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Mostra antologica di Giovanni Dell'Acqua nel Museo FRaC di Baronissi |
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3/05/2019 | Sabato 4 maggio 2019 alle ore 18.30 nella Galleria dei Frati del Museo FRaC di Baronissi, in provincia di Salerno, apre al pubblico la mostra antologica dedicata all’artista materano Giovanni Dell’Acqua dal titolo “Sconfinamenti Commistioni Nomadismi Accumulazioni Contaminazioni”.
Curata da Massimo Bignardi, la mostra è stata progettata e realizzata dal Museo FRaC di Baronissi ed è patrocinata dalla Regione Basilicata e dal Museo ARCOS di Benevento. La mostra presenta una selezione di cinquanta opere, tra dipinti e sculture che, dal 1975 ad oggi, che tracciano l’esperienza di uno dei principali interpreti, dalla metà degli anni settanta, dell’Optical art in area meridionale.
Accompagna la mostra il volume monografico, pubblicato da Gutenberg Edizioni, "Giovanni Dell’Acqua" curato da Massimo Bignardi, con un’intervista all’artista di Maria Vertulli, con apparati biografici e bibliografici, uno scritto autobiografico dell’artista e un ampio corredo illustrativo a colori e in bianco e nero.
La mostra, che resterà aperta fino al 9 giugno 2019, si può visitare dal lunedì al giovedì dalle 9 alle 12,30 e dalle 16 alle 18,30 il venerdì e sabato dalle 10 alle 13 e dalle 17 alle 20, domenica e festivi dalle 10 alle 13 e dalle 17 alle 21.
“L’atavica “questione meridionale” – scrive Bignardi nel saggio che apre il volume monografico pubblicato da Gutenberg Edizioni – investe gli aspetti di una “questione culturale” e, nello specifico quella dell’arte, che evidenzia la mancanza di una complessiva politica culturale nazionale e del persistere di una dismisura tra centro e periferia, che riguarda soprattutto gli intellettuali e il loro ruolo. Il caso dell’esperienza artistica di Giovanni Dell’Acqua è uno dei tanti aspetti di tale problematica; l’energia, la forza che il nostro ha speso nell’avviare, negli anni settanta e poi consolidare negli ottanta, il suo tentativo di fare l’artista (per giunta nell’ambito di un nuovo astrattismo, fondato sulle capacità percettive e visuali) nel proprio territorio, risponde pienamente al disegno di dar vita ad un soggetto culturale che non cedesse, come auspicava Gramsci, alla “passività intellettuale”. La sua esperienza artistica trova origine nel ponderato rapporto tra misura e dismisura, che anima il paesaggio urbano della vecchia Matera, nell’articolata architettura dell’esistenza sostenuta, visivamente, dalla trama di una geometria, leitmotiv della ‘narrazione’ propostaci, nelle pagine della monografia, dagli scatti fotografici di Michele Morelli. La sua adesione all’Optical art, già dagli anni settanta, si palesava come una ricerca attenta, fortemente proiettata verso nuovi linguaggi, senza, però, perdere il collante con la propria dimensione antropologica e, soprattutto, la propria identità esistenziale. Nel pensiero del giovane artista, il Mezzogiorno non era solo il luogo romantico del paesaggio naturalistico, a volte la bella cartolina di spiagge incorniciate dal blu del mare o di paesini vivi solo nei depliant del folclore. Era ed è ancora oggi – così come per tanti altri artisti – una condizione sociale e, al tempo stesso, una prospettiva culturale. […] In questi ultimi anni, la sua pittura si è aperta maggiormente ad esperienze di grande respiro, soprattutto vero, autentico, sentito quale misura del proprio essere nelle dinamiche che movimentano il nostro presente. Opere, che l’artista ha avuto modo di presentare in più occasioni sia nelle personali tenute a Padova nel 2016 o Parma di due anni fa, sia nelle rassegne e fiere quali “ArteCremona”, del 2015. Nel corso di questi anni, parallelamente alle esperienze poc’anzi citate, Dell’Acqua sperimenta una ulteriore prospettiva: si affida a piccole, medie campiture, piatte di colore, saturo che lasciano, ciascuno affiorare una intensa luminosità: una serie di composizioni che l’artista ha chiamato Il colore lo sa, realizzata tra il 2014 e il 2017. Le superfici sono racchiuse in cornici colorate, a volte giocando su complementari, oppure insistendo su interferenze tra i rettangoli disegnati dalla cornice e dalla tela. Si tratta di grandi installazioni, solitamente coprenti una intera parete, ma anche a combinazioni modulari, concepite come pittura, ma libere da un definito programma. Composizioni che mi ricordano, solo formalmente per il ricorso a piccole tele, a quelle a cui, nei primi anni sessanta, Lucio Fontana diede il titolo di “I Quanta”. La «felice spontaneità dell’invenzione», così come lo stesso artista sintetizza la sua esperienza, diviene luogo interiore di un viaggio che si rinnova, di volta in volta, nel contatto con la vita”.
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