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Basilicata sempre più...set: "Cristo si è fermato ad Eboli" |
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21/06/2012 | Nel 1979 Francesco Rosi ritorna in Basilicata per girare il film, tratto dall’omonimo romanzo di Carlo Levi, “Cristo si è fermato a Eboli”. Come set Rosi scelse Matera, Craco, Guardia Perticara e Aliano (dove si svolge il romanzo originale); set sul quale si muovono Lea Massari e Gian Maria Volonté.
Un film drammatico, tratto dal romanzo di Levi (1902-1975) del 1945. Nel 1935 il medico-scrittore torinese Carlo Levi, condannato al confino in Lucania dalla dittatura fascista, scortato da due carabinieri, scende dal treno alla stazione di Eboli: “Cristo si è davvero fermato a Eboli, dove la strada e il treno abbandonano la costa di Salerno e il mare, e si addentrano nelle desolate terre di Lucania. Cristo non è mai arrivato qui, né vi è arrivato il tempo, né l’anima individuale, né la speranza, né il legame tra le cause e gli effetti, la ragione e la storia.” Il viaggio prosegue in pullman e poi in automobile. Raggiunto Gagliano, Carlo inizia a fare piccole passeggiate in compagnia del cane Barone e lentamente entra in contatto con l’antica civiltà contadina che finisce per imporgli di esercitare la professione di medico. La sorella Luisa lo raggiunge nel piccolo borgo lucano e insieme si trasferiscono in una casa dove la domestica Giulia si dedica a loro quotidianamente. Carlo comincia a cimentarsi con la pittura, scambia qualche parola con gli abitanti, con il podestà, con il misterioso Don Trajella. La conquista dell’Abissinia gli riconsegnerà la perduta libertà. Tornato a Torino carico di ricordi, Carlo scriverà un libro per ricordare quest’esperienza.
Rosi mette l’accento sulla dimensione antropologica e magica del libro di Levi, ma anche su quella sociale e politica. Una pellicola leggermente raggelata nei paesaggi, troppo lirici o didattici, ma ammirevole per l’intensità e la delicatezza.
Il film apre diversi scenari relativamente ai temi trattati: la “questione meridionale” del dopoguerra, la religione vissuta come superstizione, un mondo desolato e immobile, disperato, ma non privo di luminosità, la vita dei contadini, la lotta scandita dai ritmi della natura. Un film forte, sobrio, impressionante, eloquente, ben interpretato e ben diretto che apre uno spiraglio sulle necessità vitali che provocano le emigrazioni dei lucani e sul senso di emarginazione rispetto “all’altra Italia”. Tutto è mosso dalla tragica percezione di un fenomeno di dissoluzione della terra e, insieme, della vita.
Al film seguì una versione televisiva in quattro parti.
Il film fu presentato fuori concorso al 32° Festival di Cannes, vinse due David di Donatello per il miglior film e il miglior regista, il Gran Premio al Festival di Mosca e il BAFTA 1983 come miglior film straniero.
Nicoletta Fanuele |
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