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L’eterno sogno (dell’emigrato) |
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2/07/2012 | Quello del nostro conterraneo Mario Sinisgalli, emigrato da giovane nella Milano del boom economico, è un libro che consigliamo a tutti. Il filo che conduce il lettore attraverso un dedalo eterogeneo di ragionamenti, sensazioni e ricordi, espressi sotto forma di poesie o di racconti, quando non propriamente col crudo e concentrato linguaggio dell’opinionista, è l’animo contadino: la sua filosofia di vita e la particolarissima sensibilità verso il mondo che lo circonda. Non di un contadino qualunque parliamo, bensì di un nostro contadino degli anni cinquanta. Chiunque tra noi, figli di questa terra aspra e selvaggia, immobile di fronte alle rivoluzioni portate dal tempo, pigra e svogliata nei confronti di qualunque tipo di rinnovamento, volesse risalire alle radici di quei valori che pervadono la personalità e la cultura dei lucani, può farlo seguendo la fantasia e lo stile narrativo del nostro autore nel libro intitolato “elenco di parole, poesie e racconti”. Abbiamo scelto una sua poesia che ci è parsa quanto mai rappresentativa sia della storia della nostra terra, così profondamente segnata dal fenomeno dell’emigrazione, sia del continuo processo di rielaborazione mentale che induce quegli uomini e quelle donne che hanno lasciato le campagne per cercare la civiltà, a riflettere sul senso della vita e sul significato della vera felicità. La poesia recita: “ spesso, quando la notte tace, in sogno mi sussurra una voce: - uomo del sud che corresti in città, hai forse dimenticato com’erano le tue colline e come profumavano di ginestra? Com’era dolce alla sera, il concerto dei grilli, il gracidare delle rane, e che dolce melodia diffondeva, al mattino, il canto della capinera? – uomo del sud, che rugginoso lasciasti l’aratro, hai forse dimenticato l’odore della terra smossa, e dell’erba recisa per fieno? E quei profondi silenzi interrotti a regolari intervalli ora dal belar del gregge, ora dal suo scampanellare? Hai forse scordato come ti rapiva, il roteare dell’allodola verso il cielo? – uomo del sud, è impossibile tutto questo obliare – mi ripete una voce che spesso, di notte mi invita a tornare”. In ciò che queste persone hanno lasciato vi era un fascino arcano, un compiacimento dell’anima nelle cose semplici, nei valori autentici, che andava bene al di là del benessere materiale. La stessa natura appare qui da noi ineguagliabilmente armoniosa e capace di offrire un assaggio dei climi del pianeta senza però mai strafare, sempre con oculata parsimonia e velata grazia. Essa penetra così profondamente nell’animo di coloro che qui nascono e vivono da impregnarlo di sensazioni ed atmosfere attorno alle quali quell’animo crescerà avvinghiato come un glicine alla roccia. E questo strettissimo rapporto dell’uomo con la natura si può toccare ancora oggi con mano ascoltando gli anziani mentre descrivono i luoghi delle campagne e dei boschi ove sgorgano le acque più fresche e saporite. Tali discorsi aleggiano negli uffici postali durante le interminabili file per la riscossione delle pensioni, in luogo delle discussioni politiche o sullo stato sociale su cui si intrattengono invece i coetanei che abitano le grandi realtà metropolitane. Questo è il tesoro di valori e di emozioni che madre terra ha depositato nei cuori dei propri figli e alcuni di loro amano ritrarlo per mezzo dell’arte. Crediamo che ancora oggi, tempo in cui il distacco dalla natura e dalle tradizioni comincia ad essere palpabile persino nelle nostre piccole realtà, da sempre famose per l’ostinazione con cui si oppongono ad ogni forma di occupazione e civilizzazione fosse essa quella dell’impero romano, dello Stato Nazionale, o dell’onda di thsunami portata, nel campo dei valori e dei costumi, dalla moderna società globalizzata ed informatizzata, i lucani continuino a conservare delle caratteristiche umane molto singolari che li porteranno a distinguersi ovunque per il fascino e la bellezza che conferiscono alla loro personalità.
Antonio Salerno
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