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Serge Latouche a Potenza al Festival Città delle 100 Scale |
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6/12/2017 | Sono trascorsi quarantacinque anni dalla Conferenza di Stoccolma, la prima conferenza mondiale delle Nazioni Unite sull’ambiente e lo sviluppo; gli stessi decorsi dal Club di Roma di Aurelio Peccei e da quei limiti dello sviluppo ravvisati. Già quarantacinque anni fa ci interrogava sulla distinzione tra crescita e sviluppo; mentre, intanto, i due elementi non andavano di pari passo. E qualche anno prima, nel 1967, Papa Paolo VI – nella sua Populorum Progressio – parlava di “squilibrio crescente” tra Paesi e di “urti di civiltà” dovuti all’avanzare della mano industriale. Ma le domande dalle quali si è ripartiti – nel Museo Archeologico Nazionale “Dinu Adamesteanu” di Potenza, martedì 05 dicembre – sono state due: cosa significa, nel qui e ora, invertire il parametro della crescita? Può ancora avere un senso, in quella che è stata definita “l’epoca dell’Antropocene”? Dinanzi al dubbio shakespeariano “crescere o decrescere”, secondo Serge Latouche – economista e filosofo francese, ospite del Città delle 100 Scale Festival con la lectio magistralis “Invertire la rotta. Crescere o decrescere” – la crescita, divenuta ormai condizione del nostro tempo, è un qualcosa che va da sé; pertanto, parlare di decrescita, e credere nella decrescita, può sembrare un netto rifiuto all’avanzamento. Ma per capire realmente la decrescita è necessario demistificare la crescita, mettendo sul piatto della bilancia quelle che sono state e ancora sono le illusioni a quest’ultima legate e tornando all’origine delle parole “crescita” e “sviluppo”: la crescita è la trasformazione quantitativa di un organismo; lo sviluppo, invece, quella qualitativa. La differenza è visibile, concreta e interconnessa: perché non si può pensare a uno sviluppo senza una crescita. Ma gli economisti hanno guardato all’economia come a un organismo, come a un essere vivo, che potesse svilupparsi infinitamente e in maniera meccanica; mentre noi siamo stati colonizzati ed “economicizzati” nel nostro immaginario, che ci ha portati verso il credere all’assurdità della crescita infinita, una crescita finalizzata ad avere sempre di più, che ha sorpassato il soddisfacimento dei bisogni. Per l’economista francese, siamo in un’era che si fonda sulla “predazione della natura”; basti pensare che per una goccia di petrolio (che non è il futuro) siamo pronti a distruggere quello che abbiamo. La voglia di crescita, come la globalizzazione, ha fagocitato la società durante il suo sviluppo; e questo ha segnato il passaggio da una società basata sull’economia di crescita e di mercato a una società di crescita e di mercato tout court, mercificando tutto ciò che trovava dinanzi a sé. Tutto è divenuto prodotto illimitato; tutto è divenuto rifiuto illimitato: una vera “guerra alla Natura”. Necessario, quanto mai vitale, uscire da questo vortice di crescita illimitata; da quella strada, imboccata da tempo, che ci sta portando ad una “crescita senza crescita”, per re-inventare un futuro sostenibile. Secondo l’economista francese, la decrescita è, allo stesso tempo, “la denuncia e l’ossimoro dello sviluppo sostenibile”: lo sviluppo non è e non può essere sostenibile, vista la sua interdipendenza con la crescita; e la crescita infinita è incompatibile con un pianeta finito. La decrescita non è un’alternativa, bensì una “matrice di alternative” e va liberata, emancipata, “dalla cappa di piombo” dell’occidentalizzazione, della società industriale e dell’homo oeconomicus. E allora, bisogna cessare questa “guerra economica” – questa guerra di “tutti contro tutti” e di tutti contro l’Ambiente – e “dichiarare pace alla Natura”: inevitabilmente, se distruggiamo la nostra “Casa Comune” (a voler usare le parole del Santo Padre Francesco), distruggiamo noi stessi. Serge Latouche blocca il fiato dei suoi uditori; forse, per qualche attimo, anche il ritmo cardiaco. L’invito è, quindi, ritrovare il senso: il senso di vivere in un determinato posto della Terra, il senso di far parte di qualcosa di comune; il senso di essere parte attiva di un progetto sociale, civile e politico di vita condivisa, riguadagnando il senso del Tempo. Perché di Tempo disponibile, per opporci alla nostra stessa bramosia, ne è rimasto poco.
Marialaura Garripoli
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