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Saffo e il sogno d’amore |
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6/05/2012 | Tutto esiste, dentro di noi o fuori di noi? O ciò che esiste fuori non entrerà mai in contatto diretto con ciò che sentiamo e percepiamo? I nostri sensi fanno parte dell’uno o dell’altro mondo? Sono questi senza dubbio interrogativi che appartengono ai filosofi, l’uomo di scienza è miope: è ciò che è e basta, ma quando si affronta il tema dell’amore allora queste domande sorgono spontanee. Leggiamo insieme alcuni versi della poetessa greca Saffo che meglio di altri aprono una via alla nostra riflessione: “pari agli dei mi sembra quell'uomo che ti sta accanto e ascolta da vicino mentre tu parli dolce e seducente sorridi e a quel vedere il cuore mi si agita in petto solo che un istante ti scorga ecco che non riesco più ad articolare suono alcuno e mi cade la lingua e subito serpeggia un fuoco sottile tra carne e pelle e tenebre vedo e ronzano le orecchie e tutta grondo di sudore e un tremito mi pervade interamente e divengo più livida dell'erba e poco lontana dalla morte d'essere mi sembra”. L’amore contemplativo, che comporta un trasporto emotivo tanto grande da sopraffare l’istinto di sopravvivenza è una creazione letteraria o realmente ha un fondo di verità? Forse, pensando a Stendhal nel “de l’amour”, si tratta di un binario morto del travaglio sentimentale. O forse, come in Dante, dell’immagine plastica dello spirito artistico. Ariosto coniuga il tutto nella sua opera ponendo quel sentimento al di sopra degli uomini, immutato rispetto alle vicende della vita. Così l’amore di Orlano per Angelica e di Bradamante per Ruggero, resta immutato nonostante le sorti diverse riservate ad essi dal destino. Questo farebbe pensare ad un moto dell’anima che travolge la stessa esistenza umana, come se si trattasse di una priorità dell’anima che l’uomo sensuale e materiale non riesce a comprendere. Prova ne è la disponibilità ad affrontare qualunque rinuncia e qualunque sacrificio da parte di colui o colei che ama per la persona amata. Volendoci concedere una licenza filosofica e fare un grande salto nel tempo atterrando nel neoplatonismo, potremmo dire che essendo l’individuo emanazione dell’uno che è amore, reca con se, in modo corrotto e degradato, una traccia di quella accecante luce che è l’amore divino. In questo senso l’amore per la persona amata sarebbe un riflesso dell’amore infinito che è in Dio: incommensurabile ed indeterminabile. E come tale, l’amore ideale e incondizionato rappresenta un tramite con l’origine o con l’essenza. Volendo rimanere fedeli all’idealismo platonico diremo allora che l’amore è tale solo quando esiste al di là di ogni altra cosa, nel mondo delle idee o dell’anima, contro gli interessi dell’individuo e del piacere del corpo. È tale quando rimane incorrotto e inalterato a prescindere dalle vicende umane, e che risale con l’anima nel suo tragitto verso Dio. Ma dopo aver fornito una definizione teorica dell’amore contemplativo e aver sostenuto, con alcuni argomenti appartenenti alla tanto deprecata filosofia delle parole, che questo potrebbe realmente esistere, avvertiamo come un dovere l’offrire un’ immagine concreta di un così alto ideale, e lo facciamo servendoci dei versi di uno dei più grandi poeti di tutti i tempi, il quale descrive gli ultimi istanti e le ultime considerazioni di un’anima, quella appunto della poetessa Saffo, consumata da un tale sentimento. Staccandoci dalle interpretazioni tradizionali, attribuiremo al lamento di Saffo il significato di una fusione tanto profonda tra materia e anima da rendere relativa ogn’altra cosa terrena: “Placida notte, e verecondo raggio della cadente luna; e tu che spunti fra la tacita selva in su la rupe, nunzio del giorno; oh dilettose e care mentre ignote mi fur l’erinni e il fato, sembianze agli occhi miei; già non arride spettacol molle ai disperati affetti. Noi l’insueto allor gaudio ravviva quando per l’etra liquido si volve e per li campi trepidanti il flutto polveroso de’ Noti, e quando il carro, grave carro di Giove a noi sul capo, tonando, il tenebroso aere divide. Noi per le balze e le profonde valli natar giova tra’ nembi, e noi la vasta fuga de’ greggi sbigottiti, o d’alto fiume alla dubbia sponda il suono e la vittrice ira dell’onda…”
Antonio Salerno
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