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Macbeth |
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28/12/2010 | Il potere e la gloria: già solo su questi due concetti sarebbe opportuno soffermarsi a riflettere; ma forse ci vorrebbero troppe pagine, tante quante una rubrica come “Candido” non può contenere. Più ancora però conta per noi riflettere su come si arriva al potere, dato che le società degne di tal nome si sono date delle regole racchiuse nelle Costituzioni e negli impianti normativi di ogni singolo Stato. Da questo asserto dipendono poi molte conseguenze: in particolare, se il potere viene legittimamente conquistato, con moderazione e senso del giusto verrà poi amministrato; se al potere si arriva per vie turpi, delittuose, oscure, quella scia di ingiustizie non potrà che continuare almeno fino alla cessazione della causa che l’ha originata.
Quando parliamo del potere ci riferiamo ad un qualcosa presente in tutte le società e persino nelle forme di aggregazione del mondo animale. Alludiamo cioè all’esigenza avvertita da un gruppo, da un branco o da una collettività umana di riconoscere al suo interno la figura di un capo. Da sempre i capi sono stati e sono individui che eccellono per alcune qualità ritenute importanti da una determinata specie o società, e comunque da quando l’uomo ha sentito la necessità di staccarsi da modelli organizzativi e comportamentali di vita animale per percorrere un sentiero totalmente diverso, in cui valori astratti risultavano predominanti persino rispetto ai bisogni elementari. Naturalmente anche la figura del capo si è adeguata di volta in volta, nei cambiamenti, alle nuove forme di convivenza fino a costituire e rappresentare colui che racchiude in sé e meglio riesce ad esternare con le opere i valori ritenuti fondamentali per una società, espressi e custoditi in un testo legislativo costituzionale ed in un ordinamento normativo. Questo almeno in teoria, o come dovrebbe essere. Nelle leggi e nella costituzione sono tracciate le vie che consentono un giusto ed armonioso vivere comune e anche le modalità con cui si deve gestire il potere, una volta giunti in posti di comando. Ma da quando le società si sono organizzate in forme sempre più complesse, hanno dovuto fare i conti con un grosso problema: la bramosia dell’uomo. Anche se apparentemente sembra tutto così chiaro, alcuni individui non riescono a stare dentro le regole che la società si è data. Questi uomini, come poi vedremo, diventano persino preda di una strana forma di follia: il delirio di onnipotenza. A questo giungono gradatamente e la loro convinzione connaturata che le regole valgono solamente per gli altri si rafforza man mano che i loro tentativi di non rispettarle vanno a buon fine. Per questo, ogni dittatore ha bisogno di una sorte benigna almeno in un certo periodo della propria vita: in breve deve, inizialmente, farla franca. Un detto di antica saggezza però, dice: “quando Dio vuole punire qualcuno lo rende cieco”. E forse ciò che maggiormente caratterizza la figura del dittatore è proprio una sorta di miopia nel vedere il futuro: quella totale mancanza della capacità di capire che c’è un limite oltre il quale non bisogna andare, quello che segna l’inizio dei diritti delle persone. Quei diritti per i quali intere generazioni di uomini e donne si sono battute, hanno dato in tanti casi la vita e alla fine hanno vinto. Ogni dittatore o aspirante tale dovrebbe sapere che quando un popolo ha respirato l’aria della libertà non tornerà mai più indietro. Oggi ci immergeremo nella lettura di una delle più belle ed attuali tragedie di Shakespeare che narra dell’ascesa al potere di un guerriero, il nobile Macbeth, cugino di Duncan, re di Scozia. Questo uomo valoroso perderà sé stesso per la bramosia del potere e della gloria. Come sempre lasceremo parlare l’autore nei passi da noi ritenuti più belli restando così fedeli allo scopo che questa rubrica si prefigge di raggiungere e cioè quello di essere di stimolo alla lettura e alla riflessione. Tra i passi che meritano di essere riportati vi è senz’altro, sia per la suggestione che suscita nel lettore che per l’originale modo di introdurre il tema, il conciliabolo delle streghe col quale si apre il primo atto: “tuoni e lampi, entrano tre streghe”. “ 1° Strega: - quando ci incontreremo ancora noi tre nel lampo, nel tuono e nella piova? 2° str. – quando la baruffa sarà spenta, quando la battaglia sarà perduta e vinta 3° str. – ciò sarà prima che la luce sia estinta. 1° str. – in qual luogo? 2° str. – sulla landa. 3° str. – per incontrarvi Macbeth. 1° str. – vengo Graymalkin. 2° str. – Poddock chiama. 