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'Queens of Syria': l'Euripide contemporaneo che racconta le tragedie di oggi

22/11/2017

Si potrebbe tornare indietro al 415 a.C.; o, forse, si potrebbe cominciare proprio da lì. Quando Euripide offrì al suo pubblico “Le Troiane”, opera parte di una trilogia dedicata alla Guerra di Troia: dopo la disfatta della città e l’uccisione dei troiani, le donne vengono assegnate come schiave ai vincitori; mentre piangono i loro mariti e i loro figli, la distruzione delle loro case, ogni perdita causata dalla guerra. Una tragedia che rispecchia perfettamente la bellica era contemporanea; basta spostarsi un po’ più in là, in Iraq, in Afghanistan, in Siria. Versi fedeli alla contemporaneità o una contemporaneità fin troppo recidiva: è la tragedia, è la realtà. “Queens of Syria”, della regista londinese Zoe Lafferty, è proprio questo: un pugno nello stomaco, un sinistro dritto in faccia che ti sbatte contro un adattamento contemporaneo e vivo della tragedia euripidea, messo in scena da alcune rifugiate siriane ospitate nei campi profughi in Giordania. Dall'inizio della guerra civile, quasi quattro milioni di persone sono fuggite dalla Siria e più di 600.000 si sono stabilite in Giordania. Zoe ha pensato di portare in Gran Bretagna questo progetto, già iniziato in Siria nel 2013; una nuova produzione da portare in tour, per raccontare le storie, le esperienze di queste donne. “The Trojan Women” – grazie a Oliver King, direttore esecutivo di Developing Artists – porta sulla scena un nuovo stato d’animo di queste donne e la loro volontà di raccontare, la loro consapevolezza; partendo da quanto di “buono” c’è in Siria oltre la guerra, i loro progetti, le loro aspettative per il futuro. Ci sono stati degli ostacoli, ovvio, come ottenere il visto per arrivare in Gran Bretagna o la difficoltà delle famiglie ad accettare l’impegno teatrale e sociale di queste donne. Euripide scrisse “Le Troiane” come una vera e propria protesta contro la guerra, mentre si combatteva quella del Peloponneso; “The Trojan Women” non è che la cruda contemporaneità. Venti di loro sono salite su quei palchi, cinquanta di loro hanno avuto modo di mettersi in gioco in laboratori sul linguaggio del corpo. E mai come oggi – nell’epoca dell’informazione a portata di tutti, ma distorta per convenienza – c'è un reale e vitale bisogno di sentire ciò che le persone vivevano e vivono in prima persona, oggi sotto le bombe, dentro la polvere. “La guerra ci è stata imposta”: sentirlo dopo pochi minuti dall’inizio del documentario ti tramortisce. Come non ripensare alle immagini che vediamo scorrere per inerzia sugli schermi dei nostri televisori, mentre non abbiamo alcuna percezione di quella realtà. Testimonianza pulsante dell’epoca che appiattisce il dolore, mentre l’anno prossimo festeggeremo i settant’anni dalla firma della Dichiarazione Universale dei Diritti dell'Uomo. Ma sappiamo rispondere alle domande, semplici, “Chi è l’Uomo?” e “Cosa significa rispettare la sua dignità?”. Importante diviene l’impegno, lo sforzo anche, di non guardare ai diritti umani dai nostro occhi occidentali, bensì di cercare di comprendere su quale base essi si fondano: ed essi non possono che basarsi sui doveri, sul dovere morale di solidarietà, che va urgentemente recuperato – come detto dal prof. Gennaro Curcio dell’Istituto Internazionale Jaques Maritain. Bisogna fondare i valori sul significato autentico dell’Uomo; solo allora potremo parlare di libertà dell’Uomo. Da qui, un interessante ponte con il messaggio che il Santo Padre Benedetto XVI lanciò in occasione dell’incontro con i membri dell'Assemblea Generale dell'Organizzazione delle Nazioni Unite [18 aprile 2008; ndr]: una salda correlazione tra i diritti e i doveri, poiché eliminare i diritti umani da questo contesto significherebbe negare la loro universalità: un richiamo all’etica della responsabilità verso l’accoglienza e della reciprocità dell’essere Uomini. Il teatro diviene così mezzo, strumento potente per superare queste barriere mentali, riportando l’umanesimo al centro di tutto; perché incidere sull’opinione pubblica si può, anche se difficile. Importante – secondo la regista – è trovare l’equilibrio tra le reali idee di cambiamento e il coinvolgimento delle persone. Presentato nella Biblioteca Centrale di Ateneo dell’UniBas – organizzato nell'ambito dei progetti SPRAR della Provincia di Potenza, con la “Fondazione Città della Pace per i Bambini Basilicata” e “ARCI Basilicata” interessati, come beneficiari, di una nuova iniziativa che prenderà forma nel 2018 – il dibattito “Dalla Grecia di Euripide alla guerra civile siriana. La necessità di dare voce a chi è costretto a fuggire” è stato un viaggio nella consapevolezza di ciò che dobbiamo se ne pretendiamo il diritto: è la necessità di dar voce, è la necessità di ascoltare.

Marialaura Garripoli



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