi non paga le tasse: cosa, peraltro, giustissima se prima o almeno subito dopo andasse a posto tutto il resto. Invece siamo solo alla giustizia sommaria e vediamo dove porta questo tipo di visione della vita leggendo una pagina meravigliosamente cruda del romanzo di Ernest Hemingwuay: “ nell’aiuntamiento. Fuori c’era una gran folla, e mentre dentro il prete faceva quello che doveva fare qualcuno fuori cominciò a scherzare e a dire delle oscenità…mentre il parroco era impegnato nei suoi doveri, Pablo fece disporre su due file la gente della plaza…erano armati tutti con correggiati, di quelli che si usano per battere il grano ed erano distanti l’uno dall’altro una buona lunghezza di bastone…e quelli che non avevano correggiati avevano bastoni da pastore o dei nerbi di bue e certi avevano dei forconi. Alcuni avevano falci e falcetti, ma questi Pablo li aveva messi all’altra estremità, sull’orlo della rupe…ecco il primo, e Don Benito Garcia, il sindaco, uscì a testa nuda dalla porta, scese lentamente gli scalini e non accadde niente; e lui continuava a camminare a testa alta e ancora non accadeva niente. Poi vidi un uomo a distanza di tre uomini da dov’ero io…l’uomo alzò il correggiato tanto alto da urtare il suo vicino, e assestò a Don Benito un colpo sulla tempia, e Don Benito lo guardò e l’uomo lo percosse di nuovo gridando: “questo è per te,cabròn”! E il colpo percosse alla faccia Don Benito, e lui si coprì la faccia con le mani e tutti allora lo percossero finchè non cadde; e l’uomo che l’aveva percosso per primo gridò agli altri che lo aiutassero, e afferrò per il collo della camicia Don Benito, e gli altri gli afferrarono le braccia e con la faccia nella polvere della plaza lo trascinarono fino al ciglio della rupe e lo buttarono nel fiume. E l’uomo che l’aveva colpito per primo s’inginocchiò sull’orlo della rupe e guardando in giù diceva: “cabron!cabron! Oh, el cabron!” …
Antonio Salerno
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