3° str. – subito. Tutte : è brutto il bello, è bello il brutto, libriamoci per la nebbia e l’aer corrotto. Escono”. Già qui, pare che l’autore voglia sottolineare che ogni singolo evento umano possa essere valutato da punti di vista non diversi, ma addirittura opposti a seconda che lo si veda con gli occhi degli uomini o da quello di una giustizia superiore. Tornando al racconto, la lotta infuria in campo aperto tra l’esercito di Duncan e i ribelli appoggiati dal re di Norvegia. I messaggeri che si susseguono nella tenda del re di Scozia e riferiscono di come Macbeth abbia da solo, con la forza della propria spada, volto a proprio favore l’esito della battaglia. Finalmente vittoriosi i due generali, Macbeth e Banquo, si incamminano sulla via del ritorno ed è proprio qui, nella landa, che incontrano delle strane creature che ad entrambi predicono il futuro: ”str.1 – salve Macbeth!salute a te signore di Glamis! Str 2 – salve Macbeth! Salute a te signore di Cawdor! Str 3 – salve, Macbeth, che un giorno sarai re!” la profezia è stata annunciata e a Banquo il quale insiste per conoscere anch’esso il proprio destino le creature rispondono: “str 1 – salve! Str 2 – salve! Str 3 – salve! Str 1 – inferiore a Macbeth, e più grande di lui. Str 2 – non così felice ma pur molto più felice. Str 3 – tu genererai dei re, senza esser tale tu stesso: così, salute, Macbeth e Banquo”. Questo passo pone a confronto ciò che i due uomini rappresentano: l’onestà e la disonestà; la fedeltà e il tradimento; la morale con l’immorale. La grandiosità del pensiero shakespeariano sta proprio nell’andare al nocciolo della natura umana rendendo i personaggi attuali. Cosa deve guidare gli atti degli uomini, la voluttà, la bramosia o la regola morale? Cosa deve contare di più: l’arrivare, l’avere o l’essere? Sarebbe giusto che l’avere fosse il frutto del dare; il ricevere quello dello spendere; la giustizia stesse a guida dell’agire. Ma così non è, e non lo era neanche ai tempi di Shakespeare e il giudizio che il genio del teatro esprime prende forma nelle pagine a seguire. Prima di tutto traccia la via interiore che l’uomo intraprende quando si prefigge di conquistare il potere a qualunque costo anche utilizzando il male. Questa sorta di preparazione interiore al male viene rappresentata dal pensiero di Lady Macbeth la quale deve trovare la forza per indurre il proprio sposo a commettere il regicidio “venite o voi spiriti che vegliate sui pensieri di morte, in quest’istante medesimo snaturate in me il sesso e colmatemi tutta, da capo a piedi, della più atroce crudeltà. Spessite il mio sangue, occludete ogni accesso e ogni via alla pietà, affinchè nessuna contrita visita dei sentimenti naturali scuota il mio feroce disegno o stabilisca una tregua fra lui e l’esecuzione. Venite alle mie poppe di donna, e prendetevi il mio latte in cambio del vostro fiele, o voi ministri dell’assassinio, dovunque ( nelle vostre invisibili forme) siate pronti a servire il male degli uomini. Vieni o densa notte, e ammàntati del più denso fumo d’inferno, affinchè il mio affilato pugnale non veda la ferita che fa, e il cielo non possa affacciarsi di sotto la coltre delle tenebre, per gridare: “ferma, ferma!”…Quanta verità in queste parole! Come appare scontato l’agire delle persone che hanno scelto la malvagità per ottenere la grandezza senza scorgere dall’alto del pensiero che essa non esiste se non dentro la mente degli uomini mentre il male compiuto prende forma e sostanza nella sofferenza che provoca agli stessi. Il passo che abbiamo letto si può interpretare come una vera e propria conversione al male. Coloro che hanno fatto una tale scelta sono purtroppo tanti e tante volte hanno coinvolto nella loro personale rovina interi popoli. La dicotomia tra bene e male è ancora più evidente nel dialogo tra Macbeth, ormai assassino, e Banquo “ Macb – se voi vorrete aderire alla mia intesa, quando sarà il momento, ve ne verrà molto onore. Ban – purchè io non ne perda affatto cercando di accrescerlo, ma possa mantenere sempre libera la mia coscienza e pura la mia lealtà, acconsento ad esser consigliato”. Parole che hanno attirato su Banquo e chissà, forse su Gianfranco, le ire e la vendetta del tiranno. Il giudizio sull’agire del personaggio di Macbeth e su ciò che esso rappresenta nella società continua con altri bellissimi versi di pura poesia “la negra notte soffoca la pellegrina lucerna del mondo. È predominazione della notte, o la vergogna del giorno a far sì che le tenebre chiudano nella loro tomba la faccia della terra, mentre la viva luce dovrebbe baciarla?” e conclude lapidare “ …o scialacquatrice ambizione, che voracemente consumi i mezzi della tua stessa esistenza”. Così Macbeth è re. Questa finta vittoria che ha a base la corruzione morale viene stigmatizzata ancora una volta dalle parole di Banquo: “ci sei arrivato: sei re, Cawdor, Glamis, tutto come le fatali donne ti avevano promesso; e io temo che, per questo, tu abbia agito assai turpemente; tuttavia fu detto che il regno non sarebbe nei tuoi discendenti…” Ogni