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''Profeti di pace nel tempo della violenza''

19/12/2025

La bellissima riflessione di don Giovanni Lo Pinto, parroco di Senise,in occasione della presentazione del libro di don Marcello Cozzi ''Non interferite. Il sangue dei preti sull'altare delle mafie''.

Bonum est faciendum, male est vitandum. Il precetto della Legge morale getta luce sulla vita dell’uomo, in ogni tempo, in ogni luogo, chiamato a perseguire il bene e a schivare, a evitare il male. Un comando della legge divina che ben si armonizza con la legge naturale, che dialoga con ogni cultura veramente umana e che mostra la bellezza di un’antropologia forte.
Alla base di tante derive che viviamo c’è uno svilimento dell’uomo e dell’umano. Lo riconosciamo a partire dall’esperienza che ci mostra come sia terribile considerare un mondo in cui la cosificazione delle persone e tante altre degenerazioni contemporanee vadano verso pospettive veramente tristi: violenza, sopraffazioni, delinquenza, guerre e riduzionismi raccontano infatti uno spaccato a cui rischiamo di abituarci.
Una pace “disarmata e disarmante”, una pace “umile e perseverante”, quella che Papa Leone implora per questo mondo in cui per raggiungere la stessa pace si fa la guerra; in cui “si arriva a considerare una colpa” il fatto che non ci si prepari abbastanza “a reagire agli attacchi” e “a rispondere alle violenze”. Un mondo in cui le spese militari sono aumentate del 9,4%; in cui il rapporto tra i popoli è basato su paura e dominio; in cui si benedice il nazionalismo e si giustifica “religiosamente la violenza e la lotta armata”. Un’analisi cruda nel suo realismo ma al contempo confortante per la speranza che la permea, quella di Leone XIV nel messaggio per la 59ma Giornata mondiale della pace che ricorre il prossimo 1° gennaio 2026. “La pace sia con tutti voi. Verso una pace disarmata e disarmante” è il tema scelto dal Pontefice. Il Papa rivolge un pensiero agli operatori e alle operatrici di pace che, “nel dramma di quella che Papa Francesco ha definito ‘terza guerra mondiale a pezzi’, ancora resistono alla contaminazione delle tenebre, come sentinelle nella notte”. “Apriamoci alla pace!”, è l’esortazione di Leone XIV, “accogliamola e riconosciamola, piuttosto che considerarla lontana e impossibile. Prima di essere una meta, la pace è una presenza e un cammino.



Seppure contrastata sia dentro sia fuori di noi, come una piccola fiamma minacciata dalla tempesta, custodiamola senza dimenticare i nomi e le storie di chi ce l’ha testimoniata”. E a conclusione del suo messaggio Papa Leone interpella i cristiani perché, “memori delle tragedie di cui troppe volte si sono resi complici”, si facciano “profeticamente testimoni” della pace di Cristo risorto che “è disarmata, perché disarmata fu la sua lotta, entro precise circostanze storiche, politiche, sociali”. Tutti i cristiani sono chiamati ad “agire con misericordia” e a prendere esempio da quei fratelli e sorelle che “hanno saputo ascoltare il dolore altrui e si sono interiormente liberati dall’inganno della violenza”.
Papa Leone parla di nomi e di testimoni di cui custodire viva la memoria, invita a essere profeti di una cultura nuova. Don Marcello Cozzi nel suo libro “NON INTERFERITE. IL SANGUE DEI PRETI SULL’ALTARE DELLE MAFIE” ci presenta alcune figure di martiri della mafia. Martiri e non eroi. Persone, sacerdoti che hanno vissuto nella fedeltà il proprio ministero e che hanno dato la vita, hanno versato il sangue, si sono detti desiderosi di vivere appieno il Vangelo a servizio della comunità loro affidata e della speranza di cui si sono fatti servi generosi. San Giovanni Paolo II in Pastores dabo vobis parla di “Uomini di Dio, scelti tra gli uomini per essere come Cristo”, che hanno fatto esperienza della via stretta della croce, sapendo i rischi e il prezzo alto che potevano essere chiamati a pagare. E così è stato, senza mezzi termini, senza misure intermedie. La mafia, le mafie non fanno sconti. Si annidano laddove ci sono mancanze da parte dello Stato, laddove la legalità resta uno slogan, lì dove viene proclamata invece che vissuta a partire dal quotidiano. Testimoni di vita nuova e di fedeltà al Vangelo, a Cristo, alla Chiesa, all’uomo, alla speranza che hanno aiutato a riconoscere nei cuori di coloro che potevano anche arrendersi, cedendo alla logica del “non c’è più niente da fare”, “devono andare così le cose”. Ecco: a pochi giorni dal Natale cogliere la fedeltà di questi preti, valorizzare il loro sacrificio ci richiama la grandezza del mistero del Natale del Signore: “Solo nel mistero del Verbo incarnato trova piena luce il mistero dell’uomo” (GS 22).
La testimonianza di don Puglisi, di don Diana, di don Dossetti, don Boschin, don Stagno e altri con loro... uomini di Dio che non hanno ceduto al compromesso e che non si sono tirati indietro quando la realtà ha manifestato crudeltà e rifiuto nei loro confronti. La loro testimonianza resta luminosa perché splende, alla maniera di una cometa, e indica una via da seguire.
A don Marcello Cozzi, prete lucano da sempre impegnato sul fronte della cultura della legalità e della lotta alle mafie, la nostra gratitudine e la stima della Comunità cristiana e della società civile di Senise, della Basilicata e non solo: serve il coraggio della denuncia, serve la forza delle argomentazioni per mettere via il torpore dell’indifferenza e la meschinità di considerare tutto tristemente normale.
Tratti ricorrenti richiamati da don Marcello considerano una “pastorale scomoda”, la rottura dell’ambiguità tra fede, potere e criminalità, l’isolamento ecclesiale, spesso doloroso quanto le minacce mafiose e la fedeltà al Vangelo fino al rischio personale. Certamente a chi cammina alla presenza della Verità è chiesto un “martirio quotidiano”, una testimonianza di amore fedele e infaticabile che apra alla vita buona come profezia di tempi nuovi e del “Regno di Dio che si è fatto vicino”. È l’annuncio messianico di Giovanni il Battista che in questo tempo di Avvento richiama alla speranza e quindi alla certezza che il Signore che nasce compie le attese del cuore e inaugura tempi nuovi. È l’annuncio della vita che vince sulla morte, della pace che abbatte le guerre, della fedeltà che rende imperituri alcuni profili, generando attrazione, e invita alla fedeltà nell’ordinario, fatta di bontà e di vita, di speranza cristiana che non nega il dolore dell’apparente sconfitta e della tristezza della morte sopraggiunta a causa della cattiveria degli uomini: non si può cedere alla frenesia del consumismo ma nemmeno alla flemma dell’indifferenza. Serve che, con coraggio, si chiamino per nome le cose, si smascherino le logiche delle storture e si abbia la tenacia di guardare con occhi nuovi la realtà che ci circonda: Cristo che nasce è la risposta all’ansia dell’uomo che cerca, che continua a formulare domande e che non cede di fronte all’immolazione dei suoi profeti il cui sacrificio rende sacre le strade percorse e le corona con la palma della giustizia. Quest’ultimo è il premio riservato ai “servi fedeli del Vangelo” che, con forza dirompente, continua a chiamarci in causa per un bene più grande a cui, di certo, non vogliamo rinunciare: la fedeltà al Signore che chiama uomini normali e li rende forti, invincibili con la sua grazia.

Don Giovanni Lo Pinto



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