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Einaudi a Latronico (e tutto il mondo che si è mosso) |
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7/08/2021 | Quali sono i nostri bisogni? Quelli veri, intendo. Bere? Mangiare? Stare all’asciutto, con la testa su un comodo cuscino? No.
Guardare il cielo in un fresco pomeriggio di mezza estate. Sull’erba morbida di Latronico, per esempio, dopo mesi di tempesta non ancora finita. Ascoltare Ludovico Einaudi ad occhi chiusi. E poi aprirli. Osservare le nuvole danzanti, vestite del sole al tramonto luminescente e purpureo, mentre il crinale della montagna si incensa di luce potente ma non più accecante e gli alberi si adombrano di notte. Il rumore scrosciante e scostante dell’acqua limpida a pochi passi fa da sottofondo.
Dopo la prima standing ovation il cielo comincia a illuminarsi di stelle. Ma lentamente. Venere luccica in una danza ritmata che segue le note della tastiera. Pare incastonata nell’insenatura momentanea di monti e piante e cime di abeti. Mentre tutte intorno le luci artificiali dei paesi e delle contrade vicine diventano costellazioni appese alle montagne. Questo è stato il mio punto di vista.
Quanti tramonti ci sono in una vita? E quante albe?
Tante. E tante quante ne sai godere. Tutte uguali e tutte diverse. Tutte quelle che riusciamo a conservare nella memoria. Luminosa ma non luminescente. Labile ma non tascabile.
Tornare a casa. E aver dimenticato di fare un selfie. E’ la cartolina con su scritto ‘’io c’ero’’.
(nemmeno le foto sono mie. Grazie a Demia Gioia).
Mariapaola Vergallito |
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