dittatore vede il futuro come la propria scia ma la fine e già segnata per ogni cosa da lui compiuta: chi edifica la propria opera sull’errore scrive il proprio nome sulla sabbia. Come fa notare il nostro autore persino quelle che potrebbero essere delle virtù se contaminate dalla corruzione dell’anima rappresenteranno il veleno che condurrà il dittatore alla rovina. “ Ecate (malefica figura che comanda alle streghe) – ad un corno della luna sta sospesa una goccia vaporosa di nascosta virtù; io la raccoglierò prima che cada a terra, e da quella goccia, distillata con magiche arti, si sprigioneranno degli spiriti così pieni di artifici, che con la forza della loro illusione lo trascineranno alla sua rovina. Egli disprezzerà il destino, schernirà la morte, ed innalzerà le sue speranze al di sopra di ogni saggezza, d’ogni pietà e d’ogni paura: e voi tutti sapete che la sicurezza è il capitale nemico dei mortali”. Quindi l’intraprendenza diviene corruzione e intrigo, la ricchezza diviene mezzo per ottenere potere e il potere mezzo per ottenere impunità e la certezza dell’impunità diviene la fonte dell’errore e del male: spregio per le leggi; odio per chi la pensa in modo diverso; avversione per tutto ciò che per gli altri è legge o regola morale. In un altro passo il figlio di Duncan, Malcom, tratteggia la figura del tiranno definendolo sanguinario, lussurioso, avido, falso, ingannatore, impulsivo, malvagio, tinto d’ogni vizio che ha un nome. Ne conosco altri che potrebbero senza sforzi riconoscersi in una tale descrizione e sempre il giovane Malcom aggiunge, che le virtù che si addicono a un re sono giustizia, sincerità, temperanza, fermezza, generosità, perseveranza, clemenza, affabilità, devozione, pazienza, coraggio (anche di sottoporsi a giudizio diremo noi), fortezza poi, chiede al nobile Macduff se una persona che ha quei vizi o cattive qualità sia fatto per governare e Macduff risponde – “fatto per governare? No! E neanche per vivere! O mia sventurata nazione…” Intanto Macbeth continua a macchiarsi di crimini nella sua folle convinzione di essere invincibile ma coloro che lo circondano cominciano ad abbandonarlo e i suoi nemici si preparano alla vendetta. Sempre Malcon dice: “ questo tiranno il cui solo nome ci fa sgallare la lingua, una volta fu creduto onesto;voi gli avete voluto molto bene…” Ma la storia ci insegna che la via del male è segnata e che coloro che la intraprendono sono condannati da principio così Macbeth è sempre più solo ma non se ne cura a causa di un’altra profezia che riportiamo integralmente: “una caverna… entra Macbeth: Macb ebbene, misteriose e tenebrose streghe della mezzanotte, che cosa fate? Tutte – un’opera senza nome! Macb – io vi scongiuro, per quello che professate, qualunque sia il mezzo onde possiate venire a saperla, datemi una risposta… 1 str – parla 2 str – domanda 3 str – risponderemo 1 str – dimmi se tu preferiresti sentirlo dalla nostra bocca, o da coloro che hanno impero su di noi? Macb – chiamali, lascia che io li veda…seconda apparizione – sii sanguinario, ardito e risoluto, irridi il potere dell’uomo poiché nessun nato di donna potrà far del male a Macbeth …terza apparizione – tempra abbi di leon, sii fiero, e non darti pensiero di chi s’ adira, s’agita o cospira: Macbeth è invitto , finchè la foresta grande di Birnam contro a lui la cresta salga di Dunsinane (sparisce)”. E a questo punto ci avviciniamo all’epilogo della storia di ogni dittatore, quando la fine si avvicina l’unico a non riuscire a vederla è il tiranno. Ma l’opera di cui stiamo trattando è anche poesia sublime e profonda, non dobbiamo dimenticarlo, e allora eccone un assaggio quando Macbeth apprende della morte della moglie regina – “spengiti, spengiti, breve candela! la vita non è che un’ombra che cammina; un povero commediante che si pavoneggia e si agita, sulla scena del mondo, per la sua ora, e poi non se ne parla più; una favola raccontata da un idiota, piena di rumore e di furore, che non significa nulla”. Poi, entra un messaggero: “ mess. Mio grazioso signore, io dovrei riferirvi ciò che affermo di avere visto ma non so come fare. Macb – via parlate messere. Mess – mentre stavo di guardia sul colle, ho volto lo sguardo verso Birnam, e ad un tratto, mi è parso che il bosco cominciasse a camminare…”. Oggi assistiamo ad una storia simile e si spera che anche la fine possa assomigliare a quella scritta da William Shekespeare: “in quanto a ciò che resta ancora da fare, e che vuol essere sistemato con la nuova era, come: richiamare in patria gli amici nostri, che si sono rifugiati all’estero per fuggire i lacci di una vile tirannide…tutto ciò e quant’altro di urgente invochi l’opera nostra , noi, col favore della grazia divina, lo faremo, in modo adeguato, a tempo e luogo…”
Antonio Salerno
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