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Ippolito Nievo e l’Unità d’Italia |
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12/10/2010 | Come i nostri lettori, pazienti e volenterosi, avranno già intuito ( mi si perdoni l’esordio di tono o più modestamente di intonazione manzoniana, frutto evidente di una suggestione molto duratura, conseguente all’ennesima rilettura delle opere di così grande scrittore ) ci occuperemo ancora per un po’ di cultura nel periodo rinascimentale e non perché questo periodo sia più importante di altri da un punto di vista prettamente letterario - in fondo, ogni periodo, sotto tale aspetto, offre una più o meno vasta gamma di attrattive o prelude a vasti movimenti tali da dar voce e vita ad un’epoca )
Lo è però senz’altro se rapportato al momento politico e sociale che stiamo ora vivendo qui in Italia: si è costruito allora, infatti, con molto sacrificio di vite umane ciò che oggi, con tanto accanimento ( ma, per fortuna, almeno finora senza immolazioni se non di ideali) si vorrebbe, almeno da parte di alcuni e con confusione massima di aspettative non tutte esaltanti, distruggere. Una piccola osservazione a caldo : gli intellettuali di quel periodo erano letterati, idealisti ed “impegnati” nelle vicende politiche e sociali dell’epoca; ben diversi, in breve, dagli intellettuali di adesso che dopo un primo successo di pubblico saltano sulla grande giostra della ribalta mediatica e del mondo corrotto e godereccio che le orbita intorno , scordando e smentendo tutto quanto non é funzionale alla crescita economica e della popolarità. Non va dimenticato, a tale proposito, che In quel momento storico del quale intendiamo occuparci ( brevemente , per carità! molto brevemente ! ) si è avuto un ottimo connubio tra arte, storia e politica. Credo doverosa e calzante, intanto, una breve nota di storia, strettamente riferita al personaggio di cui voglio parlare.
Parlerò infatti di un autore a me molto caro, fin dai tempi del liceo : Ippolito Nievo. Apparteneva a quel gruppo di intellettuali patrioti ed idealisti del XIX secolo che hanno sognato, voluto e combattuto per la creazione di uno stato unitario. La vita stessa del nostro autore, Ippolito Nievo - nacque in Padova, nel Veneto , ossia proprio nell’ attuale ostico nord – est d’Italia ora tanto refrattario alla conservazione dello Stato unitario, il 30 novembre 1831, e morì a soli trent’anni in Napoli, più precisamente al largo di Ischia, su di un vecchio piroscafo per ironia della sorte chiamato l’Ercole, che affonda a causa di una violenta tempesta , il 4 marzo del 1861, a ridosso del compimento dell’ormai gloriosa epopea risorgimentale - può essere assunta come emblematica di quel sogno diffuso e romantico dell’Italia unita : muore infatti al largo di Napoli appena dopo la campagna di liberazione della Sicilia da parte dei patrioti che si erano posti spontaneamente al seguito di Garibaldi .
Va anche ricordato che, per quanto riguarda l’aspetto letterario, il 19° secolo registra la nascita del romanzo storico ; Nievo, in Italia, oltre Manzoni chiaramente, si afferma, con la sua opera: “ Le confessioni di un italiano”. come uno dei suoi maggiori interpreti. Scritto tra il 1857 e il 1858 e pubblicato nel 1867, quel romanzo ci testimonia che ben prima dell'Unità politico – amministrativa dell’Italia, si era formata una coscienza nazionale e che questa forte spinta emotiva era molto più che un'aspirazione : era espressione invece una volontà ferma e diffusa che coinvolgeva interi settori della società civile dell'epoca.
