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La funzione sociale del teatro al tempo del Covid.Intervista a Francesca Garioni

16/12/2020

Francesca Garioni, attrice ed esperta di teatro, svolge con riconosciuto impegno e professionalità la sua attività di insegnante in Lombardia, in provincia di Brescia precisamente, nella cittadina di Roè Vociano.
Diplomata presso la scuola di recitazione Cta di Milano, Francesca Garioni ha una lunga esperienza con le persone afflitte da problemi psichiatrici.
Nell’intervista che segue, ci parla anche del suo background di donna di teatro e operatore sociale.

Che periodo stiamo vivendo?
E' inevitabile dire che stiamo vivendo un periodo molto difficile. Per quanto mi riguarda, dopo un primo momento di smarrimento totale, ho cercato di adattarmi a questa nuova modalità che, sinceramente, spero finisca presto.
Ho pubblicato qualche lettura sui social e sto continuando a fare prove online, anche se mi risulta molto difficile. I corsi di lettura interpretata che da anni tengo nella mia zona, per ora li ho sospesi. Mi è stato chiesto di riprendere utilizzando una delle varie piattaforme ma sono ancora indecisa, fatico a pensare di riuscire a fare un corso non in presenza. E' chiaro che questi strumenti tecnologici ci sono di grande aiuto ma, purtroppo, snaturano l'essenza stessa del teatro.
Anche come spettatrice, sto guardando moltissime cose online, nell'attesa di potermi sedere presto in platea. E' molto importante nel mio lavoro andare a vedere spettacoli di altri e devo dire che il guardarli su uno schermo è abbastanza frustrante. Mi manca il contatto fisico, l'energia che gli attori trasmettono, l'odore del teatro, il sudore sul volto dei protagonisti, insomma mi manca il teatro, quello vero.

La sua esperienza con i reparti psichiatrici. Ci racconta qualcosa della sua esperienza in quest’ambito?
Da tanti anni tengo anche corsi di teatro con pazienti psichiatrici. E' un'esperienza meravigliosa anche se molto faticosa. Richiede tantissima energia e concentrazione, tanto che ogni anno, a fine corso, mi dico che l'anno successivo prenderò una pausa. Poi non ce la faccio. I ragazzi mi mancano e io manco a loro. Sento una grande responsabilità nei loro confronti, perché il teatro li aiuta davvero tantissimo. Ho visto dei cambiamenti in alcuni di loro, veramente inaspettati. Che il teatro sia terapeutico è risaputo ma provarlo personalmente, è un'emozione enorme, tanto che diviene terapeutico anche per me e devo dire che imparo da loro moltissime cose a livello umano che poi mi sono utili anche per il mio lavoro di attrice. Per loro, lo stare insieme e impegnarsi in una disciplina così ferrea ma così arricchente, è un'iniezione di autostima incredibile. Ho notato che riescono a fare gruppo molto meglio di chi non ha problemi, sono sinceramente solidali gli uni con gli altri e nessuno vuole mai primeggiare. Prendono il teatro con grande impegno e serietà, sono curiosi e vogliono approfondire i testi e conoscere gli autori. Tutto questo lavoro li aiuta tantissimo a mantenere, nel limite delle loro patologie, un buon equilibrio e a passare momenti di serenità insieme. Non parliamo poi di quando salgono sul palco per fare uno spettacolo! Sono persone che se arrivano a fidarsi di te, ti danno l'anima quindi pure io cerco di dare loro il più possibile e vedere le loro facce sorridenti e i loro occhi luccicanti, mi ripaga di tutta la fatica.

