Nel tempo di Avvento e di Natale il Vangelo ci presenta due cittadine in cui Giuseppe e Maria sono coinvolti nella venuta di Gesù Cristo, il Figlio di Dio. E’ significativo: né Roma imperiale, l’immensa città caput mundi, né tantomeno altre metropoli del mondo allora conosciuto e neppure
Gerusalemme, la città santa. Dio parte sempre dagli umili e dai luoghi umili. Nazaret, che significa presumibilmente “germoglio, fiore”: un villaggio sconosciuto al testo dell’Antico Testamento, ma che risalta subito nel Nuovo Testamento per la presenza di una vergine di nome Maria, nome frequente presso il popolo ebraico per ricordare la sorella di Mosè.
Maria è promessa sposa ad un uomo chiamato Giuseppe, della casa di Davide. Comprendiamo subito che Cristo è il Re Messia, prefigurato da Davide e discendente di Davide in una famiglia davidica, seppure solo generato dalla Vergine. Sono elementi importanti: nel diritto matrimoniale israelitico non vi era fidanzamento, come lo intendiamo noi. Vi era invece il matrimonio a due tappe: la promessa che era già vincolo ufficiale e non solubile, nel cui tempo però la sposa manteneva lo stato di verginità e non coabitava con lo sposo promesso. Poi vi era la celebrazione delle nozze e iniziava la vita coniugale e familiare con la nascita dei figli.
In questo contesto, Maria viene visitata dall’arcangelo Gabriele che la saluta con parole precise: i Vangeli non hanno bisogno di romanzare e favoleggiare, sono essenziali e asciutti, poiché hanno la chiave di lettura dei fatti che descrivono nell’Antico o Primo Testamento. “Rallegrati”, in ebraico shalòm, pace e gioia a te, tradotto in greco chàire. Era il saluto profetico alla città di Sion, Gerusalemme, e al popolo eletto per la salvezza portata da Dio per mezzo del suo Messia, l’Unto, il Consacrato, in greco Christòs. “Piena di grazia, il Signore e con te”, nel testo greco di S. Luca kecharitomène, colmata della grazia divina, chàris ossia splendore e luce, ricolmata della stessa presenza di Dio in modo sovrabbondante, per cui il Signore è, può essere, con lei, in comunione con lei da sempre e per sempre.
Era una creatura immune da peccato, non solo per santità di vita, ma anche per intervento di Dio all’albore della sua vita, al concepimento coniugale dei suoi genitori Gioacchino e Anna, nomi di antichissima tradizione. Immacolata, senza peccato originale in previsione del merito redentivo del Sangue di suo Figlio sulla croce, lei la prima salvata, noi con il battesimo i salvati dopo aver contratto il peccato primordiale di Adamo ed Eva.
Maria rimase turbata, e si domandava che senso avesse un tale saluto: è il timore e la gioia di fronte al mistero onnipotente e affascinante di Dio. Era stata chiamata e definita “piena di grazia”, abitata da Dio, perché lei si sentiva la più piccola e la più insignificante: “il Signore ha guardato alla bassezza della sua schiava”, dirà salutando sua cugina Elisabetta nel cantico del Magnificat. L’angelo le ripete che ha trovato grazia presso Dio, concepirà e partorirà un figlio che chiamerà Gesù, però secondo l’uso ebraico il padre lo avrebbe pronunciato otto giorni dalla nascita, al rito della circoncisione, dichiarandone la legittima paternità, come farà Giuseppe, accettando la sua vocazione, come sposo virgineo di Maria e custode del Bambino, nelle vicende di viaggi e persecuzioni, esilio in terra straniera, pericolo per tiranni senza scrupoli, lavoro duro per la famiglia, silenzio e obbedienza di fede, esempio paterno per il ragazzo e il giovane Gesù Emanuele, come ampiamente descrive il vangelo di Matteo, ricordando la profezia di Isaia che la Vergine concepirà e partorirà un figlio che sarà chiamato Emanuele, ossia Dio con noi.
L’angelo rivela a Maria che il nascituro sarà grande, santo e Figlio dell’altissimo Dio, sottinteso se lei dirà di sì al concepimento: il Signore Dio gli darà il trono davidico paterno, per la casa di Israele e il regno eterno. La vergine Maria, pone una domanda legittima a una decisione: “Come avverrà questo? Non conosco uomo”. Una domanda e un’affermazione dense di mistero.
Infatti Gabriele deve alla purezza e umiltà di Maria la spiegazione: é la potenza dello Spirito Santo, come all’inizio Dio creò dal nulla, senza concorso di alcuno. La discesa dello Spirito, come quando nasce la Chiesa a Pentecoste, l’ombra di Dio, che è luce. L’angelo offre un segno oggettivo: la gravidanza della cugina Elisabetta anziana e sterile con il marito Zaccaria anziano. Lì una sterile e malata concepisce un figlio con il marito, qui a Nazareth una vergine, orientata tutta a Dio, concepisce il Figlio di Dio che si incarna senza concorso d’uomo. Nulla è impossibile a Dio, con gli umili, gli anawìm, coloro che tutto confidano e affidano in Dio. A Maria basta e dice di sì, la serva del Signore accetta: “Accada secondo la tua parola”. In quel momento concepisce: è il primo istante del nuovo Adamo dalla nuova Eva, la nuova donna che redime l’antica e genera l’Uomo nuovo, il Figlio eterno che si incarna per diventare come noi, eccetto il peccato, e salvare dall’antica colpa che ha generato peccati, sofferenza e morte.
Betlemme: per il censimento ordinato da Augusto, Maria, prossima al parto, segue lo sposo Giuseppe in un viaggio lungo e faticoso, dalla Galilea alla Giudea per registrare la propria famiglia e li si compie il tempo. Gesù nasce a Betlemme secondo le profezie, specie del profeta Michea, che è patria di Davide, re amatissimo da Dio e dal popolo, prefigurazione del vero Re Messia, di cui Giuseppe e Maria sono discendenti. Si rifugiano in un katàlyma, una stanza di povera casa di umili, accanto a dimore per uomini e animali domestici: si opina un alloggio popolare o della famiglia di Giuseppe. Arrivano altri umili, i pastori disprezzati ed emarginati, hanno avuto visioni di angeli nunzianti, sono stati evangelizzati, avvolti dalla gloria del Signore, come prima la Gloria avvolgeva il Tempio e l’Arca, adesso i poveri e gli ultimi: una grande gioia per tutti, nella città di Davide, re figura del Messia, è nato il Re definitivo, il Salvatore, il Cristo Signore. Il Bambino di Maria, che troveranno in una mangiatoia. E subito l’esercito celeste canta e acclama: “Gloria in excelsis Deo et in terra pax hominibus bonae voluntatis”.
Maria custodiva tutte queste cose meditandole nel suo cuore. La spiritualità di Maria è così: ascolta, custodisce e medita. Lo farà per lunghi trenta anni, con il suo sposo Giuseppe, guardando, crescendo, ascoltando, pregando, con quel bambino, ragazzo, adolescente, giovane, adulto: Gesù.
Cari amici, che magnificenza!!! Se il Natale non è con Maria e Giuseppe, di Nazaret e di Betlemme, che hanno gli occhi e la vita sempre su Gesù, il centro del loro cuore, non è Natale: è un’altra cosa che fra di noi cristiani non ha alcun significato e nessuna importanza. La nostra festa è Lui: il Figlio di Dio, Gesù di Nazaret.
Di cuore, a tutti BUON NATALE 2021
Sac. Carmine Francesco De Franco |