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''L'anima del mondo'': un'interminabile e sconcertante (ri)lettura |
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7/05/2021 | ‘’L’anima del mondo’’, la prima raccolta di poesie di Enza Berardone, edito da Centro Promozione Culturale, continua a produrre stimoli e riflessioni. Ecco la nota che il professor Francesco Bulfaro ha inviato all’autrice.
S'è vero che, come pure è stato scritto, la lettura discopre un orizzonte infinito: fatti, idee, sentimenti di età passate si inseguono in un fantasmagorico e affascinate scenario, un testo poetico segnato dalla genialità dell'autrice, non può essere del tutto compreso perché i livelli dell'ispirazione sono così elevati, da risultare quasi irraggiungibili. É quello che accade quando si leggono i frammenti di un'opera poetica come quella di Enza Berardone, opera, questa, che si connota, fra l'altro, di reiterati tentativi di ricerca di chiarezza. Però quando pare prossima ad essere afferrata, ecco che essa si allontana. Ed è, forse, a questo reiterato e vano tentativo di afferrare e impadronirsi di un motivo ispiratore che un commentatore sensibile ed autorevole come il professore D'Episcopo giudica l'autrice “scombinata”. Ma c'è il sospetto maligno che egli non si sia impegnato abbastanza per cogliere un elemento essenziale e caratterizzante della poetica Berardoniana, poetica di cui questo “difetto” è come una spia. In altri termini la scombinatezza risiede, forse, nel rifiuto dell'autrice di uniformarsi a stilemi di altrui caratterizzazioni. É, dunque proprio questo carattere sfuggevole che fa da stimolo alla ricerca di una poetica quantomai pregevole, ma difficile da rintracciarsi. La lettura dei suoi frammenti spinge il lettore a cercare un centro di gravità della sua poetica, ma riesce impossibile trovarlo, per il semplice fatto che non esiste, e un carattere costante è invece costituito dalla pregnanza nei suoi numerosi riferimenti, la cui sfuggevolezza induce il lettore quasi a chiedere all'autrice il motivo poetico dominante, senza però una ragionevole speranza di sentirselo indicare, poiché è di un'evidenza palmare la lontananza di essa. Né può aiutarci a rintracciare la poetica, il colloquio con l'autrice, poiché essa stessa non riuscirebbe, credo, a venirne a capo.
Un grazie di cuore, frattanto, è da rivolgersi all'illustre professore D'Episcopo che con un termine “spregiudicato e geniale” ci apre la strada ad una ricerca difficile ma estremamente interessante e prestigiosa. Ci anima così la speranza di riuscire a strappare il velo di un segreto che è tuttora poco conosciuto, ma di alto valore poetico.
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