Quando scopre la sua passione e quali sono state e continuano ad essere le sue difficoltà rispetto alle scelte del suo mestiere?
Avevo 17 anni quando mi sono avvicinata al teatro per la prima volta. Ai tempi vivevo in un piccolo paese sul lago di Garda, Gargnano, dove i fratelli Cesare e Daniele Lievi (Cesare è diventato poi un regista piuttosto conosciuto) avevano fondato il "Teatro dell'acqua". E' stato proprio con loro che ho mosso i miei primi passi in questo mondo, partecipando come attrice alla messa in scena dell’ "Empedocle" di Hölderlin. Da quel momento la mia passione per il teatro non mi ha più lasciata. Sempre con i fratelli Lievi, andavamo una volta alla settimana a Milano all'Accademia dei Filodrammatici, dove loro conoscevano un'insegnante che ci dava lezione di dizione. Mi sembrava di essere stata catapultata in un mondo fantastico! Nello stesso periodo, essendo i miei genitori amici dell'attrice Erica Blanc che ai tempi era sposata con Alberto Lionello, anche lui attore affermato di teatro, andavo, dietro loro invito, quando la compagnia era in tournée a Milano, normalmente al Manzoni, dietro alle quinte durante gli spettacoli, toccando con mano , col cuore, con l'olfatto, il mondo dell'attore. Dopo gli spettacoli andavo a cena con loro, io ragazzina con un sogno nel cassetto, e loro attori affermati. E’ stato proprio in quel periodo che ho deciso che il teatro avrebbe fatto parte per sempre della mia vita. Negli anni seguenti ho frequentato il CTA di Milano, dove mi sono diplomata, l’Avogaria di Venezia e diversi workshop di formazione teatrale, tra cui un residenziale di 3 settimane in Umbria con Dario Fo e Franca Rame. Credo che per chi decida di lavorare nel teatro, la formazione non finisca mai, abbiamo sempre da imparare e da migliorarci.
Mi sono sposata presto e ho avuto 2 figlie per cui, per un lasso di tempo, ho messo in stand-by la mia passione. Poi ho ricominciato, con grande sacrifico e, seppure lavorando in un ambito ristretto, non ho più smesso. Da anni ho scelto di auto produrmi, perché le difficoltà di riuscire ad avere un mercato in questo mestiere, sono tante, soprattutto se non hai un nome a livello nazionale. Lavorando da sola (spesso con musica dal vivo avendo la fortuna di avere un marito musicista) e riducendo così drasticamente i costi, sono riuscita a conquistarmi una piccola fetta di lavoro che, insieme ai laboratori che ormai da anni tengo nei vari comuni e alla lettura durante presentazioni di libri, mi permette di vivere. Lavorare praticamente da sola è un grande sacrificio perché la collaborazione con altri attori/attrici e la supervisione di un/una regista, è sicuramente molto stimolante ma in questo modo, come dicevo, sono riuscita a far diventare la mia grande passione un mestiere. Questo mi ripaga di tutti i sacrifici che ho fatto e che continuo a fare. Non appena posso, comunque, cerco di condividere con altri il mio lavoro.

Cosa si sente di consigliare ai giovani che vorrebbero intraprendere la professione dell’attore oggi?
Mi è capitato più di una volta di dover preparare giovani all’esame di ammissione delle varie accademie teatrali. Gli ho sempre detto che sono fortunati ad aver trovato una passione nel teatro perché è un mondo fantastico che ci permette di vivere più vite, di conoscere meglio noi stessi e gli altri, di darci la possibilità di condividere con tantissime persone, intendo col pubblico, idee e messaggi che ci stanno a cuore e in cui crediamo. Gli dico sempre di non lasciarsi abbattere dalle difficoltà che troveranno sicuramente sulla loro strada, che se la loro passione, ovviamente insieme all’attitudine, è vera e profonda, ce la faranno. Certo non bisogna temere i sacrifici, magari anche un doppio lavoro inizialmente, e, soprattutto, mai sentirsi arrivati, perché se ci si adagia nel momento in cui si percepisce di essere a un discreto livello, è il momento in cui il mestiere dell’attore diventa un lavoro qualsiasi; si diventa ripetitivi nel proprio modo di recitare, ci si crogiola in ciò che si sa che funziona. Questo ci fa smettere di cercare, di indagare in noi stessi, di trovare altre strade e altre sfumature e interrompe così la magia di quello che per me è il teatro. Gli dico anche che lo studio è importantissimo ma che alla tecnica bisogna aggiungere cuore e anima altrimenti saremo solo dei bravi esecutori ma non riusciremo a trasformare il tetro in arte, quale invece è.


Roberta La Guardia



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