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Per il Città 100 Scale Festival il coreografo Roberto Castello |
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11/10/2017 | In girum imus nocte et consumimur igni. Un palindromo in lingua latina; un andare avanti e indietro. “Giriamo in tondo nella notte e veniamo consumati dal fuoco”, come il film-denuncia di Guy Debord. “Nel mondo realmente rovesciato anche il vero è un momento del falso”, diceva il regista francese, tra i fondatori del movimento artistico-culturale avanguardista Internazionale Lettrista.
Alienazione e oppressione dalla e nella società contemporanea; l’angoscia, l’affanno dell’individuo e il consequenziale suo isolamento: è da qui che parte Roberto Castello, quello che è stato definito come il più impegnato e scomodo – ideologicamente parlando – coreografo italiano, tra i primi a fondare la danza contemporanea in Italia (erano gli anni Ottanta, con la compagnia Sosta Palmizi).
In questo suo spettacolo – andato in scena lo scorso lunedì 9 ottobre al Teatro Stabile di Potenza, in occasione del Città 100 Scale Festival – una serie di scatti fotografici vanno a segnare quella che è la condizione umana: una corsa incessante, frenetica; e quelle spalle curve verso il basso, quelle espressioni di sofferenza. Una fredda luce proietta sullo schermo geometrie ristrette, sempre diverse, e velate gocce di pioggia; e la musica scandisce un tempo veloce, ansioso. Una voce di donna ritma l’incontro tra la luce e le scenografiche geometrie, tra i danzatori e le loro coreografiche strutture; voce che, nel suo parlare, diventa sempre più nevrotica e snervante, tanto da influire sui movimenti dei ballerini, quasi soggetti ad un ordine imposto. I quattro danzatori – vestiti di nero, in un ipnotico lutto – si dimenano, si scompongono quasi ai limiti della trance, dell’orgia. Girano in tondo, come invasati; si sbattono, si urtano, sembrano quasi rimettere in scena la prima parte (“L’alba dell’Uomo”) di “2001: Odissea nello Spazio” di Stanley Kubrick: a contatto col monolito luminoso, si strattonano, si picchiano, si sputano. I corpi fluttuano, le braccia ciondolano pesanti; lo sguardo è completamente assente, in questi volti quasi deformati, ma il passo è convulso, delirante, scandito dall’alternanza tra buio (dark) e luce (light) – da sinistra al muro, dal centro in avanti, riempiendo qualsiasi centimetro di linoleum. Una crisi che sembra non raggiungere mai la sua catarsi; un coro greco che sembra invocare quel deus ex machina che sembra non arrivare. È la condizione dell’Uomo: perennemente preso dalla sua hobbesiana lotta contro l’Altro, in stato di malessere e di corsa verso la contemporanea voglia di possedere. Così, i quattro danzatori – Giselda Ranieri, Mariano Nieddu, Irene Russolillo, Stefano Questorio – si intrecciano e si slegano; si uniscono e si rifiutano. E tu, dall’altra parte del palco, non puoi che restare incollato alla sedia; mentre la voce ripete che la fine è vicina, “the end is near”. “In girum imus nocte et consumimur igni” di Roberto Castello – in collaborazione con la compagnia, con la produzione di ALDES e il sostegno del MIBACT/Direzione Generale Spettacolo dal vivo e della Regione Toscana – ha incantato gli spettatori del Teatro Stabile, in questo furioso vortice che è il Città 100 Scale Festival, sbattendoci in faccia gli effetti di questa società contemporanea con l’invito ad una consapevole liberazione, ad un cosciente riscatto.
Marialaura Garripoli
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