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La professione e la giustizia ai tempi del Coronavirus. Intervista all’avvocato Pietro Laguardia |
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15/06/2020 | Certamente anche il mondo della giustizia ha subito un importante scossone dal Covid-19. Ed ancor di più l’area dei liberi professionisti. Affrontare il nuovo panorama giudiziario, economico e sociale, oltre che vederci necessitati a familiarizzare con modalità di svolgimento dell'attività giudiziaria sino ad oggi sconosciute, ha comportato una importante riorganizzazione delle attività proprie dello studio legale e di quelle prettamente giudiziali, come le udienze e gli accessi alle cancellerie.
Su queste ed altre problematiche relative alla giustizia italiana in questo preciso momento storico, di grande utilità è l’intervista all’avvocato Pietro Laguardia, lucano d’origine ma bolognese d’adozione. Nato e cresciuto a Policoro, l’avvocato Laguardia, pur vivendo a Bologna, ha sempre mantenuto un forte legame con la sua terra, esercitando la sua professione sia in Emilia Romagna che in Basilicata.
Un’intervista esaustiva e generosa in ogni sua parte, protesa alla concreta conoscenza della giurisdizione attuale, a pieno vantaggio del cittadino. Un’attività, quella dell’avvocato Laguardia, da sempre svolta con grande dedizione e attiva partecipazione, nello spirito continuativo e costante della difesa dei diritti dei cittadini , soprattutto di quelli più deboli, lasciando così, in chiunque lo conosca, la reale, bella sensazione che una giustizia “giusta” ed equa, sia davvero possibile.
Avvocato Laguardia, come è cambiata l’attività all'interno dello studio legale, a causa dell’emergenza Covid?
A partire dagli studi legali associati a quelli di più piccole dimensioni che rappresentano il maggior numero sul territorio nazionale, si sono dovute adottare modalità organizzative tali da contemperare la necessità di contenimento del rischio contagio da un lato e quella di mantenimento dell’efficienza dell’attività professionale dall’altro. Per fare ciò è stato ed è necessario ripensare le consuete e quotidiane attività che vengono svolte all’interno dello studio legale rispetto al potenziale rischio Covid.
Così, a partire dal mio studio legale, ho redatto una sorta di protocollo interno con il quale regolamentare il comportamento dei collaboratori, dei colleghi e dei clienti a partire dagli elementi di maggiori criticità rappresentati dalla condivisione degli spazi lavorativi e di quelli comuni oltre che della strumentazione (tastiere computer e pos, mobili e sedie, filtri aria condizionata) sino ai rapporti con i soggetti provenienti dall’esterno.
E’ stata dunque prevista la misurazione della febbre a chiunque entri nello studio, ho predisposto apposito tavolino all’ingresso corredato di igienizzante per le mani, mascherina (per coloro che inavvertitamente l’avessero dimenticata) guanti e spray igienizzante dell’ambiente, unitamente all'uso settimanale di prodotti sanificanti indicati nella circolare del ministero della salute n. 5443 del 22 febbraio 2020, quali varechina allo 0,1% o etanolo al 70%.
Anche le singole postazioni di lavoro unitamente agli strumenti utilizzati vengono igienizzate da tutti gli operatori al termine della giornata.
Altro principio cardine è il mantenimento della distanza di sicurezza all'interno dello studio legale, che ci è parso opportuno individuare in circa 1,5 metri per chi opera nello stesso ambiente. Per i clienti, oltre a quanto sopra indicato è prevista la sottoscrizione di un apposita autocertificazione attestante, fra le altre cose, la mancata provenienza da zone rosse ed il mancato contatto con persone infettate da Covid negli ultimi 14 giorni.
A ciò si aggiunge anche apposito plexiglas che protegge reciprocamente l’avvocato dai proprio collaboratori e clienti.
