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Rettrice Unibas su dichiarazioni consigliere regionale Michele Napoli

22/02/2018

“E’ normale che il tema ‘Università’ entri in una campagna elettorale. Ma è incomprensibile che si tratti questo argomento con superficialità: l’Università della Basilicata è un ‘asset’ troppo prezioso per questa regione, per parlarne senza poi fornire soluzioni concrete o nuovi spunti di riflessione”. Lo ha detto la Rettrice dell’Università della Basilicata, Aurelia Sole, in risposta alle dichiarazioni del consigliere regionale Michele Napoli sui fondi premiali per le università.
“Il tema accademico è complesso, ed è giusto esaminarlo con cura”, ha proseguito la Rettrice, ricordando poi che “l’Unibas aveva invitato il consigliere regionale alla cerimonia di inaugurazione dell’anno accademico, che si è svolta lunedì 19 febbraio”: nel suo intervento inaugurale, Sole ha infatti spiegato nei dettagli la vicenda dei dipartimenti di eccellenza e le scelte ministeriali. “Purtroppo, il consigliere riduce un tema, così ampio e difficile, al paragone con la ‘Champions League’ e con non meglio identificati ‘gironi di qualificazione’, come in un qualsiasi bar sport di provincia. Se dobbiamo rimanere nei termini dell'analogia calcistica, allora bisogna ricordare un dato molto semplice: sono le squadre che possono investire di più a vincere la Champions. Ma non sfugga un altro dato fondamentale: malgrado le risorse limitate, i nostri piccoli e variegati gruppi di ricerca hanno raggiunto in diversi casi l'eccellenza scientifica, vincendo il proprio campionato”.
“Per ampliare, diversificare e migliorare la ricerca – ha proseguito la Rettrice - è necessario investire in capitale umano, ampliare il corpo dei ricercatori e dei tecnici dell’Ateneo oltre che aggiornare e acquisire nuove attrezzature per la ricerca, ma un bilancio ingessato ci consente di investire molto limitatamente in politiche di reclutamento e in attrezzature. Vorrei però ricordare che la quota premiale dell’ateneo finora non ha subito alcuna flessione, anzi cresce sempre, come riportato nei grafici presentati durante l’inaugurazione dell’anno accademico”.
“Dai nostri consiglieri regionali – ha concluso Sole – ci aspettiamo momenti di confronto, come è spesso avvenuto proficuamente in questi anni con molti rappresentanti istituzionali, e spazi di riflessione indirizzati a trovare le soluzioni giuste per uscire da un oggettivo momento di difficoltà in cui vivono gli atenei italiani, e in particolare quelli piccoli e del Sud. Ancora oggi si ignora che ogni università ha una sua dimensione e una sua caratteristica, anche fondativa, e vive in un determinato contesto economico, sociale e geografico. E’ giusto e doveroso inquadrare sempre nei giusti ambiti il problema, per trovare soluzioni e puntare sempre alla crescita”.

E’ opportuno ricordare infine che nella sua relazione, la Rettrice ha dettagliatamente affrontato la questione. Di seguito si riporta questo passaggio del suo intervento:

“In questi tre anni abbiamo assistito ad una profezia che si è auto-avverata, ad una profezia che grazie alla costruzione di un metodo di distribuzione dell’FFO, nato nel suo impianto nel 2009, ha di fatto creato atenei di serie A e atenei di serie B. Un metodo che non ha guardato al sistema universitario nazionale nel suo insieme, cercando di garantire uguali opportunità agli studenti, uguali opportunità ai ricercatori e dunque uguali opportunità ai territori. Fornisco un unico dato: a partire dal 2009 Il Fondo di finanziamento Ordinario (FFO) è diminuito di circa 5 milioni di euro; un decremento percentuale del 15%, insostenibile per qualunque organizzazione complessa! La spesa del personale, dal 2009, si attesta su una cifra pressoché costante di circa 35 ML € cifra che non è garantita dal Fondo ministeriale, ma sostenuta dalla tassazione. Un metodo che ha approfondito il divario tra gli atenei, invece di pensare a garantire un sistema universitario di qualità su tutto il territorio nazionale. E, purtroppo, nella stessa direzione è andato l’ intervento del bando sui dipartimenti di eccellenza, di cui oggi è palese il risultato: ritengo errato, oltre che profondamente ingiusto, perché fondato sulla competizione tra parti di un sistema che dovrebbero, invece, essere accompagnate in una crescita armonica. Una gara che ha escluso proprio chi avrebbe dovuto essere sostenuto, e invece ha premiato ulteriormente chi è già più forte e solido. Era del tutto evidente, così come poi dimostrato, che l’impianto del bando dovesse tagliare fuori alcuni Atenei. In particolare quelli piccoli e di carattere generalista, come l’Università degli Studi della Basilicata, che vede i propri dipartimenti composti da piccoli e variegati gruppi di ricerca, molti di questi però di eccellenza scientifica. E’ del tutto evidente, inoltre, che non può esigersi equivalenza nelle performance di piccoli Atenei collocati in territori di grande fragilità sociale ed economica, quotidianamente impegnati in un una strenua lotta per la sopravvivenza e gli Atenei che operano in contesti molto più strutturati, con una maggiore capacità reddituale e un tessuto imprenditoriale più forte e meglio radicato. Una lotta tanto più esasperata dalla graduale e, come già detto nel nostro caso, consistente riduzione del FFO. I dipartimenti del Centro-Nord si sono aggiudicati l’87% dei bollini di eccellenza, quelli del Sud ed Isole appena il 13%. Per avere una idea della sperequazione, basti pensare che le università del Sud e delle Isole rappresentano il 31% del corpo docente. E’ inutile dire che un tale importo avrebbe risolto i problemi di molti Atenei, compreso il nostro, e non di singoli dipartimenti. Oggi anche il bando del MISE sui Centri di competenza ad alta specializzazione confina la partecipazione delle università al personale appartenente ai dipartimenti di eccellenza, tagliando ancora una volta fuori alcuni Atenei che potrebbero rappresentare fattore propulsivo per i territori. Per contro, io penso che siano necessarie azioni particolari e mirate per accompagnare la crescita di un territorio, investendo nell’Università, in un sistema Paese che, come purtroppo sappiamo, ha livelli medi di istruzione inferiori rispetto agli altri paesi europei, e che combina la maggiore disuguaglianza economica con la minore capacità di favorire la mobilità intergenerazionale creando una iniqua ipoteca sul futuro dei giovani di oggi”.



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