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Recensioni*: ‘’La sensazione di volare senza veramente sollevarsi da terra’’

16/12/2018

Il romanzo “Lame” di Gabriele Pedullà è la metafora dell’ Amore declinato nelle sue varie forme. L’amore che dura senza prendere mai veramente forma o l’amore che prende e perde forma lasciando un segno anche a distanza di tempo, quasi come fosse un farmaco a rilascio ritardato. Un amore che, per caso, terrà sempre riservato un posto per noi facendoci sentire gratificati per questo, proprio come succedeva a Ruggiero e Olimpia nell’accorgersi che il posto in cui erano soliti trascorrere le domeniche era libero. Un amore difficile che può farci pensare ai passi di danza compiuti da una coppia di pattinatori che, danzando, si avvicinano giusto il tempo di un abbraccio, di una presa, per poi allontanarsi e ritrovarsi qualche metro più avanti; come se non fossero capaci di contenere il loro dolore e come se non aspettassero altro che sentire, nel ricongiungersi, quel brivido che si avverte dopo una presa che ci fa sfidare la gravità. L’amore che ci insegna che spogliarsi non è solo togliere i propri vestiti, ma scoprire ogni velo che maschera le nostre cicatrici o i nostri lividi, e mostrarle alla persona che sarà disposta ad accarezzarle con la punta delle dita per tutto il tempo necessario, condividendo con noi anche la sua di storia. Ma questo romanzo è anche, e soprattutto, uno strumento capace di far volgere il nostro sguardo al passato, un passato lontano, dal quale, come commenterebbe Olimpia, ci sarebbe da sentirsi dei dinosauri. Parliamo di un passato in cui non c’era bisogno di mettere a fuoco il mondo tramite l’obbiettivo di una macchina fotografica o di un cellulare, perché si dava la giusta consistenza alle giornate semplicemente osservando con i propri occhi; mentre oggi sembra che la costanza e la reciprocità in un’amicizia dipendano dal fatto che si commentino o meno le foto dell’amico con apprezzamenti positivi. Come se, come direbbe Olimpia, ciò che non si fotografa non fosse realmente successo e come se potessimo sentirci meno soli solo restando connessi a milioni di persone. Quello che rivivono Olimpia e Ruggiero è infatti un passato fatto di musica e passioni ma, soprattutto, di leggerezza; una leggerezza che viene continuamente scambiata per superficialità. In una società ormai fondata sulla competizione, gli uomini cercano di affermare il proprio ‘io’ accecati dalla vana convinzione di poter dare un senso alla propria vita solo battendosi contro tutti. Per questo, crede di vincere colui che, pattinando sul ghiaccio, percorre una curva stretta con grande velocità e con grande maestria nel controllare la gravità, senza sapere però che la vera vittoria è di colui che, nel percorrere la stessa curva, si prenderà tutto il tempo, godendo ogni carezza che il vento regala al suo viso e consapevole della possibilità di scivolare, ignorando i tempi, il ritmo della musica, il coordinamento e tutto il resto. Questo romanzo è però anche una chiave di lettura della vita. La vita, quella che Ruggiero e Olimpia pensano di trovare una volta arrivati al Pincio o in qualunque altro posto fuori casa, non è altro che un teatro di cui non si sa nulla e non si conoscono neppure i personaggi che saranno in scena, ma ognuno di loro, noi compresi, indosserà una maschera o una qualunque etichetta che ci seguirà ovunque, proprio come il fantasma dei quarant’anni segue inesorabile Ruggiero. La consapevolezza del trascorrere del tempo, forse intima a Ruggiero più di quanto lo sia Olimpia, lo segue inesorabile nei momenti in cui i suoi pensieri si fanno più pressanti interrogandolo sulla vita, ma Ruggiero non farà altro che starsene lì in silenzio o perseverare nel suo diniego lasciando che sia il tempo a fare per entrambi la conversazione. Potremmo dunque interpretare questo silenzio da parte di Ruggiero come incapacità di accettare lo scorrere del tempo o, al contrario, come uno stato di rassegnazione in cui lui vive da sempre. Ma, questa consapevolezza, a parer nostro, fungerà per Ruggiero anche come una sorta di culla nella quale si consolerà fuggendo dalle sue responsabilità e dai suoi errori; come abbiamo potuto vedere anche nel dialogo con il fantasma del tempo, caratterizzato interamente da silenzi. La vita, inoltre, secondo quanto afferma anche il ‘Professore’, non è altro che un cerchio che segna il perimetro di una pista di ghiaccio, intorno alla quale ognuno di noi gira pattinando all’infinito illudendosi di poter raggiungere una meta: Una meta che però non esiste nella realtà e tale delusione, come affermava anche Leopardi, non potrà che farci cadere in uno stato di sofferenza, dalla quale potremmo sfuggire solo con la nostra immaginazione. Dunque, non fa altro che girare in tondo, affannandosi ma senza comprendere che vivere significa spezzare il cerchio in cui si pattina ed eventualmente anche girare spensierati senza una meta e al riparo dall’agonismo della velocità, come c’insegna anche Morgan: pattinare a torso nudo anche nei giorni più rigidi, incuranti della temperatura esterna. Ecco allora ‘’La sensazione di volare senza veramente sollevarsi da terra’’, che allude alla libertà della vita e che prende forma solo nel momento in cui noi decidiamo di lasciare a terra le lame dei nostri pattini che ci tengono legati al ghiaccio delle nostre preoccupazioni, paure, angosce, dubbi o abitudini…

Ivana Pizzo,
Angela Spagnuolo
Domenìca De Marco
Classe V C Liceo Linguistico


*recensioni dei romanzi vincitori del Premio letterario C. Levi 2018 scritte dai ragazzi del liceo di Sant'Arcangelo



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