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‘Il pioppo del Sempione’ di Giuseppe Lupo

12/03/2021

Ho appena finito di leggere "Il pioppo del Sempione" di Giuseppe Lupo, edito da Aboca, il suo ultimo lavoro da poco nelle librerie.
Vi confesso che, stavolta, ho impiegato più del solito, convinto com'ero che sarei entrato nel racconto come un coltello arroventato entra nel burro, vivendo in simbiosi letteraria con l'autore di Atella da molti anni, dal suo primo "L'americano di Cellenne" del 2000, con cui ha vinto il Premio Giuseppe Berto e il Premio Mondello. Scusate se è poco, per uno scrittore al suo debutto. E' come se un calciatore dell'Inter, appena arrivato ad Appiano Gentile, avesse fatto 5 gol al suo esordio a San Siro.Nemmeno il tempo di allacciarsi le scarpette e già viene osannato dai novantamila degli spalti. Un fenomeno. E Giuseppe, emerito professore di Letteratura Italiana Contemporanea alla Cattolica di Milano e Bergamo, è un fenomeno, avendo inanellato ben altri cinque romanzi, con i quali ha fatto incetta di premi, tra cui la prestigiosa selezione per il Premio Campiello , con "L'ultima sposa di Palmira", Premio Viareggio, con "Gli anni del nostro incanto" e la selezione nella dozzina del Premio Strega, con "Breve storia del mio silenzio", tutti editi da Marsilio, l'editore della sua vita. Il fenomeno lucano, mi piace chiamarlo così, autore di tanti saggi, collabora con l'Avvenire, Il Sole 24 Ore e altre riviste specializzate. Lo stacanovista della macchina da scrivere, virtù ereditata dal padre maestro, ha voluto dimostrare come sia stata azzeccata, perchè fortemente voluta la sua destinazione - Milano, per diventare scrittore, riuscendoci a pieni voti.

