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'Dialoghi su amore e genitorialità'. Intervista allo scrittore Franco Brevini che sarà a Nova Siri

6/08/2021

Franco Brevini è uno storico della letteratura, critico letterario e saggista italiano che ho avuto il piacere di conoscere personalmente. Docente di Letteratura italiana all’Università di Bergamo, è editorialista del «Corriere della Sera» ed ha pubblicato una trentina di volumi, fra cui Poeti dialettali del Novecento e Le parole perdute (Einaudi); La poesia in dialetto. Storia e testi dalle origini al Novecento, 3 voll., (Mondadori); La letteratura degli italiani (Feltrinelli. In uscita da Raffaello Cortina Abbiamo ancora bisogno degli intellettuali? La crisi dell’autorità culturale.

Il prossimo 12 agosto alle ore 21 a Novasiri nell'Anfiteatro Totò, Franco Brevini dialogherà con Pino Suriano, docente di letteratura italiana, sul rapporto tra amore e genitorialità.

Nell'intervista che segue vi offriamo un'arricchente esposizione del suo pensiero.


Una seconda possibilità (Quadra, Brescia) è il titolo del suo ultimo libro. Quali gli argomenti che affronta in questa fatica letteraria, la trentottesima, se non vado errata?

È un libro molto personale, qualcuno lo ha definito autofiction e romanzo autobiografico, che ho pubblicati in occasione dei miei settant’anni. Racconta una storia molto comune: dopo la fine di un precedente rapporto, la difficoltà di voltare pagina e di ripartire. Il libro si intitola infatti Una seconda possibilità. Io l’ho avuta questa seconda possibilità quando ho

incontrato Tiziana, molto più giovane di me, che sarebbe diventata mia moglie. Ho capito subito che era la donna che avevo atteso tutta la vita, senza mai incontrarla. Con lei è nata una famiglia e abbiamo fatto dei figli. Nel libro c’è la nostra storia.


La paternità è uno degli argomenti trattati nel libro, recentemente toccato anche da altri scrittori come Roberto Saviano e Massimo Gramellini. Cosa significa per lei essere padre e come sono cambiati nel tempo gli equilibri tra padre e madre?

Sta succedendo qualcosa di importante nelle architetture familiari. È saltato un equilibrio durato secoli e un altro se ne sta sostituendo, ma non sempre le persone ne hanno piena consapevolezza. Il vecchio edifico familiare prevedeva la moglie a casa con i figli, angelo del focolare. Il marito andava fuori ed era l’unico che portava dei soldi. Tutto è cambiato quando sono accadute due cose: primo, i soldi del marito non sono più bastati e anche la donna ha dovuto andare a lavorare fuori casa; secondo, a lavorare alle donne è piaciuto e lo hanno rivendicato come un diritto. Ma, così facendo, il sistema ha dovuto riorganizzarsi. La parità economica scavava, per fortuna, sotto le fondamenta di troppi ricatti degli uomini alle donne e l’assenza di entrambi durante la giornata imponeva una ridistribuzione dei compiti. La mamma si ritrovava a essere un po’ più papà e il papà un po’ più mamma. A entrambi è stato chiesto di reinventarsi, di rimodulare i loro ruoli, di rifondare i rapporti tra di loro e con i figli, ma tutto ciò non è avvenuto senza conflitti e tensioni, che sono stati più aspri nelle aree più periferiche e più conservative.
Nel mio libro io parlo molto della paternità, che ho vissuto certamente in modo diverso da quello tenuto da mio padre e da mio nonno. Mi sono ritrovato più vicino, più a ridosso di quanto stava accadendo a mia moglie. Direi con una formula che quel ruolo, che in passato era prevalentemente culturale, ho potuto sentirlo anch’io maschio un po’ più naturale. La pancia l’aveva Tiziana, ma a essere gravida era la coppia. E questo modello si è applicato anche dopo, benché debba riconoscere che l’impegno di mia moglie con tre bambini piccoli copntinua a sembrarmi straordinario.


Frequentatore e amante della Basilicata. Cosa l'affascina di questa regione e come attuare secondo lei, il processo di cambiamento culturale di cui la Lucania ha fortemente bisogno?

Ogni tanto mi chiedo perché, milanese come sono, bergamasco per parte di madre, appassionato delle Alpi e dell’Artico, la vita mi abbia un po’ inspiegabilmente sospinto verso il Sud: concepito a Napoli secondo il ricordo dei miei genitori, militare in Sardegna, concorsi universitari e cinque anni di insegnamento all’università della Calabria. Per questo mi ha fatto particolarmente piacere che l’anno scorso Tursi mi abbia attribuito la cittadinanza onoraria per vent’anni di studi sulla poesia in dialetto.
Mi sono anche interrogato su quale sia il Sud che amo e ho capito che sta tutto oltre Eboli. Non è quello di Capri né di Posillipo, e neppure quello arcadico e neogreco dei lirici greci di Salvatore Quasimodo. Invece dell’eterna primavera mediterranea e classicheggiante che piaceva ai viaggiatori d’oltralpe, il mio è un Meridione geologico, montuoso, crollante, appollaiato sulla cima di qualche calanco dell’Appennino. Come Tursi, il paese del grande poeta Albino Pierro.
Tursi, Aliano, Valsinni. C’è una Basilicata letteraria, che da Isabella Morra, poetessa del Cinquecento tragicamente assassinata, va a Carlo Levi esule in età fascista, fino appunto a Pierro, e che è strettamente intrecciata a questo grandioso paesaggio rupestre, così lontano dalle grandi spiagge joniche.
Quest’anno, vivendo a Nova Siri per quasi tre mesi, ho potuto rendermi conto di tanti problemi di questa magnifica terra. Ci sarebbero tante cose da cambiare, ma il timore è che la modernizzazione non significhi il miglioramento dei servizi e la crescita di una società civile, ma la cementificazione e lo sfruttamento selvaggio delle risorse naturali, aggravando inoltre la polarizzazione tra la costa jonica e i paesi dell’entroterra.


Quale le pare la pecca più grave in Basilicata?

Non possiedo gli strumenti del sociologo o del politologo e posso citare solo la mia esperienza, che è inevitabilmente frammentaria. Il pollice in giù lo riserverei al Comune di Scanzano, dove spesso vado al mare. Se la stessa sollecitudine con cui si danno le multe la si ponesse nello smaltire la spazzatura dai parcheggi in cui i vigili si accaniscono, forse l’immagine offerta al cittadino e al turista sarebbe migliore. Sentirsi polli spennati è spiacevole, ma esserlo in mezzo ai rifiuti è intollerabile.
Ma, sempre sulla base della mia esperienza, al primo posto nel libro nero elencherei senz’altro la sanità. Mia moglie ha avuto un problema e abbiamo sperimentato una sensazione che non avevamo mai provato al Nord: sentirci abbandonati. La solidarietà della gente che ci stava intorno è stata straordinaria, come solo al Sud può essere. Ma le strutture hanno fallito. Questo è un posto magnifico, ma dove bisogna augurarsi di godere di buona salute. Poi abbiamo incontrato un’isola di eccellenza, l’ospedale di Matera e, al suo interno, il reparto di Ostetricia e ginecologia diretto dal dottor Giuseppe Trojano. Voglio citare nome e cognome perché lui e la sua equipe dimostrano come anche nella malasanità l’impegno di persone intelligenti e competenti possa fare la differenza.

Roberta La Guardia



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