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Da Senise a Padova, cuore colorato del Pride 'Mai più senza' |
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1/07/2018 | Un anno fa partecipavo al mio primo Pride, con la curiosità e l’emozione di un bambino. Non avrei mai immaginato che neppure un anno dopo, avrei fatto parte dello staff del Comitato che, dopo 16 lunghi anni, ha riportato l’orgoglio nelle strade di Padova.
“Mai più senza”. Era questo il motto della manifestazione, ma anche il pensiero che ci ha ispirati e guidati in tutti i mesi di lavoro per costruire uno spazio di libertà e di lotta politica. Padova è conosciuta, con privilegio, come la città dei senza (Prato senza erba, caffè senza porte, Santo senza nome ecc..); noi abbiamo voluto ribaltarne il significato e sottolineare 6 mancanze (6 come i colori della bandiera rainbow) che ci separano dalla nostra identità, dalla parità e dalla tutela.
Per farlo, abbiamo sviluppato un percorso lungo 6 mesi fatto di eventi, dibattiti, arte, incontri con istituzioni e studiosi, sulle rivendicazioni, nei termini descritti nel manifesto politico (consultabile qui
) di cui ci siamo fatti portavoce: corporeità, visibilità, salute, educazione, libertà e laicità, inclusione. Questo percorso è nato in maniera spontanea da una necessità condivisa: rinvigorire la battaglia per i diritti civili in un’ottica intersezionale (come i moti di Stonewall ci hanno insegnato); creare un momento di “sorellanza”, condivisione e coesione per tutte quelle persone che differiscono dai modelli sociali dominanti e reagire agli attentati alla libertà e all’espressione di stampo omotransfobico, da parte di cariche istituzionali e non, di cui Regione Veneto e Padova sono spesso vittime (basti pensare all’ex sindaco Massimo Bitonci e alla sua strumentalizzazione dell’inesistente teoria gender per proibire la diffusione di letture e programmi scolastici contro l’eteronormatività; alle innumerevoli dichiarazioni contro la comunità LGBT, nonché i già postati insulti sul Pride stesso, dell’assessore all’istruzione, formazione e lavoro Elena Donazzan; così come la cancellazione da parte del rettore dell’Università di Verona di un incontro sui richiedenti asilo LGBT a seguito di minacce di gruppi neofascisti; e non in ultimo alle posizioni del neo ministro alla famiglia e disabilità Fontana e più in generale al clima di odio e intolleranza che il governo giallo-verde sta seminando).
In quanto studente di scienze politiche, relazioni internazionali e diritti umani, le questioni dell’orientamento sessuale e dell’identità di genere, e quindi le vite e i problemi delle persone lesbiche, gay, bisessuali, transessuali e intersessuali, hanno la stessa importanza di ogni altra condizione o specificità e pertanto sarò sempre pronto e preparato a battermi perché questo venga universalmente riconosciuto.
Quando ho scelto di metterci la faccia, l’ho fatto con orgoglio, perché metterci la faccia è un atto rivoluzionario, una delle piccole grandi lotte che sostiene ognuno di noi ogni giorno. Metterci la faccia vuol dire contribuire al cambiamento. Vuol dire dare occhi, orecchie, voce e sorriso a chi non ha la possibilità o il coraggio di farlo e vuol dire testimoniare la propria libertà. Significa dimostrare che quando smetteremo tutti di avere paura, potremo abbattere qualsiasi muro. Metterci la faccia significa dire “Sono anche questo, e sempre lo stesso”.
E l’energia che ho sentito ieri mi ha fatto capire che l’amore, alla fine, vince sempre.
Gennaro Veneziano |
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