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Lucia la portatrice d’acqua |
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29/01/2018 | Negli anni trenta in molti paesi del sud Italia, come a Sant’Arcangelo (Pz), gli acquedotti non esistevano e solo nei capoluoghi di provincia erano comparse le prime fontane pubbliche nel centro abitato. L’approvvigionamento dell’acqua per bere era un problema quotidiano, che doveva essere risolto in sicurezza e continuità. Questo era il motivo per cui Lucia, giovane sposa, svolgeva tale mestiere, che, anche se faticoso, era ben remunerato.
Le famiglie di censo, come era la mia, si avvalevano dell’opera di Lucia per approvvigionarsi d’acqua per bere. Compiva fino a cinque viaggi per trasportare l’acqua con il barile sulla testa dalla fontana, situata in contrada, alla salita del petto, “mpede u piette”, fino alla nostra casa, situata al rione castello. Oltre al barile era solita portare in mano anche un recipiente di creta “a gummule”, della capacità di litri 2,5, ed era un di più che spesso rappresentava la riserva per la sua casa.La restante acqua, che serviva per la pulizia della nostra casa, della biancheria e per abbeverare gli animali, era attinta dalla cisterna, una delle poche esistenti nel paese.
Il percorso all’andata era di 15 minuti, non così al ritorno, dal momento che con circa 13 litri di acqua nel barile ed un altro recipiente nelle mani, per percorrere la ripida salita Lucia impiegava quasi un’ora (in questo tempo era compreso anche il riposo che durante il tragitto ogni tanto compiva).
Il pagamento era rappresentato da 10 centesimi a viaggio ed in più da un pasto a mezzogiorno.
Dal momento che la fontana del petto era la più vicina al paese, tutti vi si approvvigionavano, per cui, specie al mattino, si creava confusione per la “vecita”, ossia il turno di prelevamento dell’acqua.
Era consuetudine che coloro che notoriamente esplicavano questo mestiere per vivere non dovessero rispettarla, ma, appena giunti sul posto, potevano riempire il loro recipiente.
Dopo la morte del marito di Lucia e la nascita di un figlio, Salvatore, ottima persona morta prematuramente, il lavoro di portatrice d’acqua aumentò fino a quando, con l’avvento delle prime fontane pubbliche nel paese, anche questo mestiere scomparve.
La tragica morte del marito di Lucia avvenne per motivi di povertà, legata al fatto che una alimentazione povera di grassi, specie di olio di oliva, procurava nelle persone una stitichezza molto marcata, per cui pare che, mentre era a defecare in un anfratto vicino casa, data la mancanza di gabinetti nelle abitazioni, a causa di uno sforzo eccessivo venne colpito da un capogiro, che lo fece precipitare nel burrone e per le ferite riportate morì.
Antonio Molfese
”U Varilare”era un utensile in legno generalmente posto all’ingresso della cucina, dove si appoggiavano barili (3 - 4 di acqua) necessari alla famiglia per bere, per la cucina e per le pulizie di casa.” A Galetta” era un recipiente in legno con manico, a tronco di cono, utilizzato a tavola per attingere acqua e bere, molto simile al bicchiere, e non soggetto a rotture, anche in caso di caduta.Era un utensile molto in uso quando il vetro era un lusso per ricchi.Per tenere l’acqua in fresco si usavano A RIZZOLA ,un recipiente in creta a bocca larga e un manico per tenere alla finestra l’acqua e rinfrescarla; A GUMMULE, recipiente in creta cotta di forme e grandezza variabili con due manici e un collo lungo stretto ma costruito di particolare foggia; serviva e serve per conservare anche in campagna acqua da bere sempre fresca.La porosità dell’argilla fa in modo che la superficie del recipiente è sempre umido, per cui, evaporando l’acqua,si mantiene bassa la temperatura.Dopo un certo numero di anni se non si rompeva veniva sostituita, in quanto il calcio contenuto nell’acqua, ostruiva permanentemente i pori della creta e quindi la porosità.
(G.N.MOLFESE.ESPRESSIONI DIALETTALI,MODI DI DIRE,DETTI SANTARCANGIOLESI CENTRO STUDI SULLA POPOLAZIONE TORRE MOLFESE S.ARCANGELO(PZ)).
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