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Morte Luca Ventre: una speranza contro l'archiviazione del caso

31/10/2025



La vicenda di Luca Ventre resta sospesa tra una verità ormai riconosciuta e una giustizia ancora negata, ma oggi si riaccende una speranza legata a un errore procedurale. Dopo anni di battaglie, la Procura di Roma, come abbiamo raccontato nei giorni scorsi, ha disposto l’archiviazione del caso, riconoscendo di fatto la responsabilità dell’agente uruguaiano Ruben Eduardo Dos Santos Ruiz nella morte di Luca, ma dichiarando impossibile procedere penalmente perché l’indagato si trova fuori dal territorio italiano.


La legge, infatti, stabilisce l’improcedibilità ai sensi dell’articolo 10 del codice penale in assenza dell’imputato sul suolo nazionale. Nel febbraio 2024, la Procura aveva iscritto nel registro degli indagati anche Leonardo De Miranda Pena, la guardia che collaborò con Ruiz nell’immobilizzare Luca. Tuttavia, il Giudice per le Indagini Preliminari ha confermato l’archiviazione. A riaccendere la speranza è stato però un errore della Procura: la mancata notifica della richiesta di archiviazione al padre di Luca, Mario Ventre. Questo vizio di forma consente oggi alla famiglia di presentare opposizione e tentare di riaprire il caso per rimettere in moto la macchina della giustizia.


A spiegare il significato di questo passaggio è l’avvocato Massimiliano Spitaleri, penalista di diritto internazionale, che assiste il padre di Luca, la figlia minore e uno dei fratelli, tutti residenti all’estero. «Il decreto di archiviazione è diventato definitivo per la mamma di Luca – spiega Spitaleri – ma io ho presentato un reclamo per la mancata notifica a noi, e quindi siamo ancora in gioco. Sarà ora il Tribunale monocratico a decidere sul reclamo e, eventualmente, a riaprire la decisione sull’archiviazione che era stata disposta».


Ma il legale solleva anche un punto giuridico fondamentale sulla motivazione dell’improcedibilità. «La Procura ha commesso un grave errore – continua – perché ha qualificato il caso in base all’articolo 10 del codice penale, mentre doveva applicare l’articolo 7, norma derogatoria che consente di perseguire in Italia reati commessi all’estero da soggetti che operano in nome o per conto dello Stato italiano.


Non si tratta semplicemente di un fatto avvenuto tra uno straniero e un cittadino italiano, ma di un delitto commesso da un soggetto che stava servendo lo Stato italiano». Spitaleri ricorda che, al momento dei fatti, in piena emergenza Covid, erano state stipulate convenzioni tra l’ambasciata italiana e la Polizia di Stato uruguaiana per consentire ad agenti locali di svolgere funzioni di pubblico ufficiale per conto del Ministero degli Esteri. «Quel poliziotto – sottolinea – si trovava all’interno dell’ambasciata italiana per svolgere un servizio di sicurezza nell’interesse dello Stato italiano. Di conseguenza, il reato dovrebbe essere trattato come un delitto commesso da un pubblico ufficiale italiano all’estero, e quindi perseguibile in Italia ai sensi dell’articolo 7 del codice penale». In altre parole, non solo la famiglia Ventre avrebbe diritto a vedere riaperto il procedimento per vizio di forma, ma l’intera impostazione giuridica del caso potrebbe essere rivista. Intanto, il dolore resta intatto. Luca Ventre, 35 anni, era entrato il 1° gennaio 2021 nell’ambasciata italiana a Montevideo cercando protezione. Disarmato, fu immobilizzato a terra per oltre venti minuti dal poliziotto di guardia, fino a perdere conoscenza. Morì poco dopo in ospedale. Le autorità uruguaiane parlarono di un “arresto cardiaco dovuto alla cocaina”, ma l’autopsia italiana fu inequivocabile: “asfissia meccanica prolungata”.


L'udienza è stata fissata per il prossimo 15 dicembre. 


 


Mariapaola Vergallito




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