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1939 : l’Albania

6/12/2010

Mi scuso con i lettori se i miei articoli non escono con la regolarità che vorrei ma la vita lascia ben poco spazio alle cose che si amano.
14 febbraio 1939 – “…nei confronti della Francia (il Duce) ripete che per ora conviene attendere lo sviluppo che verrà dato all’iniziativa Baudoin. Se questa cosa dovesse svilupparsi porre noi il dilemma: volete o no trattare. In caso negativo, prepararsi senza meno alla guerra. ……..il ministro d’Olanda fa un tentativo di passo energico per la questione degli ebrei olandesi. Ma abbassa la testa quando gli dico che avremmo potuto fare qualcosa a titolo grazioso: mai sotto una pressante richiesta. Mancano proprio gli olandesi per fare le parti di forza…”. Nel leggere le pagine del Diario che riguardano ancora il primo semestre del 1939 si avverte quella sensazione opprimente di disperata rassegnazione derivante dalla consapevolezza di essere governati da pazzi esaltati: l’arroganza; la politica degli slogan; la teatralità nei rapporti con gli altri stati; l’assoluta mancanza della capacità di intravedere le conseguenze dei propri atti sono tutti elementi che ancora oggi suscitano orrore ed avversione nei confronti dei protagonisti dell’epoca e nei confronti di chi, in veste moderna, vorrebbe ripercorrere la strada dell’autoritarismo. Si tende di solito ad esorcizzare questo concetto ma i segni sono chiari ed inequivocabili: i tentativi di limitare la libertà di informazione, di espressione, di opinione, di critica; il ritenersi al di sopra della giustizia e delle leggi; il voler egemonizzare le istituzioni; l’atto stesso dell’esautorare il parlamento della dialettica interna sui provvedimenti di legge facendo ricorso continuamente alla fiducia; il voler rendere influenzabili dalla politica i poteri dello Stato.
Mentre Benito e Adolfo giocavano a fare i grandi uomini, l’Europa e tutto il mondo tirava il fiato presagendo la guerra, percependo nell’aria il terrificante odore della morte incombente.
15 febbraio – un piccolo episodio di carattere personale. Starace ha pescato l’on. Martire, ex popolare e fascista del 32, che nei corridoi della camera cercava di farmi la nomea di iettatore. Non avendo altri moccoli avrebbe fatto meglio ad andare a letto al buio, “non è stato di questo avviso ed è tentato di dare una pugnalata a freddo”, come il Duce ha definito l’accaduto. Morale: Martire è stato regolarmente ammanettato e condotto al cellulare ( carcere in cui ogni detenuto è rinchiuso in una cella o particolare automezzo per il trasporto dei detenuti, precisiamo noi ); a Ferretti, presente all’accaduto e che ha reagito debolmente senza informare il partito, è stata tolta la tessera. Piccolo insignificante avvenimento in se stesso del quale si possono fare i bilanci attivo e passivo. Attivo: la miseria morale di alcuni elementi che abbiamo accolto nelle file nostre e che all’ombra del Littorio continuano la loro turpe azione di denigrazione…”. È contenuto in questa pagina un mirabile esempio del modello di libertà di parola che si vorrebbe adottare anche ai giorni nostri e che, per una sorta di nemesi storica, ha toccato anche un apostata del partito dei fasci. Ma ancora più esplicativo, sempre per quanto riguarda il valore che allora, e in un certo qual modo anche oggi, si dava e si dà al concetto di libertà di opinione e di critica , è il seguente commento: “…Il Duce mi parla del fatto di Martire e esprime il suo rammarico di non potergli fracassare le costole a cazzotti. Aggiunge che diciassette anni di governo gli hanno tolto “il piacere di fare almeno una trentina di duelli””. Il diario continua col racconto di un altro episodio, anch’esso emblematico delle modalità fasciste di trattare le istituzioni e non sembra proprio che siano passati settant’anni da quei giorni visto che c’è ancora oggi una forte tendenza o almeno una forte inclinazione a gestire i rappresentanti dello stato come fossero camerieri o propri dipendenti. Ma non voglio privare il lettore del piacere di una lettura diretta: 19 febbraio 1939 - “ il ritiro di Grandi ( Dino Grandi conte di Mordano, prima Ministro degli Esteri, 1929-32, poi nominato ambasciatore a Londra) da Londra è dovuto a qualche informazione pervenuta al Duce, della quale però ignoro il tenore e la fonte. Dice “ è l’ora che torni a bagnarsi nell’atmosfera del regime e che finalmente si disinglesizzi questo bigio, torbido e infido Grandi”. C’è da pensare - vista l’intransigenza nei confronti delle voci fuori dal coro - che molti nostri contemporanei, uomini di Stato e politici, soffrano della stessa malattia di cui era affetto l’ambasciatore Grandi e cioè di aver respirato troppo a lungo l’aria di una democrazia.
Le nostre riflessioni su questi scritti continuano con la cruda, terribile nota del 22 febbraio che introduciamo, a monito per tutte le generazioni future, con una amara poesia del poeta tedesco Bertolt Brecht:
prima di tutto vennero a prendere gli zingari
e fui contento, perché rubacchiavano.
Poi vennero a prendere gli ebrei
E stetti zitto, perché mi stavano antipatici.
Poi vennero a prendere gli omosessuali,
e fui sollevato, perché mi erano fastidiosi.
Poi vennero a prendere i comunisti,
ed io non dissi niente, perché non ero comunista.
Un giorno vennero a prendere me,
e non c’era rimasto nessuno a protestare.
22 febbraio 1939 - ( riferendosi alla guerra civile che si combatteva in Spagna) … anche molti italiani sono stati presi: anarchici e comunisti. Lo dico al Duce che mi ordina di farli fucilare tutti, ed aggiunge: “i morti non raccontano la storia”. Non può non suscitare commozione profonda questo passo. Suscita commozione soprattutto pensare che la voce che ci parla attraverso questi diari era di un giovane, ambizioso e vanitoso forse, cinico e crudele anche, in certi momenti, ma sicuramente figlio del suo tempo, da questo punto di vista perdonabile perché travolto dalla grande onda della follia populista. Un giovane maturo, come ce ne sono tanti, che aveva sposato la figlia di Benito Mussolini. Questo giovanotto non poteva immaginare nel momento in cui appuntava sul suo diario queste frasi che suo suocero, qualche anno dopo, con un ordine simile a quello con tanta leggerezza da lui riportato, avrebbe stroncato anche la sua vita, sbagliandosi ancora una volta perché questo giovane morto ha raccontato la parte più nascosta di quella storia. Mussolini , impassibile anche dinanzi alle preghiere della figlia, consentì che un tribunale farsa condannasse al plotone di esecuzione il padre dei suoi nipotini: Galeazzo Ciano, proprio come quei comunisti che andavano a morire per difendere la libertà di un altro popolo, cadde, legato ad una sedia, fucilato e finito poi in modo atroce col colpo di grazia alla testa, dinanzi ad una telecamera che riprendeva e ad un prete che si sentì male al momento della estrema unzione. Chi sa se questa cruda immagine è riverberata nella mente del Presidente Fini quando Berlusconi dichiarava di averlo trattato come un figlio.
Chiudiamo la cronaca di questo fine inverno del 1939 che aveva visto l’annessione della Cecoslovacchia da parte della Germania nazista e quella dell’Albania di Re Zog da parte dell’Italia fascista:
17 marzo (dopo che la Germania nazista, tradendo quanto stabilito nell’incontro di Monaco, annette la Cecoslovacchia) – l’opinione pubblica mondiale è depressa. Da tutte le capitali giungono telegrammi costernati.
28 aprile 1939 (dopo l’annessione da parte italiana dell’Albania) – il Fuhrer ha pronunciato il suo discorso…ogni parola che lascia sperare un’intenzione di pace è accolta dall’umanità intera con una incommensurabile gioia. Nessun popolo oggi vuole la guerra;nella migliore delle ipotesi, sono pronti a farla. Ciò vale per noi e per i tedeschi. Per gli altri non so. …”.
Il mondo restava impietrito di fronte agli eventi cagionati dai governi di due paesi: Germania e Italia e noi concluderemo dicendo che Il popolo sovrano ha il diritto di scegliere la propria guida ma deve anche assumersi le proprie responsabilità nei confronti della storia e del resto dell’umanità.


Antonio Salerno



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