Nativo, come si é detto, , di una terra posta tra Veneto e Lombardia, nella sua breve esistenza, fra il 1831 ed il 1861, vive appassionatamente le vicende del suo tempo. Con uno stile pungente e sarcastico che usa per mettere in risalto alcuni aspetti della società e dei personaggi, si serve magistralmente di una satira leggera, delicata, che potremmo definire ( facendo sobbalzare qualche purista della lingua): “ ingenua ” tanto , da ricordare per certi versi proprio il “ Candido “ del Voltaire ( che però ingenuo non ara affatto). Il romanzo, sotto l’inedita veste di “ confessione “ , in qualche misura storico , per5meato e dunque caratterizzato dalla vena allusiva e satirica dell’autore, ci offre una poetica e sentimentale descrizione di un mondo, quello medievale, dei comuni, che ormai volge al termine.. I personaggi che una volta apparivano minacciosi rappresentanti del potere arrogante della nobiltà, appaiono ora, nel racconto, come maschere di una società che a grandi passi si avvicina al suo tramonto :così il capitano delle guardie Sandracca, il burocrate cancelliere, lo stesso Conte di Fratta sembrano figure caricaturali ed innocue di un mondo e una società che appartengono al passato ed in esso si dissolvono. È persino superfluo evidenziare però che in tutta questa rappresentazione ci sono anche passi di altissima poesia. Ne riportiamo alcuni per fare riassaporare a chi ha la ventura di leggerci, quasi sulla punta della lingua, il sapore dolcissimo dei versi del Nievo: nel brano “ la scoperta del mare”.: . ” ...e volsi intorno gli occhi, e mi ricorderò sempre l’abbagliante piacere e quasi lo sbigottimento di meraviglia che ne ricevetti. Aveva dinanzi un vastissimo spazio di pianure verdi e fiorite, intersecate da grandissimi canali simili a quelli che avevo passato io, ma assai più larghi e profondi. I quali s’andavano perdendo in una stesa d’acqua assai più grande ancora; e in fondo a questa sorgevano qua e là disseminati alcuni monticelli, coronati taluno da qualche campanile. Ma più in là l’occhio mio non poteva indovinare cosa fosse quello spazio infinito d’azzurro che mi pareva un pezzo di cielo caduto e schiacciatosi in terra: un azzurro trasparente, e svariato da strisce d’argento che si congiungeva lontano lontano coll’azzurro meno colorito dell’aria. Era l’ultima ora del giorno: da ciò mi accorsi che io doveva aver camminato assai assai . il sole in quel momento, come dicono i contadini, si voltava indietro, cioè dopo aver declinato dietro un fitto tendone di nuvole, trovava vicino al tramonto un varco da mandare alla terra un ultimo sguardo, lo sguardo di un moribondo dietro una palpebra abbassata. D’improvviso i canali, e il gran lago dove sboccavano, diventarono tutti di fuoco: e quel lontanissimo azzurro misterioso si mutò in un’ iride immensa e guizzolante dei colori più diversi e vivaci. Il cielo fiammeggiante ci si specchiava dentro e di momento in momento lo spettacolo si dilatava, s’abbelliva agli occhi miei , e prendeva tutte le apparenze ideali e quasi impossibili di un sogno…”. La straordinaria bellezza descrittiva di questi versi sembra quasi far dimenticare l’indole patriottica e combattiva di questo giovanissimo patriota, che partecipa alla spedizione dei “ Mille “ impegnandosi valorosamente sui campi di battaglia della Valtellina e dello Stelvio a fianco di Garibaldi, sino a morire, sfortunatamente, come abbiamo ricordato, nel naufragio della nave che lo avrebbe dovuto ricondurre vittorioso alla sua casa in Veneto.
Per quella capacità innata di “creare dei nessi” che contraddistingue l’intelligenza dell’uomo ( e che nell’articolo precedente scherzosamente, attribuii al giovane Manzoni - che pure dovette esserne dotato - per mettere alla prova l’attenzione portata al mio scritto dei lettori ) proprio per quella capacità tutta umana, dicevo, possiamo avvertire l’italianità del Nievo nell’ appassionata descrizione dei paesaggi che ci presenta e ci fa rivivere, nel folla dei sentimenti che ci trasmette nell’evocarli , nella società come da lui fotografata - almeno qui da noi, realmente mai mutata -: nelle atmosfere e negli scorci storici così tipici pure riferiti a quel medio evo che però appare tanto radicato nella nostra intera nazione.
