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Il ruolo della Chiesa della Santissima Trinità per Potenza |
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28/12/2023 | Negli ultimi tempi si è tornato nuovamente a parlare della Chiesa della Trinità a Potenza, tristemente nota come la “tomba” della povera Elisa Claps per diciassette lunghissimi anni. Dalla fine di agosto in città ha avuto inizio un acceso dibattito tra chi si mostrava favorevole e chi contrario alla riapertura al culto dell’edificio; molte sono state le manifestazioni, soprattutto di coloro che chiedevano (e chiedono) piena verità sulla vicenda. Ma, al di là di questo, un altro punto merita di essere sottolineato e approfondito: che cosa rappresenta (e cosa ha rappresentato) la Chiesa della Santissima Trinità per la Città di Potenza?
Buona parte degli avvenimenti più importanti della città si svolgono intorno alla Trinità. A partire dai primi anni del Novecento, e precisamente nel 1918, quando mons. Vincenzo D’Elia fonda su incarico di don Luigi Sturzo, suo amico, il Partito Popolare Italiano. E il verbale della prima riunione viene redatto proprio nella sala della Chiesa della Santissima Trinità, parrocchia che reggerà per cinquant’anni. Molti furono i giovani formati da mons. D’Elia, a partire da colui che più di altri porterà in alto il nome della Trinità di Potenza e che da ragazzino fu suo chierichetto, Emilio Colombo. Dopo la morte di Vincenzo D’Elia, avvenuta nel 1962, un altro sacerdote dal forte temperamento prenderà la guida della parrocchia: don Domenico Sabia, meglio conosciuto come “don Mimì”. Il sacerdote guiderà la parrocchia del centro storico di Potenza per ben quarantacinque anni, fino alla sua morte avvenuta nel 2008.Un aspetto, a questo punto merita di essere sottolineato: la parrocchia della Trinità in un secolo ha avuto soltanto due parroci: don Vincenzo D’Elia prima e don Mimì Sabia poi. Nel corso di tutto il Novecento (o per buona parte di esso) questa parrocchia ha conosciuto soltanto due pastori. E non stiamo parlando di una parrocchia qualunque, ma della parrocchia simbolo del potere cittadino, frequentata dall’aristocrazia locale, dai notabili del posto. Va da se che in un posto del genere chiunque vi risieda per tanto tempo crea una sorta di “cerchio magico”, una piccola cittadella fortificata. Ripetiamo, non si trattava di una parrocchia qualunque, ma della parrocchia dalla quale uscivano le future classi dirigenti locali, frequentata dall’élite del tempo, una parrocchia che aveva un suo “potere”, aveva un suo prestigio in città, e non solo! E in questa parrocchia per cento anni abbiamo avuto soltanto due parroci! Si succedevano i vescovi all’episcopio, ma non i parroci alla Trinità!
Abbiamo detto due parroci nel corso di quasi un secolo; ma se andiamo a vedere più a fondo notiamo che questi due parroci erano in realtà zio e nipote, più precisamente don Mimì era nipote di don Vincenzo D’Elia. Appare chiaro, quindi, come questa “cittadella fortificata” avesse un suo prestigio in quanto don Vincenzo negli anni del seminario a Roma avrà modo di studiare insieme a coloro che diventeranno esponenti delle alte gerarchie ecclesiastiche, fra cui va ricordato Eugenio Pacelli futuro Papa Pio XII. Inoltre un altro nipote di don Vincenzo D’Elia, don Giuseppe De Luca, a Roma assumerà alti incarichi presso le gerarchie ecclesiastiche: aveva una strettissima amicizia con il Patriarca di Venezia Angelo Roncalli, futuro Papa Giovanni XXIII e fu insignito dell’onorificenza di Prelato d’onore di Sua Santità Pio XII (proprio il compagno di studi dello zio!) oltre a stringere importanti amicizie anche con esponenti politici di diversa estrazione.
In questo stato di cose la Chiesa della Trinità rappresentava una istituzione quasi secolare, da tramandare. Allora non è più un caso che buona parte della futura classe dirigente cittadina si sia formata presso la sagrestia della Trinità, a cominciare dal già menzionato ex Presidente del Consiglio Emilio Colombo. Per la città, stante così le cose, il parroco della Trinità contava più del Vescovo. E probabilmente era proprio così. A conferma di quando andiamo affermando, citiamo le parole di Agostino Superbo che nel 2011 da Vescovo di Potenza afferma ai pm che indagano sul caso Claps che don Mimì era “una persona tendente alla solitudine, tant’è che quotidianamente pranzava da solo al ristorante”, ma talmente forte che “la sua chiesa sfuggiva in qualche modo al mio controllo. Don Mimì non mi ha mai parlato della vicenda Claps se non quando mi chiese di parlare con il prefetto per far rimuovere i sigilli dei locali sotterranei della chiesa apposti per accertamenti dall’autorità giudiziaria. In quella circostanza mi disse: che devono cercare, qui non c’è nessuno”. Ancora, sempre nel 2011 la legale della famiglia Claps ricordò che entrambi i vescovi che si avvicendarono nei diciassette anni trascorsi fra la morte e il ritrovamento di Elisa, “hanno ammesso nel loro esame testimoniale che la Chiesa della SS. Trinità era sfuggita al loro controllo per la resistenza del parroco don Mimì Sabia che non ammetteva ingerenze, entrambi i vescovi non hanno utilizzato gli strumenti che avevano per esercitare il loro potere di controllo, come l’avvicendamento del parroco”.
Ora ci chiediamo, come è possibile ciò? Possibile che un sacerdote, anche se arciprete della Chiesa più importante della città, riesca ad eludere il controllo del proprio Vescovo? Possibile che le varie gerarchie ecclesiastiche non riescano a far rispettare il voto di obbedienza che ogni sacerdote compie al momento della sua ordinazione? Domande scabrose che non risparmiano nessuna delle parti in causa, e cioè vescovo e parroco. A meno che non ci sia sotto qualcosa che ancora non conosciamo.
Nicola Alfano
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