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Recensione:Giovanni Siciliano “Vivere e morire di euro" |
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9/06/2018 | Il libro di Giovanni Siciliano “Vivere e morire di euro Come uscirne(quasi) indenni DI 208 pagine, edito da Imprimatur ed acquistabile al prezzo di 16,90 euro non parla del “perché uscire dall’euro”, ma del “come uscire”. Abbiamo però speso qualche parola anche sul “perché”, altrimenti non avrebbe senso parlare del “come”.
La risposta al “perché uscire” potrebbe essere semplificata nei seguenti termini. L’euro coinvolge Paesi troppo diversi fra loro. Paesi più “deboli” e Paesi più “forti”. Quando c’è una crisi generata da uno shock esterno, un sistema di cambi fissi provo¬ca l’immediato deflusso di capitali dai Paesi deboli a quelli forti, perché non entra in gioco l’effetto cor¬rettivo della svalutazione. Segue un brusco aumen¬to dei tassi d’interesse, un crollo dei prezzi delle attività finanziarie e reali e una riduzione dell’of¬ferta di credito. I Paesi deboli entrano in recessione, ma non possono reagire né usando la politica mo¬netaria né quella fiscale per stimolare la domanda interna. L’unica arma è la deflazione (riduzione di prezzi e salari) per stimolare la domanda estera e guadagnare competitività sui mercati internaziona¬li, ma è uno strumento troppo costoso, socialmente e 182 svalutazione del cambio. Per questo motivo la re-cessione diventa più lunga e duratura.
Ma veniamo al “come”.
Chi ha avuto la pazienza di leggere questo libro. po¬trebbe farsi una semplice domanda: perché l’entrata nell’euro non ha generato scossoni finanziari, mentre l’uscita potrebbe essere catastrofica?
Anche un passaggio repentino dalla lira all’euro sarebbe stato traumatico per la stabilità finanziaria. Stato, famiglie e imprese si sarebbero trovate all’im¬provviso con debiti in una valuta forte ma con tassi d’interesse tipici di una valuta debole come la lira. Ci sarebbe stato il pericolo di una corsa agli sportelli per il timore di vedere convertite le lire in euro a un tasso di cambio diverso da quello di mercato.
Perché questo non è successo nel 2002? L’unica dif¬ferenza l’ha fatta il tempo. L’ingresso nell’euro è stato pianificato e gestito nel corso di circa sette anni, a par-tire dal Consiglio europeo del dicembre del 1995. C’è stato tutto il tempo e la calma per effettuare una tran¬sizione ordinata e senza scossoni finanziari. A partire da quella data i mercati hanno incominciato a sconta¬re gradualmente la convergenza verso un sistema di cambi fissi e di politica monetaria comune e questo ha portato a una lenta ma inesorabile convergenza dei tassi di interesse dei Paesi dell’area euro. È stato il mercato a stabilire il tasso d’interesse delle attività/passività in euro per ogni Paese. È stato il mercato a stabilire quali tassi di cambio bilaterali utilizzare per ottenere il valore di mercato dell’euro nei confronti delle singole valute nazionali. Per questo, la prospet¬tiva di vedere convertiti in euro i depositi in lire al cambio di 1936,27 al primo gennaio 2002 non ha in¬dotto alcuna corsa agli sportelli. politicamente, e no. Una brusca rottura dell’euro con il ritorno simulta¬neo di tutti i Paesi alle proprie valute nazionali appa¬re quindi uno scenario non realistico. L’unica opzione realistica è che alcuni singoli Paesi tornino alle pro¬prie valute seguendo un processo sequenziale e non simultaneo. Un grande Paese come l’Italia potrebbe fare da “apripista” e i Paesi che volessero imitarla po¬trebbero beneficiare delle esperienze nel gestire i pro¬blemi che avrebbe maturato il nostro Paese.
Con un’uscita ordinata “uno alla volta” di alcuni Paesi, si avrebbe automaticamente la nascita di un euro forte, formalmente la stessa valuta di quella attuale, ma di fatto una “nuova” valuta che unisce solo Paesi simili che vogliono condividere politica monetaria e fiscale.
Certo, non ci si può presentare all’improvviso nelle sedi europee dicendo che l’Italia vuole uscire dall’eu¬ro. Il problema della comunicazione è fondamentale.
Bisogna manifestare la disponibilità ad avviare un negoziato che porti al raggiungimento di un compro¬messo accettabile per i diversi attori in gioco: lo Sta¬to italiano, gli investitori e gli altri Paesi europei. Un compromesso che deve soddisfare le diverse parti in causa nella loro veste di creditori e debitori e che deve portare a sciogliere in maniera ordinata e consensuale i rapporti con la Bce.
Biagio Gugliotta
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