Secondo Aristotele la donna è “un uomo mancato , per giunta priva di anima”. Ovidio, secoli fa, insegnava ai maschi giovani romani come conquistare le teste leggere delle donne. Tommaso D’ Aquino considerava la donna come qualcosa di incompleto e necessariamente subordinata all’ uomo. Addirittura San Paolo sosteneva che la donna non è altro che una brutta copia dell’ uomo. In poche parole siamo figlie di una cultura misogina , che ha deliberatamente lasciato la donna ai margini della storia , tenuto fuori dal potere , dalla ricchezza, dalla gloria. La donna è diventata diversa dall’ uomo per ragioni storiche , culturali e non naturali , ed è importante che non si vergogni del fango della storia, della servitù che l’ ha resa fragile, insicura , inconsapevole, passiva , e che metta fine allo sfruttamento istintivo, triviale dell’ uomo sulla donna , imparando a conoscere a valorizzare la sua meravigliosa diversità , i suoi sonni storici , le sue vere voglie, i suoi autoinganni. Può e deve liberarsi da sé , con la sua testa e le sue mani. Lungo il corso del Novecento, le donne, nel faticoso processo di costruzione dell’ identità femminile , hanno conquistato e ampliato diritti di libertà ed uguaglianza civili, politici e sociali. Ma quando le donne hanno preso realmente coscienza della loro inferiorità giuridica , politica , morale , fisiologica e culturale? Nel Rinascimento. È proprio qui che nasce il fondamento della coscienza moderna della donna. Tutte noi dobbiamo a Christine de Pizan , amica di Giovanna D’ Arco, prima donna professionalmente intellettuale (1405), che scrisse “ La città delle dame”, affermando che la forza morale è insita nell’ intelligenza , nel coraggio e non nella forza del corpo; Mírabai , poetessa indiana , mistica , libera , ipersensibile , Louise Labé , Isabella Morra , Gaspara Stampa, Vittoria Colonna, Isotta Nogarola, tutte , con l’ ironia o con l’ ira esprimono l’ intollerabilità della cultura misogina, consapevoli di valersi del proprio intelletto , senza guida di maestri , per uscire dalla minorità. Grazie a queste trattatiste, poetesse, mistiche, possiamo cogliere nei canzonieri , slanci laici , nuovi , lo struggimento , lo smarrimento , il tormento, la solitudine, il dolore , in poche parole la parte più vera , autentica di ogni essere umano. Il cammino delle donne verso l’ autonomia e la consapevolezza di sé è stato lento , doloroso con pause , con rapide riprese, con confuse e insincere meditazioni sull’ accaduto. Ma siamo giunte all’ agognato traguardo? Credo che se impareremo a non confondere la casa con il mondo , a pensare con la nostra testa a giudicare con il nostro cuore maturato dal tempo , a guardare con occhi franchi il mondo , i desideri, i raggiri, le mistificazioni, l’ eternità, a non scimmiottare più gli uomini , ad ascoltarci , ad accettarci come persone uniche e irripetibili , ad essere sincere con noi stesse , a stringerci fra noi per solidarietà di intenti , allora saremo libere di diventare quello che siamo.
Dedico questa mia breve poesia a tutte le donne , sperando che possano sperimentare una vera e autentica evasione fuggendo in e non fuggendo ex.
IL MIO CANTO
Il mio canto
arriva scalzo
da lontano,
porta con sé
bagagli pesanti,
vacillanti lune,
il fruscìo del vento
nei canneti,
suoni antichi
di boschi fatati,
attese di improbabili ritorni,
il profumo del cardo solitario,
il pianto nascosto degli dei.
Il mio canto porta con sé
Il viaggio che non ho
ancora compiuto.
Enza Berardone |