Chi ha vissuto nella Lucania degli anni settanta avrà certamente provato le stesse sensazioni ed emozioni del nostro autore trascorrendo una parte della propria esistenza in un mondo che nell’arco di un ventennio é sembrato completamente sparire. Al nord erano gli anni delle contestazioni giovanili nelle università, dei grandi movimenti operai, delle lotte di classe. Qui da noi invece ,percorrendo le strade dei paesi si potevano catturare suoni, odori, atmosfere che oggi appartengono ormai alla storia. Nessuno si sarebbe stupito a quell’epoca di dover cedere il passo, nell’ora in cui il sole sta per declinare, in un agosto assolato e pregno dei profumi della campagna, ad una carovana di asini condotti da anziani o vecchi contadini che con ostentata fierezza partecipavano a quel cerimoniale. Anche la descrizione che il Nievo fa del castello di Fratta ci tocca da vicino e ci riporta alle nostre strade “ cittadine ” dell’epoca, fatte di ciottoli sconnessi, o agli “ spuort ” dentro ai quali rimbombavano i ferri degli zoccoli misti al tintinnio dei finimenti degli asini. In quel mondo, che adesso, almeno esteriormente, non esiste più, c’è la nostra storia: una storia fatta di povertà diffusa, in alcuni casi di miseria, di una società che, attraversata da mille bisogni impellenti di vita, non certo si preoccupava dell’arte, dell’architettura artistica, della musica, che non fosse quella suonata dalle bande dei paesi quando accennavano, a singhiozzi, a qualche sinfonia o a qualche marcetta al cui autore solo qualcuno del pubblico, con ostentata sufficienza o apparente rapimento, riusciva a risalire. Una miseria che nei secoli è scesa fin dentro i cuori delle persone. Una terra, la nostra, che, vista in una notte buia, se si osservano quegli spazi neri che inghiottono tutto quanto separa i piccoli borghi illuminati, mette ancora paura. Quelle distanze oscure hanno certamente segnato profondissimi solchi anche tra le comunità che quei borghi abitavano ed abitano, ma altri fattori sono intervenuti ad impedire che si diversificassero l’una dall’altra se non per una residua l’inflessione linguistica ( basta sentir parlare dei bambini scolarizzati di qualsiasi parte d’Italia ), per le abitudini di vita ( che si differenziano per il reddito o il livello cuturale , non certo per la collocazione spaziale di chi le manifesta ) . Quelle distanze cui si é fatto cenno - che una volta venivano ricoperte a piedi, o nella migliore delle ipotesi a dorso d’ asino, provocarono nel passato ormai lontano una chiusura delle comunità su se stesse al punto da dover sviluppare vere e proprie economie autarchiche, che però con i primi mezzi a motore gradualmente si aprirono in modo sostanziale al mercato degli scambi, ad una importazione ed esportazione di merci e beni su scala mondiale. All’interno di queste comunità, così isolate, la povertà spingeva i nuclei familiari ad una ulteriore chiusura, un ulteriore ripiegamento su sé stesse, fenomeno sociologico questo che venne successivamente analizzato e stigmatizzato dal sociologo statunitense Edward C. Banfield col nome di “familismo amorale”.
Il punto di riferimento della società era la famiglia allargata e non il più vasto tessuto sociale nel suo insieme. Da qui tante storture relazionali che persistono ancora oggi nella organizzazione e nel funzionamento della struttura sociale lucana. Tale chiusura adattiva della società come risposta a delle condizioni particolarmente svantaggiose della natura e della economia dell’insediamento, imposte da una terra anticamente paludosa nei suoi pochi sbocchi al mare, senza porti e vie di comunicazione agevoli ai traffici, è sopravvissuta per così tanto tempo che la Lucania è stata fatta oggetto di studio proprio, nella letteratura come nella cinematografia, per lo stato di arretratezza in cui versava. Dopo gli anni ottanta molto è cambiato. Le giovani generazioni si sono via via sempre più omologate ai modelli nazionali ed internazionali ( miracoli soprattutto della televisione ) fino ad oggi quando appunto é maturata la possibilità per tutti di esportate modelli, cultura e tecnologia ( miracoli della rete ). Solo in politica persiste una cultura del passato che ha ben poco a che vedere in verità con la Cultura del passato, esplorato e studiato, recuperato come valore nella propria vita con l’intensità ed il rispetto che si porta ad una fonte inesauribile di arricchimento e di crescita umana e sociale, e non come parata fantasiosa di immaginarie origini e gesta, evocate str4umentalmente per creare atmosfere e consensi a spregiudicate operazioni politiche e di potere. Genuina ed essenziale é certamente la giusta attenzione che viene talvolta e da taluni riservata ai centri storici, ai patrimoni naturalistici, ai siti storici ed archeologici. Ma perché si faccia costume interiore nei suoi principi ispiratori, perché si affermi come clima sociale .informato a quei valori occorre tempo, tanto tempo, per risollevare in tal senso le sorti di un intero territorio che parte da così lontano. Tempo e scelte giuste dettate da una visione moderna e lungimirante della società e dell’economia ormai soggette a globalizzazione.
Ma torniamo ancora per un momento al nostro autore : superando ogni fittizio confine, troveremo e ammireremo in Ippolito lo slancio di un ragazzo sognatore, come tanti ce ne sono anche nella nostra terra. Nel suo romanzo si può cogliere, come spesso accade, l’ironia di un giovane intellettuale che intravedendo un mondo nuovo si prende gioco del vecchio. Ma riscopriremo anche in lui l’istinto profondamente umano e puro del poeta votato ( detto con le sue parole ) a “ quella religione semplice e poetica della natura, che mi ha poi consolato d’ogni tristizia umana colla dolce e immanchevole placidità delle sue gioie”, proprio come quella che, per dono della natura consola, delle sue pene, da secoli ogni abitante della nostra ammirevolissima terra.
Antonio Salerno |
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