Naturalmente tutte queste procedure implicano nuovi ed aggiuntivi costi da mettere a budget, a cui pare che il governo intenda venire incontro mediante un “bonus fiscale” costituito da un credito di imposta pari al 50% o 100%, per ora solo sulla carta.
E quali invece i cambiamenti dal punto di vista dell’attività esterna, relativa alle udienze ed alle attività di cancelleria?
Il sopravvenuto contagio da Covid-19 ha comportato forti limitazioni alla celebrazione dal vivo delle udienze, obbligando il legislatore a prevedere delle possibilità alternative di gestione dei giudizi pendenti.
In particolare, dopo il periodo di sospensione totale (fatti salve alcune eccezioni, tipo i procedimenti dei minori ed i procedimenti la cui ritardata trattazione poteva produrre grave pregiudizio alle parti”) c.d. “cuscinetto” protrattosi in proroga sino al 11 maggio u.s., ad oggi, i giudizi si celebrano o con trattazione scritta fuori udienza (soprattutto quelli civili) o in telematico mediante collegamenti da remoto.
La trattazione scritta è prevista per tutti quei procedimenti per i quali sia, in ogni caso, consentito il pieno svolgimento del contraddittorio e garantito il diritto di difesa delle parti. Essa consiste nella celebrazione dell’udienza mediante lo scambio ed il deposito in telematico, di note scritte e la successiva adozione fuori udienza del provvedimento del giudice ai sensi dell'art. 83 comma 7 lett. h) del D.L. 18/2020.
Altrettanto interessante e innovativo è lo svolgimento delle udienze da remoto vale a dire in videoconferenza. Difatti, l'ultima formulazione del citato articolo 83, prevede che possano celebrarsi mediante collegamenti da remoto (videoconferenza) anche quelle udienze civili ove sia richiesta la presenza degli ausiliari del giudice, anche se finalizzata all'assunzione di informazioni presso la pubblica amministrazione.
La precedente formulazione infatti prevedeva che tale modalità di svolgimento dell’udienza potesse avvenire solo ove non fosse stata richiesta la presenza di soggetti diversi dai difensori e dalle parti.
Ciò significa che, per la celebrazione delle udienze civili, si amplia la possibilità di utilizzare il sistema della videoconferenza.
Ulteriore novità riguarda poi, la possibilità che anche gli ausiliari del giudice possano svolgere le loro attività attraverso l’utilizzo di collegamenti da remoto ove gli stessi siano tali da salvaguardare il contraddittorio e l'effettiva partecipazione delle parti.
Il maxi emendamento porta l’utilizzo (facoltativo) del processo telematico anche dinanzi alla Corte di Cassazione; infatti, uno specifico comma aggiunto all’articolo 83 del decreto legge 17 marzo 2020, n. 18 prevede che nei procedimenti civili innanzi alla Corte di Cassazione, sino al 30 giugno 2020, ora 31.07.2020, il deposito degli atti e dei documenti da parte degli avvocati può avvenire in modalità telematica nel rispetto della normativa anche regolamentare concernente la sottoscrizione, la trasmissione e la ricezione dei documenti informatici. L'attivazione del servizio è preceduta da un provvedimento del Direttore generale dei sistemi informativi e automatizzati del Ministero della giustizia che accerta l'installazione e l'idoneità delle attrezzature informatiche, unitamente alla funzionalità dei servizi di comunicazione dei documenti informatici.
Entrambi i provvedimenti evidenziano la tendenza creativa del legislatore per venire incontro, in questo momento di difficile gestione operativa, alle esigenze più svariate delle parti.
In questi tempi di distanziamento, per ridurre i contatti, la figura delll’Avvocato può ricevere la procedura digitale oltre che cartacea?
Il decreto legge 17 marzo 2020, n. 18, convertito, con modificazioni, nella legge 24 aprile 2020, n. 27, in vigore dal 30 aprile 2020, rispetto al testo originario, ha introdotto alcune novità e, una di queste, è quella relativa al rilascio della procura alle liti “a distanza” anche mediante strumenti informatici che ha apportato modifiche al testo dell’art. 83 c.p.c. che rimarranno in vigore fino al 31 luglio 2020.