Ne ha fatti di sacrifici. Basta leggere "Breve storia del mio silenzio" , per capire quanto siano state forti la sua passione, la tenacia e la gioia (tutte virtù che gli vengono dalla sua origine lucane), che lo hanno posto su un alto piedistallo del mondo letterario, a giudicare dall'accoglienza che suscita ad ogni suo componimento.
Io, figlio della sua stessa meravigliosa terra, mi sono "ubriacato" nel leggere le sue opere per il semplice motivo che i nostri sentimenti, le situazioni ambientali dei suoi romanzi sono quasi identiche , se dalla prima pagina, mi sono sempre identifico spontaneamente con i protagonisti dei suoi romanzi. E' una simbiosi che può capire solo chi si trova nelle stesse situazioni, tra cui , non ultima, la stessa passione per il Biscione Nerazzurro dell'Inter. Mi domando, tante volte, se non siamo ,in un certo senso , fratelli. Ne sarei stato super felice.
Vi dicevo che ho dovuto cambiare registro e metronomo per leggere questo suo romanzo, perché non è il solito, ma solo apparentemente perché, come succede alla Scala, Giuseppe ha cambiato sì le scenografie e la trama, ma solo per descrivere un mondo diverso, nuovo, che fa a pugni, se si può dire, con quello passato.
E', Giuseppe, insegnante supplente in una scuola popolare o serale a Nord di Milano, lungo la via del Sempione, che ha per compagno il fiume Villoresi, lungo i quali cresce il boom economico, con forza, tanta da attirare in Lombardia folle di lavoratori, di disperati italiani, ma anche un bel numero di immigrati stranieri. Nella sua scuola serale, detta così perché era stata istituita positivamente per i lavoratori che potevano frequentarla solo di sera, vi capitano anche alcuni stranieri di diverse nazionalità, magrebini, albanesi, sudamericani, perfino un quarantenne iracheno laureato in ingegneria, con tre figli. Si chiamano Cesar e Apollinaire, padre e figlio, della Costa d'Avorio,l'albanese Amin, arrivato a Brindisi a nuoto per salvarsi dopo l'affondamento del gommone , che ne trasportava tanti, Rafkani e Mohammed, il più silenzioso del gruppo. Di colpo, Giuseppe si trova a dover dialogare con mezzo mondo arabo, quello in effervescenza per le guerre continue e dalle quali i suoi alunni sono fuggiti (non proprio come quelli di oggi), per cercare una vita migliore, che tanti, avendolo voluto tenacemente, hanno trovata. Completa la scolaresca nonno Paplush, il più anziano. Quasi tutti hanno trovato alloggio in una corte, quei palazzoni con cortile e servizi in comune, al centro del quale cresce un pioppo, che diventerà, in un certo senso il protagonista di questa storia.
Il sottoscritto , essendo maestro elementare, sa cosa sia una scuola serale o popolare con alunni contadini, pastori, artigiani di diverse età, ma della stessa frazione, dello stesso paese (Terranova di Pollino) e quindi ha avuto vita facile ad insegnare la scrittura, che era la cosa principale perché i tanti analfabeti, quasi tutti, "dovevano" imparare a mettere la firma, per poter ritirare la pensione. Questo lo scopo e ci sono riusciti tutti, se ancora oggi, a distanza di anni, mi salutano come il maestro che permette loro di ritirare la pensione, senza dover mettere l'odiosa croce , alla presenza di un testimone che, badate bene, esisteva veramente ed era un signore, Carlo, che si appostava, nei giorni di paga, sull'uscio dell'ufficio postale, pronto per l'uso, in cambio di qualche cento lire e un bicchiere di vino. Era un lavoro, anche quello, negli anni sessanta.
Come avrebbe fatto il professore Giuseppe a insegnare la nostra grammatica a gente che non capiva la nostra lingua e che si rifiutava, naturalmente, a collaborare? Giuseppe, visto che l'acca e gli accenti non risultavano tanto graditi, ha pensato bene di leggere i "Promessi sposi", in versione telenovela per stuzzicarne l'attenzione, cambiando addirittura il titolo che, alla buona, diventava la storia di due ragazzi che si volevano sposare, ma il prepotente di turno lo proibiva. Un piccolo risultato lo aveva ottenuto, se un alunno ha risposto che anche nel suo paese succedeva. Non bastava tra lo scoramento di Giuseppe, ma, quando si dice la fortuna, al primo banco sedeva silenzioso, nonno Paplush, memoria storica del Sempione e della Corte Villoresi. Sapeva tutto lui e , per fortuna, era loquace, molto loquace nel raccontare le storielle e la storia stessa della zona. il "maestro" Giuseppe, come io avevo una radio in dotazione, aveva trovato la sua televisione, con tanto di telegiornali. La scuola era salva ed era diventata il palcoscenico di Paplush, cosa che ha stimolato anche gli altri a raccontare, ognuno in relazione alla provenienza, le storie personali e quelle dei loro paesi bombardati dagli americani e dagli stessi fratelli arabi. Lacrime e sangue dal Medio Oriente. Giuseppe, contento, stimolava il dialogo, che ben presto prese il posto dell'alfabeto e della a con l'acca. Quanta umanità in quelle parole, quanto insegnamento vero, perché raccontare non mai troppo e la vera scuola era la vita stessa, come dicevano quegli alunni particolari.
Paplush è il nome dei fiori del pioppo, che a primavera si espandono nell'aria, liberamente e che lo stesso nonnino si era dato, visto le tante storie accadute in quella casa. E, guarda la combinazione, un pioppo era già nell'animo di Lupo, quello del cortile della casa di sua nonna materna, che da piccolo gli ha fatto tanta compagnia e per il quale la famiglia, mamma in testa, aveva pianto al suo taglio. Ricorda le stesse cose e, in tal modo, Giuseppe fa comparire il legame con la Lucania, una cosa più forte di tutte.
Il nonno, in pratica, aveva preso il posto del maestro e raccontava con dolore la storia della sua Rossana della "pesa", il ritrovo sulla strada lunga ,che portava alla montagna. Paplush salvò la scuola insieme ai suoi amici, compreso Benito, con un asino nel motore della sua Bianchina, con la loro umanità, che è uguale per tutti.
E' un bel romanzo, non meno affascinante dei precedenti e, una volta letto, ti trovi ancora più nella stessa mentalità di Lupo, che apprezzi ancor più di prima.
Un consiglio: se volete saperne di più e di quanto sia bello, dovete correre nella più vicina libreria. Ne vale la pena.

Giovanni Labanca



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