Ci sono momenti impossibili da immaginare poiché si fa fatica a pensare di cosa possano essere capaci gli esseri umani. Il ricordo dell’olocausto resta però indelebile, le atrocità vissute dal popolo ebraico hanno segnato intere generazioni ed anche coloro che ebrei non erano, ma hanno assistito o comunque subito sulla propria pelle quei terribili e drammatici giorni. Il presidente della Repubblica, Sergio Mattarella, ha conferito “la medaglia d’onore alla memoria di Giovanni Di Paola”, rotondese scomparso nel 1979, per gli anni di prigionia nel campo di sterminio di Ludwigsburg, in Germania, durante la seconda guerra mondiale. Il riconoscimento è di fatti riservato ai “cittadini italiani, militari e civili deportati ed internati nei lager nazisti e destinati al lavoro coatto per l’economia di guerra”. Nato nel 1918, Di Paola fu soldato di leva nel distretto di Potenza in congedo illimitato dal 9 maggio del 1938. Ma, tre anni dopo, durante il conflitto, fu fatto prigioniero al fronte greco-albanese, precisamente a Tirana e, da lì, fu deportato dai nazisti: era il prigioniero 169, un numero che fisicamente lo avrebbe accompagnato fino a quando l’incubo finì, il 29 settembre del 1945: ma, mentalmente, quel numero non lo avrebbe più abbandonato.
(Nella foto un ufficiale nazista nel campo di concentramento di Ludwigsburg, con alle spalle la fabbrica di proiettili)
La comunicazione è stata fatta dal prefetto di Potenza, Michele Campanaro, alla figlia Rosaria che, nonostante siano trascorsi ormai tantissimi anni, ancora preferisce evitare di raccontarci quanto passato dal padre. A dirci qualcosa è Antonella, figlia di Rosaria, l’unica alla quale il nonno confidasse cosa accadeva in quell’inferno.
Ma anche lei fa fatica, dispiaciuta per le sofferenze del nonno. “Mi diceva che loro erano gli schiavi di Hitler - ci spiega Antonella - io ero molto piccola, ma comprendevo bene quanto soffrisse. Spesso, per addormentarsi, era costretto a ricorrere all’uso di antidepressivi e, a volte, cominciava a parlare in tedesco”. Il nonno fu costretto a lavorare giorno e notte in una ex fabbrica per automobili, convertita in un armificio. “Fabbricavano proiettili per i mitragliatori, non potevano fare nulla di diverso se non lavorare: patendo la fame, la sete ed il freddo”.
L’episodio più raccapricciante riguarda un prigioniero ebreo: “Non gli davano nulla da mangiare, per cui, mio nonno, che lavorava di fianco a lui, decise di digiunare passandogli di nascosto il rancio. Ovviamente, gli raccomandò di stare attento a non farsi notare ma una sentinella se ne accorse ed immediatamente uccise il prigioniero ebreo, sparandogli a bruciapelo ad una tempia. Il sangue di quella povera persona schizzò su mio nonno, che fu prima percosso violentemente con uno sfollagente e poi mandato in isolamento per una settimana, senza poter bere né mangiare. Riuscì a sopravvivere, ma quel sangue non se lo sarebbe più tolto di dosso”.
(Giovanni Di Paola)
La medaglia alla memoria di Giovanni Di Paola verrà consegnata alla famiglia a Potenza, durante una cerimonia presso il teatro Stabile, dalle 10, il prossimo 27 gennaio: in occasione del ‘Giorno della memoria’.
Gianfranco Aurilio
Lasiritide.it