Letta la norma, sono sorti alcuni dubbi e perplessità relativi, in generale, all’effettiva possibilità per il difensore di utilizzare tale modalità per ottenere, dal cliente, il rilascio della procura e, in particolare, se la stessa possa essere utilizzata solo per utilizzo digitale o anche cartaceo.
Il primo dubbio attiene al fatto che l’avvocato, non assistendo personalmente alla sottoscrizione autografa della procura alle liti da parte del cliente, dovrà comunque certificarne l'autografia mediante apposizione della propria firma digitale sulla copia informatica della procura.
Nel precisare e premettere che “certificare” è parola dal significato diverso di “autenticare”, è scontato il fatto che l’avvocato dovrà avere cura scrupolosa nel conservare il plico con il quale il cliente ha fatto al medesimo recapitare la procura tramite il servizio postale e, naturalmente, l’originale della procura medesima; ove la procura sia stata trasmessa, invece, mediante utilizzo d strumenti di comunicazione elettronica e quindi, con ogni probabilità, tramite mail, l’avvocato dovrà custodire gelosamente la mail ricevuta, in formato digitale, sotto forma quindi di file con estensione .eml o .msg. A tale proposito ricordo che la stampa di un documento informatico privo di attestazione di conformità è valido solo fino a disconoscimento da parte dell’avente diritto.
Fugato in tutto (o almeno, spero, in parte) il dubbio appena esposto e, al di là di ogni critica costruttiva, qualsiasi argomentazione a riguardo ritengo non possa prescindere da un presupposto a mio avviso granitico: la volontà (indubbia) del legislatore di consentire al cittadino di continuare ad esercitare i propri diritti e quindi poter usufruire dell’assistenza tecnica, per instaurare una controversia o per costituirsi in giudizio anche in vigenza del distanziamento sociale a tutela della salute.
Se è questo lo spirito della norma, ritengo non è ipotizzabile una compressione o restrizione del raggio d’azione e dell’efficacia della stessa.
Vediamo se, dalla lettura della citata norma, sia o meno possibile ipotizzare il rilascio della procura alle liti non solo in modalità digitale ma anche analogica.
All'uopo è opportuno evidenziare come, fino alla cessazione delle misure di distanziamento previste dalla legislazione emergenziale in materia di prevenzione del contagio da COVID-19, nei procedimenti civili la sottoscrizione della procura alle liti può essere apposta dalla parte anche su un documento analogico trasmesso al difensore, anche in copia informatica per immagine, unitamente a copia di un documento di identità in corso di validità, anche a mezzo di strumenti di comunicazione elettronica.
In tal caso, l'avvocato certifica l'autografia mediante la sola apposizione della propria firma digitale sulla copia informatica della procura. La procura si considera apposta in calce, ai sensi dell'articolo 83 del codice di procedura civile, se è congiunta all'atto cui si riferisce mediante gli strumenti informatici individuati con decreto del Ministero della giustizia.
Certo è che, tale modifica, consentirà alla parte e al difensore il rilascio e l’acquisizione della procura alle liti evitando qualsiasi contatto fisico, in maniera semplice: firma autografa della parte su documento cartaceo, scansione o fotografia del documento cartaceo e di un documento di identità in corso di validità, trasmissione dell’ottenuta scansione o foto attraverso qualsiasi strumento di comunicazione elettronica. Il difensore, non dovrà far altro, una volta ricevuta la copia informatica della procura, che apporre sulla predetta la propria firma digitale.
