Dopo dieci anni dalla sua morte possiamo confermarlo: Sandro Berardone ci manca più oggi di ieri. Ci mancherà domani più di oggi. Lo dico da amica. Lo dico, con più forza e convinzione, da cittadina di questa nostra regione lucana e di questo nostro territorio, l’area sud , di queste valli dove il grande Sinni divora Sarmento e Serapotamo e dove è difficile restare. Ma non impossibile. Sandro ci credeva. Lo vedo ancora sorridere ascoltando la retorica dello spopolamento e non perché, esso, non sia un fenomeno che riguarda anche la Basilicata, anzi. Ma perché nel suo lavoro da amministratore ha sempre cercato di affrontare il problema mutando il paradigma; alzandosi in piedi sulla cattedra per guardare il mondo da un’altra prospettiva. Lui sanguigno e apparentemente burbero, ma in realtà concreto e appassionato, che gioiva per un successo ma un attimo dopo ripartiva per raggiungere altre mete; in perenne ascolto degli altri anche se, a volte, sembrava il contrario. Ma soltanto perché la sua mente pensava, immaginava, sognava, costruiva. Sempre. Parimenti a Luigi Viola, anche lui scomparso troppo presto, Sandro Berardone era un cittadino di un intero territorio. Figlio di Castronuovo di Sant’Andrea, si era lasciato adottare da San Costantino Albanese. E’ stata una voce chiara e autorevole, come scrissi poco dopo la sua morte, guida e gregario al tempo stesso, pronto ad assumersi responsabilità non sue e a lasciare agli altri gli allori di vittorie che avevano soltanto la sua impronta. Io non lo so quello che resta dopo 10 anni. Quello che siamo diventati o che non siamo più. Sarebbe già tanto se ognuno di noi, pensando a Sandro Berardone, si guardasse dentro e cominciasse a fare i conti con le proprie inadempienze, con le sconfitte e con le vittorie; con i sogni rimasti e con le disillusioni. E poi, come faceva lui, fare un bel respiro e dire ‘’iamm ‘nnanz’’. Sì, sarebbe già tanto.
Non con i miei soldi. Non con i nostri soldi di don Marcello Cozzi
Parlare di pace in tempi di guerra è necessario, ma è tardi.
Non bisogna aspettare una guerra per parlarne. Bisogna farlo prima.
Bisogna farlo quando nessuno parla delle tante guerre dimenticate dall'Africa al Medio Oriente, quando si costruiscono mondi e società sulle logiche tiranniche di un mercato che scarta popoli interi dalla tavola dello sviluppo imbandita solo per pochi frammenti di umanità; bisogna farlo quando la “frusta del denaro”, come ...-->continua