In ogni caso non bisogna mai dimenticare che ciò che l’avvocato sottoscrive (digitalmente o con firma autografa) è sempre una copia o informatica (se utilizzata per notifica telematica) o analogica (se utilizzata nella maniera tradizionale) alla quale, o digitalmente o in maniera autografa, viene apposta la certificazione del difensore. A tal proposito non dimentichiamo poi quanto previsto dall’art. 23 comma 2 CAD: “le copie e gli estratti su supporto analogico del documento informatico, conformi alle vigenti regole tecniche, hanno la stessa efficacia probatoria dell'originale se la loro conformità non è espressamente disconosciuta.”
Passando all’aspetto pratico, nel caso in cui il difensore riceva la procura alle liti tramite mail, allegata quindi mediante scansione, a quali adempimenti dovrà ottemperare l’avvocato?
Dovrà semplicemente ed esclusivamente firmare digitalmente la copia informatica delle procura ricevuta, niente di più.
Anzi, per certi versi che, anche in questo caso, non si comprende per quale motivo la citata modalità di rilascio della procura alle liti sarà valida solo fino alla cessazione delle misure di distanziamento e non anche successivamente considerata la capacità di andare incontro alle esigenze di tempestività ed efficienza che costantemente avvolgono la professione di avvocato.
E come si procederà invece per gli incontri di mediazione?
Diverso dovrà farsi per gli incontri di mediazione i quali, anche successivamente al periodo dal 9 marzo al 30 giugno 2020, gli incontri di mediazione potranno svolgersi in via telematica con il preventivo consenso di tutte le parti coinvolte nel procedimento ai sensi dell'articolo 3, comma 4, del decreto legislativo 4 marzo 2010, n. 28, mediante sistemi di videoconferenza.
In caso di procedura telematica l'avvocato, che sottoscrive con firma digitale, potrà dichiarare autografa la sottoscrizione del proprio cliente collegato da remoto ed apposta in calce al verbale ed all'accordo di conciliazione.
Il verbale relativo al procedimento di mediazione svoltosi in modalità telematica sarà sottoscritto dal mediatore e dagli avvocati delle parti con firma digitale ai fini dell'esecutività dell'accordo prevista dall'articolo 12 del decreto legislativo 4 marzo 2010, n. 28.
In conclusione, ad avviso dello scrivente facendo propri i principi deontologici, di professionalità e di correttezza ciò che più deve contare per un professionista – nel mio caso per un avvocato - è l’interesse di garantire tutela sempre e comunque ai diritti ed agli interessi dei propri assistiti unitamente alla assoluta preservazione della loro salute. Un diritto fondamentale non può e non deve intaccare l'altro.
Certo vanno contemperati e garantiti entrambi nell'intento precipuo di aiutare, state vicino e prendersi cura dei propri clienti, anche e soprattutto in questo periodo di distanziamento sociale.
D'altra parte, ad avviso di chi scrive, il rischio che questo "periodo" si trasformi in un nuovo stile di vita è dietro l'angolo. Per nuovo stile di vita intendo dire un modo di vivere che, nascondendosi dietro la "superanta" pandemia, trasformi il distanziamento sociale in distaccamento interpersonale, "giustificato" allontanamento nelle relazioni ed altre forme di indifferentismo che spesso irretiscono ed imbruttiscono l'essere umano.
Auspico, pertanto che, superata la fase 1 e la fase 2, ciascuno possa proiettarsi con ottimismo e fiducia, nel settore di propria competenza, con nuovo stile di vita che abbia a fondamento la massima considerazione della persona umana - rivalutandone ed apprezzandone la sua stessa importanza sotto ogni profilo - a cui dedicare ogni sforzo di solidarietà, di sostegno e di valorizzazione affinché presto possa realizzarsi una società nella quale al distanziamento sociale si contrapponga l’avvicinamento interpersonale autentico. Fiducioso auspico infine, che tale avvicinamento trovi il suo fondamento ed esprima il suo significato nella rinnovata stima e fiducia fra gli individui, corroborata da una giustizia “giusta”, tempestiva ed efficiente.
Roberta La Guardia
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